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Ipazia: simbolo del paritismo




Il film Agorà del regista spagnolo Alejandro Amenàbar racconta la storia di Ipazia, una donna intelligente e coraggiosa, astronoma, matematica e filosofa di Alessandria d’Egitto. Siamo nel IV secolo nel momento in cui l’impero romano è avviato lentamente verso il declino. Un’amica mi dice spesso che quando non si ha tempo o voglia di leggere un bel romanzo, un bel film può in parte sostituirlo: Agorà è riuscito a farmi riflettere sulle difficoltà delle donne non solo dal punto di vista filosofico. Le fonti storiche non sono particolarmente chiare, ma si sa che Ipazia fu fatta uccidere dal vescovo cristiano Cirillo. “Ipazia è la versione femminile di Gesù. Agorà non è un film contro il cristianesimo ma contro tutti i fondamentalismi”. Così ha dichiarato il regista durante la conferenza stampa di presentazione del film in Italia e noi ne prendiamo atto. Ciò che mi spinge a riflettere sulla figura di questa eroina della filosofia è proprio la filosofia stessa: quante donne sacrificate per permettere alle contemporanee di partecipare al mondo degli uomini? Troppe. Il sacrificio non è solo perdere la vita, questa è la sua forma più estrema, sacrificio è anche rinunciare quotidianamente alle proprie aspirazioni a causa di uno stereotipo. Una considerazione che non è il ritorno ad un lontano femminismo, ma la riflessione inconfutabile di chi ha fatto della filosofia, della riflessione, dell’interrogazione e della ricerca di sé per comprendere gli altri, un punto fermo. Ipazia è una diversa, per l’epoca era inimmaginabile che un donna potesse studiare e insegnare agli uomini, e il suo essere diversa lo ha pagato con la vita. Senza doversi immolare e dopo aver conquistato il diritto sacrosanto alla parità, oggi le donne sono chiamate ancora a dimostrare. A dimostrare di avere una mente pensante mentre sono costrette, a volte soprattutto da se stesse, a mostrarsi sempre più “belle”, considerando ancora il corpo un veicolo per “vendere” il contenuto.

Il femminismo ha decretato, attraverso una rivoluzione culturale, la fine della presunzione maschile di essere qualche gradino, a volte una scalinata, più su rispetto alle donne, ma ora non è più utile riportarlo in auge. Per ribadire il giusto rapporto tra uomini e donne dovremmo parlare, creando un neologismo, di paritismo, di lotta per consolidare una parità di cui tutti siamo ormai depositari.  Ribadire la parità significa non alzare più barricate e sviluppare tra donne una maggiore solidarietà che tradotto vuol dire non vedere l’altra donna come una nemica, ma essere felici se lei conquista uno status socioculturale più avanzato rispetto al nostro: è necessario vedere in questo avanzamento una conquista del paritismo e non relegarlo ad un ricettacolo di invidia. Lottare per il paritismo vuol dire anche abbandonare l’idea che sia il corpo il miglior veicolo per “vendere” il contenuto. Ciò non comporta il diventare sciatte e prive di seduttività, ma il corpo con la sua bellezza deve essere preservato e valorizzato in nome del paritismo. “Mi piaccio perché mi amo, e non mi svilisco proprio perché amandomi mi piaccio”.

Se le donne riusciranno a raggiungere questo importante traguardo, non avranno più bisogno di vendere il contenuto perché esso si rivelerà all’altro senza difficoltà. Spesso le donne sono ossessionate dall’idea dell’eterna giovinezza e, impegnandosi all’ossessione nella cura della cellulite, non si accorgono che molti uomini sanno andare oltre i piccoli guai delle imperfezioni: una donna imperfetta è più reale.


Oggi il sacrificio di Ipazia ci sembra molto lontano, ma il suo modello è del tutto attuale: lei a discapito della convinzione dominante, convinta che il suo unico destino dovesse essere quello di moglie e madre, ha saputo scegliere di seguire la propria natura divenendo simbolo del paritismo. Ipazia era intelligente, colta e molto bella; non ha scelto la via della cultura perché nessuno la voleva come moglie, ma solo per non tradire se stessa. È in questa sua natura che riesco a immaginarmela come martire, morendo per difendere il diritto femminile alla parità nell’uso dell’intelletto, ha iniziato una lotta che non deve essere interrotta.


Ipazia non è stata una femminista ante litteram, ma un paritista.


Maria Giovanna Farina




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