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Cos'è la "società aperta"?

 



La dottrina del popolo eletto rappresenta una delle più semplici ed antiche forme di storicismo, inteso come quel movimento di pensiero ritenente che la storia abbia un intrinseco telos. Tale dottrina si basa su un’interpretazione teistica della storia, ovvero, riconosce Dio come autore della storia e vede in un determinato popolo (quello eletto) lo "strumento storico" della volontà divina. Ora, da questa prospettiva il nazi-fascismo ed il marxismo possono essere considerati, come ha rilevato Karl R. Popper, due varianti di tale dottrina, anzi, essi rappresentano le      

due più importanti versioni moderne dello storicismo […]: la filosofia storicistica del razzismo o fascismo da una parte (destra) e la filosofia storicistica del marxismo dall’altra (sinistra) […] al popolo eletto il razzismo sostituisce la razza eletta […] considerata come lo strumento del destino e alla fine destinata a dominare la terra. La filosofia storicistica di Marx sostituisce al popolo eletto la classe eletta, considerata come lo strumento per la creazione della società senza classi e, nello stesso tempo, come classe destinata a dominare la terra(1)    

Quindi, in tutte le sue possibili varianti (di cui le principali sono quella teistica, quella biologica e quella economica), lo storicismo rappresenta sempre una malattia del pensiero, poiché porta gli uomini a rifiutare le proprie responsabilità nei processi di edificazione della società, sottomettendosi ad un superiore "destino storico". 
Con la critica dello storicismo, Popper non fa altro che ribadire e confermare, in maniera personale, la critica operata da pressoché tutta l’intellighenzia europea nei confronti della dismissione del ragionamento indipendente e della conseguente deresponsabilizzazione morale, con le relative conseguenze socio-politiche. Ma il suo pensiero diviene invece assolutamente innovativo nel riconoscimento di un altro male socio-politico che, lo stesso autore, chiama "teoria cospiratoria della società". Essa, contrariamente allo storicismo, consiste nel ritenere che nella storia non vi sia un 
telos, immanente o trascendente, al quale l’uomo debba sottomettersi, bensì che la storia sia il prodotto di determinate istituzioni umane, svincolate da qualsiasi telos, attraverso le quali alcuni uomini detengono il potere. Per questo (cioè per la sua assenza di fede in un superiore fine ultimo), essa non può essere considerata solo come una forma di secolarizzazione delle superstizioni religiose: essa rappresenta l’idea di una autonomizzazione ed emancipazione delle forze che controllano la società, da una qualsiasi prospettiva teleologica. Pertanto, la teoria cospiratoria della società rappresenta l’  

opinione secondo cui tutto quel che accade nella società – comprese le cose che la gente, di regola, non ama, come la guerra, la disoccupazione, la povertà, le carestie – sono il risultato di un preciso proposito perseguito da alcuni individui, o gruppi potenti(2)

Secondo il pensatore austriaco, la teoria cospiratoria della società ha la sua debolezza nel fatto che le cospirazioni, anche qualora fossero tentate, sono per la maggior parte destinate al fallimento. Infatti, secondo la teoria cospiratoria, le istituzioni e gli eventi sociali dovrebbero essere degli esiti voluti di determinati progetti, mentre, secondo Popper, la maggior parte delle conseguenze delle nostre azioni intenzionali, sono inintenzionali, dunque, «poche di queste cospirazioni alla fine hanno successo […] (in quanto) 
i cospiratori raramente riescono ad attuare le loro cospirazioni»(3). 
Tuttavia, il più grande male socio-politico scorto da Popper risiede, notoriamente, nel programma politico di Platone, i cui aspetti fondamentali sono, a giudizio di Popper, i seguenti: la rigida divisione delle classi; l’identificazione della sorte dello Stato con quella della sua classe dirigente; una serie di privilegi della classe dirigente sulle altre; l’impossibilità di cambiare l’organizzazione sociale; la sottomissione del singolo alla comunità; la divulgazione di menzogne propagandistiche (prima fra tutte, quella della tripartizione dell’anima); il potere politico incontrastato dei filosofi, che si ritengono in contatto con la verità unica ed assoluta (
alētheia). L’approccio platonico alla politica è, per Popper, viziato da un grave difetto definibile come “ingegneria utopica”, consistente in un progetto di ricostruzione globale della società, finalizzato all’edificazione di un mondo che sia del tutto esente da qualsiasi tipo d’imperfezione. L’utopismo, il perfettismo e l’estetismo sono, allora, le linee guida di questa ingegneria utopica che, per il pensatore viennese, determinano il carattere totalitario della teoria politica platonica(4).
Ora, se Platone è direttamente il teorico antico del totalitarismo, G. W. F. Hegel lo è indirettamente nell’epoca moderna. La filosofia di Hegel poggia infatti, per Popper, su due pilastri: la legge della dialettica e la filosofia dell’identità. La prima è una variante ottimistica (al contrario, ad esempio, di quella di Oswald Spengler) dello storicismo, secondo la quale l’ineluttabile sviluppo della dialettica coincide con il progresso della civiltà e si concretizza nello Stato (ovviamente Hegel allude a quello prussiano). La seconda rappresenta un’applicazione della dialettica che porta Hegel ad affermare

