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Assassino: il senso delle parole


 

Il termine “assassino” deriva dall’arabo e significa “fumatore di hashish”, gli assassini erano i membri di una setta musulmana sciita degli Ismailiti sorta in Persia verso la fine dell’undicesimo secolo e dispersa dall’invasione dei Mongoli nel XIII, i cui componenti ubbidivano ciecamente al loro capo, Hassan ibn Sabbah detto “Il Vecchio della Montagna”, e sotto gli effetti della droga uccidevano le persone che venivano loro indicate. Il termine “assassino” era riferito quindi a persona. Ancora oggi se cerchiamo su un qualunque dizionario, ogni definizione che troviamo inizia quasi sempre col pronome relativo “Chi” ossia “persona” che può essere di sesso maschile o femminile.  Si dice anche “sguardo assassino”, “ghigno assassino” o “sorriso assassino” per definire un sorriso particolarmente seducente, oppure si definisce assassino chi uccide in senso metaforico un’opera, un sentimento, ma in ogni caso si tratta di espressioni relative a persone. Viene da chiedersi se sia corretto definire “assassino” un animale diverso dall’uomo che uccide e sinceramente non saprei cosa rispondere anche se lo ritengo più appropriato che attribuirlo ad un evento o ad un oggetto privo di volontà, tuttavia non me la sentirei di chiamare assassina una belva che uccide per nutrirsi. A questo quesito la letteratura interrogata non viene in mio soccorso per cui chiedo aiuto alla benevolenza dei lettori.  

A giudicare da quanto sopra la conditio sine qua non per essere definito “assassino” è quella di essere persona o espressione di persona, eppure sembra che questa condizione non sia più essenziale a giudicare dai titoli sui giornali e dagli annunci radiotelevisivi. Penso che non vi sia cosa che non possa essere definita dai mass media “assassina”: è forse il termine più inflazionato. Nebbia assassina, valanga assassina, onda assassina, frana assassina, ghiaccio assassino e chi più ne ha più ne metta, ma se vogliamo guardare bene vediamo che i veicoli sono guidati dalle persone e la maggior parte delle valanghe, delle frane, dalle alluvioni che provocano vittime, sono anch’esse provocate dalle opere dell’uomo e quando le avverse condizioni climatiche sconsigliano di uscire è sempre l’uomo che in ultima analisi decide; scaricare la responsabilità sugli eventi diminuisce quella di chi è la reale causa e probabilmente il taglio scandalistico aiuta a vendere più giornali. Si trova sempre un muto capro espiatorio e il giustificazionismo trionfa. Assassino diventa impropriamente sinonimo di provocatore/causa di morte e avremo così le sentenze assassine, i batteri assassini, il boccone assassino e tutto ciò che può provocare la morte.

Rimane quindi la possibilità o scelta di adeguarsi/adattarsi all’uso improprio del vocabolo o rifiutare con vigore il sopruso e magari accontentarsi di usare la meno plateale forma verbale con il più appropriato e generico verbo “uccidere”; ma in questa eristica tenzone vincerà come al solito non la legalità ma chi decide quale sia la legalità, in fondo la linea di confine tra legale e illegale è molto discutibile e anche nei casi ben più gravi di questo, che se vogliamo è solo una sottile disquisizione accademica, non è il danno né il dolore di chi subisce a decidere la perseguibilità dei crimini, ma il colore della bandiera sotto la quale vengono perpetrati.

Max Bonfanti




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