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Allora ho taciuto, ma era troppo evidente che qualcosa ci stava dividendo, un segreto?

Ed è infatti stata lei a dirmi: “Come ti sembro?” “Sempre la stessa, solo più silenziosa.”

No, mi ha risposto, non sono più la stessa persona, ora non lavoro più.” E da qui, ad aprire tutte le cataratte del cielo per sfogarsi, è stato un tutt’uno. Cinzia, le darò questo nome, mi ha raccontato di stare bene, ma di avere perso il lavoro da quattro mesi. Ho avuto nei suoi confronti un grande sentimento di solidarietà, io che il lavoro l’ho dovuto lasciare, ed abbiamo deciso di fermarci un po’ di più insieme, per chiacchierare.

Cinzia è solare ed energica, ha sempre avuto un lavoro importante, ma ora la sua azienda, proprio per la sua posizione importante che non sta al passo con la crisi economica ed aziendale, ha deciso di darle il benservito. Però, facile così, sui due piedi, solo perché uno è quadro o dirigente, non ce li hanno anche loro alcuni diritti?

Le considerazioni che abbiamo fatto insieme, hanno riguardato i numerosi licenziamenti, le persone che per questo si sono tolte la vita, quelle che non arrivano alla fine del mese. Dietro ad ogni storia c’è un dramma, una famiglia disperata, una vita negata. Ma Cinzia non è a questo punto, ha chi pensa al suo sostentamento; il suo problema è più sottile: il guaio è che uno, licenziato, senza lavoro è come se fosse senza identità; non conta più nulla, non ha niente da raccontare, niente da portare a casa, anzi, nemmeno un motivo per uscire la mattina, uno per alzarsi addirittura dal letto, la mattina.

Cinzia mi ha raccontato del senso di nullità che l’aveva presa all’inizio, una vergogna.

Ma quale vergogna? Una vittima si deve altresì difendere dalle altrui considerazioni, scherziamo? Eppure è così; uno sente di non voler incontrare amici e conoscenti per non spiegare, non raccontare, non sentire le solite parole di comprensione, vera o falsa che sia.

Uno ha dinanzi a se solo ansie per il domani o forse dopodomani. Paure perché la vita deve fare il suo corso, mentre sembra che la tua si stia fermando. Uno inizia ad elaborare la perdita del lavoro, come si fa per un lutto, perché di questo si tratta, l’aver perso quella parte di sé che era la dominante.

Ma Cinzia è solare ed energica, certo, ed è anche intraprendente, e dopo aver pianto un po’ su se stessa, ha cominciato a mandare un po’ di curriculum. Ci credereste? Lei, sempre ossequiata e riverita, corteggiata anche, ora non è stata degnata nemmeno di una risposta, là, in quegli stessi ambienti dove aveva avuto prestigiosi incontri di lavoro. Lei fa l’architetto, di luoghi e persone ne ha viste, accipicchia! Così ha capito che doveva tirarsi fuori lei dai guai, da sola (gli altri ti dicono di sì, ma dove te lo possono trovare un lavoro, poveracci, anche con tutta la buona volontà!?!)

Ecco allora rispolverare una sua vecchia passione, la cucina. Ma non c’erano anche Carla e forse Rita, che da adolescenti sognavano di aprire il ristorante “ La pappa al pomodoro“? Detto fatto, prima la ricerca ed alla fine le due compagne d’avventura si son trovate. Una rifiuta l’offerta: “Voi siete matte”, Rita invece dice Proviamo!” Viene così inaugurata la nuova società Cinzia-Rita, che si offre, a prezzi sicuramente più convenienti di un catering, di preparare pranzi e cene in casa di amiche. “Mica una cosa in grande, per carità, iniziamo a farci le ossa - mi dice - ma siamo già molto ricercate, perché in questi casi il passaparola funziona, eccome!”

 Lo so, non è cosa per tutti e non sempre è possibile, ma anche affrontare una cosa tremenda con uno spirito combattivo può portare a buoni risultati, perché no? E’ un po’ come guardare sempre quella parte di bicchiere, da dove l’acqua non esce mai, perché siamo noi a mettercela, con il nostro ottimismo, la nostra combattività, la nostra voglia di non perdere.

G.P.



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L'accento di Socrate