che tutto ciò che è razionale dev’essere reale e che tutto ciò che è reale dev’essere razionale e che lo sviluppo della realtà è lo stesso che quello della ragione […] il suo risultato fondamentale è un positivismo etico e giuridico, la dottrina che ciò che è, è bene, dal momento che non ci sono altri standard all’infuori di quelli esistenti; è la dottrina che la forza è diritto(5)        

Tali ragionamenti sono stati, per Popper, l’arsenale di tutti i moderni movimenti totalitari, poiché hanno generato idee quali: il nazionalismo, inteso come l’incarnazione dello Spirito nello Stato; la concezione di una “inimicizia naturale” fra uno Stato e tutti gli altri; l’“eticizzazione” della guerra; il mito del “Grand’Uomo”; l’ideale della vita eroica(6). Ovviamente, quale trasposizione materialistica dell’hegelismo, il pensiero di Karl Marx risulta, agli occhi di Popper, profondamente intriso di quegli stessi errori di cui si nutre: il materialismo storico e dialettico rappresenta una sorta di storicismo economico, giacché si fonda sulla previsione di un’ineluttabile evoluzione economica, alla quale seguirà un’altrettanto ineluttabile mutazione politico-sociale(7).    
Ma qual è l’alternativa che Popper propone, in luogo di ogni forma di autoritarismo e di storicismo? La risposta è nota: la “società aperta”(8). Essa consiste nell’accoglimento e nel confronto, all’interno della società, di una molteplicità di prospettive e valori filosofici, religiosi e politici, insomma, di punti di vista diversi, di proposte differenti e magari contrastanti(9); essa accetta qualsiasi gruppo ed individuo, ad eccezione degli intolleranti, poiché essi si pongono al di fuori dell’idea sociale basilare, quella di tolleranza:

se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro l’attacco degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti, e la tolleranza, con essi […] noi dovremmo […] proclamare, in nome della tolleranza, il diritto di non tollerare gli intolleranti(10)               

Ma perché l’idea di tolleranza deve costituire il principio fondamentale della società aperta? Ciò dipende da due ragioni essenziali: la fallibilità della conoscenza umana ed il politeismo dei valori. La prima è un’idea che non necessita di spiegazioni (soprattutto all’interno del pensiero di uno “scientista”). Il secondo punto merita, invece, un chiarimento. Secondo Popper, il risultato più importante cui la ragione può pervenire in campo etico, è quello di mostrare come l’etica non sia una scienza e come, conseguentemente, i valori ultimi non siano "teoremi", ma proposte ed ideali di vita, in merito ai quali ciascuno di noi compie una scelta personale. In altre parole, i valori ultimi si fondano su argomentazioni (e sul loro confronto) che, a loro volta, non si fondano su nulla; i valori ultimi derivano, in maniera logica, da argomentazioni che, a loro volta, non derivano da nulla; i valori ultimi non si possono né dimostrare né confutare razionalmente, ma solo accettare o respingere in base ad una personale e libera scelta di coscienza(11). Fallibilità della conoscenza umana(12) e inderivabilità delle proposte etiche dalla logica sono, quindi, i due pilastri su cui si erge la società aperta. Essi consentono di immunizzare la società da presunte leggi ineluttabili e necessarie, e di edificare la stessa per mezzo del confronto di opinioni che, come e oltre Hannah Arendt, non solo non richiedono una fondazione ultima, ma non devono e non possono avere una simile fondazione, in caso contrario la società sarebbe chiusa all’interno di quella che, di volta in volta, si porrebbe come la sua fondata e, dunque, assoluta verità. Uno dei primi effetti di una simile impostazione è quello di sottrarre qualsiasi pretesa razionale alla domanda "chi deve comandare?": a nessuno, uomo o gruppo di uomini, inerisce razionalmente l’attributo della sovranità. Pertanto, la razionale e determinante domanda politica che dobbiamo porci è, per Popper    

