È
il mondo che si introduce in noi
Quello
di Idolo Hoxhvogli, Introduzione al mondo
(Scepsi e Mattana, 107 pp.) è un libro che riguarda tutti e
ciascuno, essendo un libro sul periodo in cui ci è dato
vivere, a proposito del quale l’autore (e chi scrive
concorda) non ha dubbi: si tratta di un periodo di decadenza.
L’autore
avvisa il lettore che tre delle sue prose sono strettamente legate
a tre grandi della letteratura: Franz Kafka, La
Legge in città, Paul Eluard,
Rovesciando e
Walter Benjamin, L’impianto del
porco. Certamente quelle prose sono
debitrici a quegli autori, anzi, direi che le tracce di tali
autori si trovano sparse un po’ in tutto il libro,
originando delle “riscritture” (come le chiama
Hoxhvogli, rifacendosi a Novalis «Il vero lettore deve
essere l’autore ampliato») di sicuro interesse.
Tuttavia, gli autori e i testi che personalmente mi sono venuti
incontro leggendo Introduzione al mondo
sono il Theodor Adorno della Dialettica
dell’illuminismo (scritta con Max
Horkheimer) e di Minima Moralia
e il Pier Paolo Pasolini di Petrolio.
Hoxhvogli infatti ricorda la Dialettica
dell’illuminismo per la valenza del
frammento, non a caso il sottotitolo di quella è Frammenti
filosofici. Gli indizi della natura di
un’età appaiono infatti sotto forma di frammenti, e
le prose che compongono il libro, dell’autore nato Tirana e
cresciuto in Italia, sono, appunto, frammenti. Così come
solo la sensibilità individuale può coglierli,
altrettanto, solo la riflessione individuale può costruire
a partire da essi un quadro più ampio. Il collegamento con
Minima Moralia
deriva invece dal contenuto dell’opera, il sottotitolo di
quella recita Meditazioni sulla vita
offesa. Proprio quel particolare tipo di
offesa che in questo libro caratterizza la decadenza di questa età
dell’uomo. La prosa di Hoxhvogli ha uno stile
metaforico-allegorico, pur nascendo dall’osservazione della
realtà (forse arricchita con qualche riferimento
biografico) che vuole restituire. Ne deriva un tentativo di
rendere la realtà in termini quasi mitici, senza con ciò
allontanarsene ma al contrario penetrandola più in
profondità. Questo richiama alla mente quell’insuperata
(benché incompiuta) opera di proiezione del mito sulla
realtà, la creazione di una sorta di epica contemporanea,
che è il Petrolio
di Pasolini.
Ora,
il libro di Hoxhvogli è caratterizzato proprio
dall’interazione tra lo stile del frammento e la resa della
realtà in forma mitica: il testo è infatti una
raccolta di brevi prose, ciascuna delle quali rappresenta un
piccolo mito (nel senso, ripeto a scanso di equivoci, di
traduzione in forma di mito della realtà che quindi
costituisce sempre il saldo riferimento dell’autore).
Tuttavia, l’incisività del frammento consiste nel far
emergere con chiarezza, focalizzandovi l’attenzione, ciò
che abitualmente è sotterraneo e/o annebbiato dal mare
magnum del corso degli eventi. E tutto ciò può
avvenire se e quando il frammento esprime a chiare lettere il suo
contenuto. Di conseguenza, il frammento è un che di
aperto: ogni frammento costituisce la tessera di un mosaico che
svela il suo significato in relazione al tutto. Quanto al mito
(anche quella forma pasoliniana che è la descrizione della
contemporaneità in termini mitici) esso contiene già
in se stesso il suo significato. Un mito contiene già il
senso completo di ciò che descrive. Conseguentemente, è
un che di chiuso. Ecco perché, a parere di chi scrive, la
forma del frammento riempita col contenuto del mito costringe ad
una difficile convivenza due modalità espressive
profondamente diverse, esponendo al rischio (che certamente può
essere evitato dai lettori più avveduti, ma che tuttavia
sussiste) che ogni frammento rimanga chiuso nella propria miticità
e si perda così il panorama complessivo. Ma, stanti le
abilità letterarie di Hoxhvogli, la mia più che una
critica è una sollecitazione: un invito ad una prossima
opera che racconti la realtà in forma mitica, in un unico e
complessivo scenario.
