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I suoi primi passi sono stati importanti: era un giovane allievo di Ludovico Geymonat e già partecipava alla stesura dell’enciclopedia della Storia del pensiero filosofico e scientifico edita da Garzanti che porta il nome del celebre maestro. Conosco il prof. Micheli dall’epoca dell’università e non l’ho mai perso di vista: lo incontro spesso visto che abitiamo nella stessa zona ed è sempre piacevole scambiare qualche battuta anche sulle banalità quotidiane. Così l’intervista si è trasformata, di fronte ad un tè, in un’amabile, a tratti divertente, conversazione che non avrei mai voluto interrompere.



 

D. Professor Micheli, l’interesse per la robotica è molto attuale, si costruiscono robot sempre più simili all’uomo con capacità inimmaginabili. Lei come studioso di Storia della scienza e della Tecnica ci può parlare delle origini della robotica?

     R. E’ una cosa complessa. Partendo dai greci, gli automi facevano parte del loro immaginario collettivo. Ci sono addirittura racconti dei robot nei poemi omerici, dove Efesto costruisce questi servitori, ma non si sa bene come siano stati costruiti. Erano delle macchine semoventi. Gli automi di cui abbiamo notizia erano delle macchine se moventi ad esempio la colomba di Archita di Taranto (428 a.C. – 347 a.C) costruita con getti di aria compressa. La testimonianza è un po’ tarda. La testimonianza letteraria più analitica è un teatrino meccanico descritto negli Automata da Erone. Erone (10 c.C. - 70 d.C.) era un tecnico greco, la sua trattazione si rifà essenzialmente alle creazioni dell’età alessandrina (III sec a.C.). Dicevo, era una sorta di teatrino meccanico molto interessante: una specie di cassetta su cui c’erano una parte superiore con delle figure danzanti e la parte inferiore era costituita da un contrappeso diviso in due parti con una base di sabbia, questa fuoriusciva  a poco a poco e faceva abbassare una pietra di sopra collegata a delle puleggie. Questo si muoveva facendo un piccolo spettacolo. Era molto conosciuto e diffuso. I costruttori di automi erano chiamati alle feste e ai matrimoni. Tutto ciò fa parte dell’argomento della meraviglia tanto è vero che Erone diceva che il cassone deve essere abbastanza minuto per far sì che lo spettatore non immagini che ci sia un uomo dentro che fa muovere. Era molto ingegnoso. Gli automi si svilupparono in questa direzione, la direzione degli oggetti che suscitano meraviglia. Alcuni sono molto interessanti, c'erano degli automi (bambole, pupazzi) molto diffusi con l’introduzione delle molle attorno al 400-500 con un sistema di rilascio graduale derivato dagli orologi. Ne ho visti molti, ad esempio  al Kunsthistorisches Museum di Vienna c’è una saliera che si muove per portare il sale ai vari commensali. Questi oggetti mossi da ruote non hanno nulla a che vedere con il concetto di automa come lo intendiamo noi: la rappresentazione meccanica dell’organismo. Questo è un elemento che viene introdotto proprio da Renato Cartesio (1596-1650), egli generalizza il concetto di macchina e concepisce la visione di un organismo umano costituito come una macchina. Lui aveva l’esempio delle macchine e anche degli automi soprattutto gli orologi e le macchine che c’erano nei giardini: sono una combinazione di elementi pneumatici e meccanici (statue che si muovevano mosse dall’acqua e le fontane), oggetti descritti molto bene sono quelli dei giardini di Tivoli e di Pratolino a Firenze. Io sono stato Pratolino ma non è rimasto un granché, sono rimasti i disegni. Cartesio aveva presente queste opere

