Il sacro
Secondo Rudolf Otto, uno dei primi studiosi del secolo scorso ad occuparsi di questo tema, gli aspetti elementari di questa nozione sono il fascino ed il tremendo. Da parte sua Romano Guardini, un altro studioso tedesco, che analizzò il fenomeno un quarantennio più tardi, diceva che sacro è ciò di fronte a cui l'uomo si piega riverente e in assorta meditazione. Nella morfologia di questo oggetto religioso in generale convergono due caratteri apparentemente contrapposti: l'esaltazione della volontà divina che lo prescrive e la sua proibizione. Nell'ambientazione latina sacro (sacer) indica consacrato agli dei e carico di colpa innominabile e inaccettabile, quindi, per l'uomo, qualcosa che è insieme di venerazione silente e di orrore indescrivibile. Sentimenti, entrambi, indicativi di una condizione incombente all'uomo che lo lascia senza parole, attonito per lo stupore e lo sdegno. Il rapporto poi esistente tra sacro, sacrificio-sacrificare, secondo i linguisti (E. Benviste), consente di vederne la relazione: “Perché sacrificare vuol dire di fatto mettere a morte, quando propriamente significa, invece, rendere sacro?” Sacrum facere: indica allora necessariamente il condannare a morte? La spiegazione data da due studiosi tedeschi è molto lineare: compiere un sacrificio significa far diventare sacro una cosa profana, ossia per gli Antichi sacro è escludere una bestia dal mondo usuale, quello dei viventi e consegnarla a quello dei morti, farle superare la soglia che separa i due mondi per opera di un incaricato che ha il potere di compiere questa operazione in modo valido e significativo. Ancora più profondamente “l'uomo sacro, ossia colui che compie l'operazione di rendere sacra una vittima”, è colui che porta una colpa infamante che lo mette fuori dalla società degli uomini comuni. È per gli uomini ciò che l'animale sacro è per gli dei, non ha più nulla in comune con il mondo degli uomini proprio perché sacro. Riccardo Mazzarol, docente di filosofia nella scuola secondaria superiore |
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