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Che cosa pensano i vecchi?


Che cosa pensano i vecchi? Del tempo che passa, voglio dire, e del tempo che rimane. Mi sono sempre chiesta cosa pensa un anziano quando riflette sul fatto che potrà avere davanti a sé qualche anno, magari un decennio o più, se tutto va bene. Una risposta mi venne un giorno  da una signora vivacissima, di una simpatia contagiosa, con cui scambiai parole nell’anticamera di uno studio medico: il discorso cadde sulla sua età e disse di aver più di novanta anni; ma ne dimostrava meno di settanta! Naturalmente io ed altri esternammo la nostra genuina sorpresa  assicurando che avrebbe avuto – vista la sua straordinaria vitalità e il suo aspetto giovanile – ancora molti anni davanti a sé. Ma lei disse, con impagabile ironia che sì, d’accordo! ma facendo i conti potevano essere un po’ di anni… Ma più di quelli non avrebbero potuto essere: questo era un fatto!. Allora dissi – ricordo – di avere letto di una località - forse più d’una, e anche in Italia! - dove gli anziani vivono più di centodieci anni; e il discorso si allargò allora a considerazioni circa il clima, i luoghi non inquinati dove queste persone senza dubbio  vivono, l’alimentazione sana, il fattore genetico certo, la tempra più forte di chi è anziano oggi rispetto ai più giovani…:  tutti fattori  - (di cui noi cittadini non godiamo, purtroppo, ahimè) – che certamente sono i portentosi agenti di tanta longevità. E comunque non è detto! Che ne sa lei signora se non muoio prima io?! Solo dio lo sa.

Rimaneva comunque sospesa sul nostro conversare quella somma restante di anni di cui diceva la signora:   anni che più che tanto dopo i novanta non potevano essere,  e che la signora  tanto spiritosamente e ironicamente aveva sottoposto alla nostra attenzione, rivelando così il cruccio segreto che alberga nel cuore di coloro che hanno percorso ormai il tratto più lungo della loro vita quaggiù: quanto tempo ancora?

Ho sempre pensato che la Natura non possa mancare di venire in soccorso, benigna, – con illusionismi vari - in quella età critica in cui si comincia quello che possiamo considerare il conto alla rovescia: quella età in cui il tempo sembra scorrere più veloce rispetto ai passati giorni della giovinezza e anche della stessa maturità. E’ questo quello che pensavo realmente quando ho cominciato a scrivere, cioè  chiedendomi: cosa pensano i vecchi? Pensavo che, quale che sia il grado della consapevolezza loro del tempo che passa, la Natura non possa  mancare di venire in soccorso per aiutare ad accettare l’idea della morte. Per esempio, con i trucchi psicologici, non saprei come altro chiamarli: sono più d’uno quelli cui il vecchio fa ricorso.
 Uno che considero simpaticissimo è quello esemplificato dal breve aneddoto che dirò: la signora Ada, mia suocera, che ci ha lasciato all’età di novantanove anni, soleva dire di non conversare volentieri con i vecchi. Aveva d’altra parte perfettamente ragione perché lei – posso assicurarlo – era intimamente una giovinetta e non gradiva di intrattenersi - per esempio - con certe sue cugine che parlavano sempre dei malanni dei vecchi. Potreste obiettare che lei, Ada, era fortunata a non avere malanni ma in realtà li aveva; solo che non li esternava. E portava – incantevole! - la sua età con elegante, deliziosa leggerezza.


C’è un altro fattore che entra in gioco in questa disanima modesta della vecchiezza, (viziata peraltro – probabilmente - dal fatto che la scrivente non ne è poi così lontana, e il cosiddetto  distacco può essere che manchi): il fatto che il concetto di vecchiezza, se ben ci pensiamo, è relativo all’osservatore: un giovane di  meno di venti anni considera vecchio uno di quaranta, una donna di quaranta può sentirsi in crisi ma certamente non vorrebbe che il ventenne la considerasse vecchia. La stessa persona tuttavia a quarantacinque anni comincerà a pensare con apprensione al giorno in cui approderà alla quinta decina. Una sessantenne può considerarsi ancora relativamente giovane se è in forze; e gli standard di vita del tempo presente possono darle ragione. Ciò non toglie che agli occhi di un trentenne venga considerata decisamente matura…Ma, soprattutto, la sessantenne che si avvicinasse ai settanta comincia ad avere delle apprensioni di spessore diverso. Ci sono certi numeri che – per quanto uno si sforzi – non possono che apparire significativi.

Ognuno di noi arriverà – se è fortunato, se la corsa non si ferma prima – al momento in cui si chiederà: quanto tempo ancora? Se lo chiederà – chiunque, credo – e in ogni caso: se lo chiederà chi è ancora in buona salute come chi invece è affetto da malanni. Ognuno spera che mancherà ancora molto tempo prima di fare i conti con le leggi della natura. Ognuno si troverà a fare bilanci, di varia natura. Ognuno si troverà a fare i conti con l’accettazione o meno della sua vecchiezza da parte di chi lo circonda. Nella misura di questa accettazione – o meno – forse egli vorrà continuare a vivere e vivrà. Ma anche la accettazione di se stessi conterà. Triste la condizione di chi non accetta di essere vecchio, dove per essere vecchio qui intenderei soprattutto la consapevolezza della nostra finitezza umana, la accettazione del fatto che è giusto che la natura ci inviti a lasciare il posto a chi ci segue; e intanto cominciare a cederlo, il posto, poco  per volta.

Ci sono vari modi per farlo. Ci sono stati anche i modi radicali – la Storia ce ne narra: come il caso delle vecchie donne native americane che si ritiravano nel deserto attendendo la fine quando ritenevano che così fosse meglio per la loro tribù, di cui si consideravano un peso-morto – Non sono neanche certa di poter usare il verbo al passato: ci sono stati , quando dovrei usare magari il tempo presente. Chi lo dice che quel sacrificio di sé non avvenga anche ai nostri giorni nella civilissima civiltà dei consumi, e della giovinezza imperante ed esibita, e del mito della bellezza e giovinezza perenni? Se lo sforzo di adeguarsi a questi miti e modelli – nel caso lo si consideri necessario - fosse troppo doloroso e difficile, se troppo negativa la immagine di sé allo specchio, eccetera, chi lo dice che non possa avvenire, magari inconsciamente, quel ritirarsi? Mi rendo conto di esprimere una opinione un po’ dura.


Qualche tempo fa parlavo di quel fatto, delle vecchie donne native americane, in una conversazione con amici – più o meno tutti della medesima età, - dicendo che mi sembrava ecologica la scelta di quelle, anche giusta. Luciano, l’amico carissimo protestò – sì , vabbè, ma il più tardi possibile! – E poi ridemmo!
Ecco, si può ridere, riderne: il senso dell’umorismo,  questa somma virtù - che si accompagna al senso del proprio limite -, (come di quello degli altri, del resto) può aiutare anche nel contingenza della vecchiezza.  O no?...

Germana Pisa





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L'accento di Socrate