D. Cartesio da cosa è mosso nel progettare gli automi?

R. Era mosso dal fare la macchina come un modello meccanico. Che è l’antesignano dei moderni.

D. Ma quale finalità intravedeva?

R. Una finalità puramente esplicativa, di dare la spiegazione di come si muove l’organismo. Cartesio era convinto che tutto l’universo fosse costituito da una macchina, da una macchina generale e poi da tante piccole macchine. Il meccanicismo non era solo di Cartesio, era un’ottima concezione che poteva spiegare il funzionamento dei fenomeni fisici e dell’organismo in termini più semplici che non la concezione tradizionale. Il meccanicismo è una teoria utile ma non dobbiamo presupporre che ci sia la verità

D. È un po’ limitante?

R. No, è una cosa diversa. Cartesio aveva in mente che il meccanicismo è utile per spiegare. Lui era un filosofo molto acuto e non si accontenta di dare una spiegazione puramente pragmatica. Egli sosteneva che c’è una differenza tra la macchina costruita da Dio e quella costruita dall’uomo: quella costruita da Dio è infinitamente complessa. In effetti ancora adesso non si conosce molto bene tutto l’organismo umano. La spiegazione meccanica è rudimentale ma non molto diversa dalla realtà del suo tempo. Lui non si è messo a costruire, Cartesio aveva un rapporto un po’…con gli artigiani, si lamentava che capivano poco

D. Chi è stato il più grande costruttore di automi?



R. È stato Jaques de Vaucanson (1709-1782), il più grande e geniale costruttore di automi mai esistito. Già da ragazzino a dodici anni costruiva orologi. Era un artigiano e non aveva studiato molto, eppure si era messo in testa di costruire degli automi che furono portati a termine nel 1738. Famosi un suonatore di flauto e l’anatra che digerisce. Erano tanto perfetti e impiegò molto a costruirli. Vaucanson era il prototipo del capitalista, si faceva dare i soldi dai finanziatori poi non portava a termine, gli facevano causa e lui trovava un altro finanziatore. Abbiamo resoconti delle sue vicende giudiziarie ma molto poco sulla natura di questi suoi lavori, ma non dà comunque indicazione sul motore. Lui aveva il culto di Cartesio ed è il costruttore di automi più vicino alla concezione del filosofo che era esplicativa, ma allo stesso tempo anche bella: quando erano pronti andavano a ruba. Sono andati persi perché erano complessi, si rompevo spesso ed era difficile ricostruirli. Do una notizia che ho appreso, nel 1840 ci fu una mostra dei modelli di Vaucanson alla Scala di Milano, ora non c’è nulla in archivio. L’unica documentazione sono dei giornali del periodo che annunciano l’esposizione. Concludendo, Cartesio è stato l’antesignano della cibernetica

 

D. Lei è stato un docente universitario fuori dal coro, so che portava gli studenti in gita...

R. Sì ho portato gli studenti al museo Neuschatel dove si trovano i famosi automi di Jaquet-Droz (1721-1790). Ho scritto che l’università di Milano andava apposta, ci hanno messo il curatore a disposizione. Gli studenti si sono divertiti moltissimo. Hanno aperto gli automi di Jaquet-Droz, sono perfetti ma non sono dell’intento di Vaucanson perché non riproducono il movimento. Ad esempio per lo scrivere si sposta il tavolo perché era più semplice dal punto di vista meccanico. Se andate a Neuschatel, si può ancora vedere. Anni fa ho portato anche i miei figli. Questi automi perdono il significato dell’impostazione cartesiana divenendo dei giochi, mentre l’impostazione cartesiana è continuata in quella che è l’impostazione scientifica. Cartesio sarebbe strabiliato da quello che fanno oggi!



D. Con quello che lui aveva previsto

R. Sì. Lui aveva previsto, la sua sfortuna è stata quella di vivere 54 anni.

D. Era cagionevole di salute

R. Sì, si alzava a mezzogiorno, aveva freddo. Poi quando è andato in Svezia quella pazza furiosa della regina Cristina lo faceva alzare all’alba. Ma si può?

