Tanti secoli dopo la condanna a morte del famoso filosofo ci interroghiamo sull’attualità di tutta la vicenda alla luce del nostro vivere attuale. Cerchiamo qualche risposta con l’intervento di un esperto. Siamo nella Grecia del 399 a.C. Socrate viene condannato con l’accusa di aver corrotto i giovani e di sovvertire la religione tradizionale: “Socrate fa cosa cattiva interrogandosi sulle cose che stanno in cielo e su quelle che stanno sottoterra e facendo più forti le ragioni più deboli e insegnando agli altri a fare come fa lui” . Rileggendo il testo della querela con cui Meleto accusò Socrate viene certamente da ridere se lo si confronta con il diritto penale moderno, ma è comunque in grado di creare qualche spunto di riflessione da un punto di vista giuridico attuale. Sicuramente, se Socrate si fosse solamente interrogato sulle cose terrestri senza diffondere la propria filosofia, non sarebbe andato incontro a tante inimicizie e al duro processo che ha portato alla sua condanna a morte. L’accusa principale era, infatti, quella di insegnare agli altri, soprattutto ai giovani, la propria visione del mondo e della società. Insegnare “a fare come fa lui” era uno spingere i giovani al pensiero critico. Un comportamento simile, oggi, sarebbe perseguibile dalla legge? Come prima considerazione viene da pensare che nel mondo esistono ancora Stati nei quali è assolutamente vietato parlare male del governo e della religione, che spesso sono un’unica cosa, e ai moderni “Socrate” non viene riservato un trattamento tanto diverso da quello del 400 a.C. Prendendo in considerazione invece l’Italia e i Paesi giuridicamente evoluti, tendenzialmente ognuno è libero di pensare ciò che vuole e di insegnare e diffondere le proprie idee, rimanendo comunque entro certi limiti. Ciò che si dice e si diffonde, infatti, può creare problemi di ordine pubblico, pericolo per le persone e la sicurezza dello Stato o, più semplicemente, offendere il pudore di una o più persone. Lo Stato, di conseguenza, deve attuare dei meccanismi per difendere le istituzioni e i cittadini. L’ordinamento italiano è costellato da norme che possono essere infrante semplicemente aprendo bocca e commettere un reato, anche grave, è più semplice di quanto si possa pensare. Ne cito alcune fra le più significative, ma ve ne sono molte altre: propaganda ed apologia sovversiva o antinazionale (art. 272 c.p.), istigazioni di militari a disobbedire le leggi (art. 266 c.p.), istigazione a delinquere (art. 414 c.p.), istigazione a disobbedire le leggi (art. 415 c.p.). Per tutti questi reati è prevista una pena che può arrivare fino a cinque anni di reclusione. Questi delitti prevedono tutti la propaganda o l’istigazione a commettere degli atti violenti nei confronti delle Istituzioni o degli altri cittadini. Socrate non si sarebbe mai sognato di istigare qualcuno alla violenza, era contro i suoi principi di vita, ma il suo mettere in dubbio la classe politica e la saggezza di chi era preposto a governare gli uomini e il loro spirito veniva sicuramente visto come un pericolo, un potenziale atto sovversivo che doveva essere represso. Ora, nelle democrazie occidentali, il comportamento di Socrate rientrerebbe in quello che è il normale dibattito politico e il civile confronto di idee e non configurerebbe alcun reato. Molto probabilmente sarebbe considerato anche oggi un “personaggio scomodo”, ma, in questi casi, l’unica condanna (non penale) riservata ai moderni “Socrate” è quella di non dare loro spazio in televisione e sui giornali per costringerli ad affidare la diffusione della propria visione della società ad un blog in internet o a qualche altro mezzo fai-da-te. Volendo analizzare il processo di Socrate da un punto di vista procedurale, i collegamenti con il presente risultano sicuramente più difficili. Con un pizzico di fantasia, dato che la fattispecie, come visto, attualmente non costituisce alcun reato, se ipotizzassimo un processo a Socrate nell’era moderna, noteremmo sicuramente enormi differenze procedurali. Prendendo come riferimento l’ordinamento italiano, che, nei principi cardine, assomiglia a quello di tutti i moderni Stati occidentali, notiamo, come prima cosa, che Socrate non si sarebbe potuto difendere da solo, poiché l’assistenza tecnica di un avvocato è obbligatoria. Quindi, la sua bellissima arringa difensiva se la sarebbe dovuta tenere per sé? Non completamente, infatti viene comunque data la possibilità all’imputato di rispondere a domande (ma non farne!) e di rilasciare dichiarazioni spontanee, quindi, un momento per descrivere i fatti dal proprio punto di vista l’avrebbe sicuramente avuto. Sarebbe stato in ogni caso compito dell’avvocato smontare l’accusa, eventualmente anche interrogando gli accusatori e facendoli cadere in contraddizione, e integrare l’arringa di Socrate con dei validi argomenti giuridici. Un secondo elemento in forte contrasto con il processo moderno è la durata. Molte volte gli attuali processi hanno una durata eccessiva, ma un processo che debba durare non più di un giorno, attualmente, è impensabile. Il processo è strutturato affinché vi sia il tempo necessario per l’imputato e per il suo difensore di impostare le difesa, per ascoltare tutti i testimoni e per valutare tutte le prove a supporto e non dell’accusa, anche con l’aiuto di tecnici specializzati. Queste attività possono necessitare più o meno tempo a seconda delle circostanze, nei processi per direttissima si può arrivare a sentenza in molto meno di un giorno, ma la durata dell’intero processo non può essere stabilita in anticipo. Il processo a Socrate, avendo la durata prefissata ad un solo giorno, ha senza dubbio leso il diritto alla difesa in capo all’imputato che se avesse avuto il tempo necessario, forse avrebbe anche potuto portare a deporre testimoni in grado di smentire le accuse di Meleto. Concludo ricordando che quando gli fu offerto aiuto dai suoi amici, per scappare e salvarsi da tutti i capi d’accusa che gravavano su di lui, egli rispose: “Non voglio scappare, non bisogna mai commettere un’ingiustizia nemmeno quando la si riceve”. Molti “nostri” imputati dovrebbero ispirarsi a lui! *Alessandro Bonfanti, dottore in Giurisprudenza |
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