Quanto
ai temi del libro, il tema di fondo è quello di un
abbrutimento della vita e dell’uomo tale da originare forme
di vita sensibilmente diverse dalle precedenti; ancora una volta
ricorre la vicinanza con Adorno, “la vita non vive” e
Pasolini, la “mutazione antropologica”. Il più
evidente indicatore di ciò consiste nella diffusa
incapacità di riconoscere ciò che è di
valore, separandolo dal resto. Un mancato riconoscimento che si
sviluppa poi in una spasmodica ricerca del volgare e del banale,
assunti, si badi bene, per mera assuefazione, negando così
ogni eventuale residuo di discernimento. Processo, questo, reso
possibile da quel rumore
(a proposito del quale mi permetto di rinviare a questo mio
articolo propedeutico, Se
una para-democrazia si fa dogma (Appunti sulla democrazia)
http://www.criticaliberale.it/settimanale/127588)
al quale, lungi dall’essere percepito come insopportabile,
ci si è ormai, appunto, assuefatti. Un rumoroso mare magnum
di banalità, nel cui flusso, non semplicemente è
difficile ma, per quello di cui sopra, è ormai impossibile
(al netto di eccezioni in via di estinzione) individuare e isolare
qualcosa di valore. Uno scenario reso possibile e alimentato da
quella società della spettacolo (di debordiana memoria),
figlia di quell’industria dell’intrattenimento e di
quella massificazione della cultura (di francofortese memoria), a
sua volta figlia del ribaltamento (storico o necessario?) delle
intenzioni dell’illuminismo nel loro esatto opposto. Ne
deriva un edonismo distorto, dove il piacere è
lacanianamente perversione. Ma soprattutto, ne deriva
l’ottundimento della possibilità di comprensione del
sistema, direi dell’ideologia, in cui si vive. E sia chiaro
che le superficiali tematizzazioni a buon mercato di questo
argomento, sono parte integrante di quel sistema. Là dove
non c’è comprensione, viene meno anche qualsiasi
possibilità di redenzione. Quale possibilità di
redenzione è infatti in simili scenari?
«Dopo
mesi consumati in selezioni spietate, rimasero in due: un
intellettuale e il prestante Ano. Il confronto sviluppato nella
sede legale dei produttori non stabilì alcuna supremazia.
L'intellettuale prevaleva negli argomenti degni di nota, il
vigoroso Ano era imbattibile in tutto il resto. Gli esaminatori
decisero di rivolgersi a dei commissari esterni: ispettori del
Dipartimento di Proctologia dell'intrattenimento
e umanisti delle Accademie. I proctologi, dopo un'accurata
ispezione, apprezzarono l'integrità di Ano: nessuna traccia
di ragadi. Gli accademici ne sottolinearono il fascino silenzioso
come del “non detto” che vorrebbe farsi cogliere.
Interrogato da uno scrittore circa l'essenza del contemporaneo,
Ano sbalordì la commissione con una sentenza magistrale: la
contrazione delle labbra in un risolino lussurioso. Gli esperti
capitolarono, Ano sarebbe stato troppo desiderabile per il
pubblico, non si poteva tenerlo fuori. Sia la consulta di
intellettuali che i luminari della proctologia optarono
all'unanimità per il bellissimo Ano.
Come
pronosticato dagli strateghi, la trasmissione fece il pieno di
ascolti. Il picco di chier
arrivò durante un confronto sulla capacità dei media
di migliorare la società. Cercando di proferire parole
ponderate, Ano fu colto da un brusco attacco di tosse
petodefecante. Le telecamere vennero travolte dal letame»
(p. 67).
Un’introduzione
“al” mondo segna anche l’introduzione “del”
mondo dentro la coscienza. Dimensione una volta colonizzata la
quale, tutto il resto diviene una semplice, banale, conseguenza.
Prima e più di qualsiasi trattato che volesse affrontare ad
ampio spettro questi temi, tutto questo, questa decadenza, è
visibile nelle piccole, apparentemente innocenti, banali,
situazioni quotidiane, dove un oggetto, un atteggiamento, uno
sguardo, una parola aprono a, colludono con e rendono possibile un
certo mondo. Ecco perché l’impegno che ciascun uomo
dovrebbe porsi, non è quello di affrontare i mulini a vento
dei macroargomenti (presi abitualmente in termini ancora più
macroscopici), ma quello di vivere con attenzione la propria
quotidianità, nei piccoli eventi della quale si determina
il tipo di uomo che si è e il tipo di mondo che si vive.
Certo, per far questo, bisognerebbe in qualche modo essere
portatori di una possibile alterità, non semplice
alternativa, ma proprio su questo, in un mondo formato da
individui che disconoscono la qualità e l’alterità
in luogo dell’uniformità del rumore, sembra
naufragare ogni possibilità.
Federico
Sollazzo,
docente di Moral Philosophy presso il Dipartimento di Filosofia dell'Università di Szeged
ideatore
e curatore di CriticaMente
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