D. Leggendo le lettere di Cartesio si rimane affascinati, al di là dello scienziato mi affascina come persona. Per come reagiva alle situazioni

R. Era unico, era considerato il più grande filosofo mai esistito in Francia ancora quando non aveva mai pubblicato una riga. La prima opera l’ha pubblicata a quarantuno anni. È stato il cardinale Berullo a spingerlo alla pubblicazione dicendogli che altrimenti farebbe un grave oltraggio al volere divino che gli ha dato un’intelligenza così acuta. Cartesio non voleva pubblicare perché avrebbe dovuto perdere tempo a rispondere alle critiche, mente lui sosteneva che tutte le critiche possibili se le era già fatte da sé

D. Era unico

R. Sì, era unico. Lui andò in Olanda perché non voleva essere disturbato. Diceva “Qui sto benissimo, sono talmente tutti preoccupati a fare soldi e non hanno tempo per badare a me”

D. Cartesio, nel Discorso sul metodo, afferma più o meno ”Ho studiato fino adesso, ma non posso basarmi solo sui libri bensì devo conoscere il gran libro del mondo”, ciò significa mettere in discussione gli insegnamenti ricevuti. Era molto attento a non offendere nessuno però ha fatto il lavoro di messa in discussione

R. Sì, ha messo in discussione. Guardi, pensiamo al famoso sogno di Cartesio che anche Sigmund Freud ha studiato. Cartesio lo interpreta come se da Dio gli fosse stata indicata la via dell’unità della scienza. I Greci avevano una concezione della scienza molto parcellare, suddivisa: la matematica era la matematica, l’aritmetica era l’aritmetica….era molto settoriale. Per Cartesio la scienza è una. Questa è una messa in discussione rispetto a ciò che insegnavano a scuola. È Montagne ad ispirare Cartesio, colui che ha introdotto la dimensione soggettiva

D. Mi ha colpito la sua decisione di fare esperienze e non basarsi solo sugli insegnamenti ricevuti

R. Lui ha viaggiato molto. Questo è ciò che dice Montagne nel suo libro Il viaggio in Italia che è un libro strepitoso che consiglio di leggere. È uno spaccato di vita cinquecentesca in Italia, descrive la vita materiale, parla degli alberghi se son puliti o sporchi. Era uno curioso e Cartesio rimane colpito. Mentre Cartesio è molto stringato nello scrivere

D. Sono d’accordo che sia essenziale, ma è stimolante per la riflessione

R. Sì, in lui si trova subito il nucleo

D. La visione dell’uomo in Cartesio ha qualche conseguenza nell’oggi?

R. Sì, per la sua visione unitaria dell’uomo. Il bisogno unitario è tipico della riflessione filosofica. Da questo punto di vista il discorso cartesiano è giustamente all’origine del razionalismo

D. Molti hanno contestato il dualismo cartesiano, anima e corpo uniti dalla ghiandola pineale ma separati. Chi condanna Cartesio ritiene che questa concezione avrebbe creato la separazione tra anima e corpo. Per me lui aveva un altro fine, non voleva dividere

R. La ghiandola pineale (o epifisi è una ghiandola endocrina situata al centro del cervello) è una scoperta geniale di Cartesio perché ha messo l’anima nella testa, quindi l’anima comanda indirettamente il corpo

D. Concludiamo parlando del dialogo?

R. La filosofia occidentale nasce sul dialogo. Pensiamo ai dialoghi di Platone, l’avversario ha degli argomenti forti, è un dialogo tra pari costruito sulla tecnica della tragedia. È interessante il dialogo come elemento di creatività, di scontro per confutare soprattutto i sofisti. La potenza delle parola di cui Platone si era accorto che era un bluff. Ma lei alle persone che si rivolgono a lei fa leggere i libri di filosofia?

D. Sì, a chi poi ha voglia di andare oltre faccio anche scrivere. Il libro che tutti leggono è Il Discorso sul metodo di Cartesio... Ora facciamo una fotografia vicino ai libri di Geymonat?

R. Va bene. (Sorride compiaciuto della mia idea di immortalarlo vicino all’opera a cui ha collaborato da giovane allievo)

MGF




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L'accento di Socrate