Come possiamo organizzare le istituzioni politiche in modo da impedire che i governanti cattivi o incompetenti facciano troppo danno?(13)
         

Come, in altri termini, uomini fallibili, portatori di idee fallibili, possono controllare altri uomini fallibili, portatori di altre idee fallibili, che momentaneamente governano la società? Per rispondere, Popper si spinge a fissare delle precise regole, funzionali alla trasposizione della democrazia dalla teoria alla pratica politica: a) in una democrazia, la maggioranza ha il diritto di governare ma, se non vuole trasformarsi in una tirannia, ha il dovere di lasciare alla minoranza la possibilità di attuare un cambiamento politico pacifico, divenendo maggioranza; b) in senso lato, sono possibili solo due forme di governo, fra cui siamo chiamati a scegliere: la democrazia o la tirannide; c) in democrazia deve essere possibile qualsiasi tipo di cambiamento politico, ad eccezione di quello che può mettere in pericolo il carattere democratico di uno Stato; d) in un regime democratico, la maggioranza protegge le minoranze, ad eccezione di coloro che dovessero incitare al rovesciamento della democrazia stessa; e) il controllo governanti-governati deve essere reciproco e costante poiché, in entrambi i gruppi, potrebbero insorgere tendenze anti-democratiche; f) la democrazia tutela i diritti umani, quindi, la sua distruzione comporterebbe la loro eliminazione; g) i suddetti principi offrono la possibilità di instaurare e mantenere la democrazia, dunque, laddove la loro comprensione non fosse sufficientemente sviluppata, essi vanno promossi: «se essa (la democrazia) effettivamente sopravviverà o meno, il nostro compito è comunque lavorare per la sua salvezza»(14). Insomma, per Popper

Si vive in democrazia quando esistono istituzioni che permettono di rovesciare il governo senza ricorrere alla violenza, cioè senza giungere alla soppressione fisica dei suoi componenti. E’ questa la caratteristica di una democrazia […] La differenza fra una democrazia e una tirannide è che nella prima il governo può essere eliminato senza spargimento di sangue, nella seconda no […] per quanto sia ben consapevole delle sue molte imperfezioni, penso che la democrazia sia, nella storia del genere umano, la migliore e più nobile forma di convivenza sociale mai realizzata(15)    

Da tutte le suddette argomentazioni si può notare come ciò di cui Popper va in cerca sia, similmente alla Arendt, un superamento della semplicistica concezione della democrazia intesa come governo della maggioranza: «L’idea di democrazia come governo del popolo deve venire sostituita dall’idea di democrazia come giudizio del popolo»(16).   
Popper è infatti consapevole di quel “paradosso della democrazia”, con il quale si è dovuto confrontare pressoché ogni pensatore politico, consistente nel pericolo di una tirannia della maggioranza, che egli risolve affermando che, qualora lo spirito democratico venga messo in crisi dalla stessa maggioranza, essa va rimossa, utilizzando ogni mezzo necessario:           

Io non sono contrario, in tutti i casi e in tutte le circostanze, alla rivoluzione violenta. Io credo […] che sotto una tirannide può davvero non esserci alcuna altra possibilità e che una rivoluzione violenta può essere giustificata. Ma credo anche che qualsiasi rivoluzione del genere debba avere come scopo soltanto l’instaurazione di una democrazia(17)          

Per concludere, è interessante notare come le teorie politico-sociali di Popper non abbiano lasciato indifferenti i pensatori moderni che, anzi, si sono spesso divisi fra entusiastici estimatori e aspri critici di tali teorie. Fra i primi, è di particolare rilievo l’ammirazione di Norberto Bobbio nei confronti della formulazione della società aperta, ammirazione che lo porta addirittura ad affermare che «La democrazia, o è la società aperta, in contrapposto alla società chiusa, o non è nulla, un inganno di più»(18). Fra i secondi invece, spicca la contrarietà di Theodor W. Adorno alla concezione popperiana dell’avalutatività delle scienze sociali. Se infatti, per Popper, le scienze sociali devono essere guidate da una logica avalutativa, nella loro descrizione della società(19), per Adorno, questo "zelo puristico", è semplicemente impossibile poiché «I metodi non dipendono dall’ideale metodologico, ma dalla cosa»(20), ovvero, il metodo non è indifferente all’oggetto di studio. Ecco perché per Adorno una teoria sociale è critica, non semplicemente quando essa consiste in un’analisi razionale dei fatti, come è invece per Popper, bensì quando essa si alimenta nelle e delle contraddizioni sociali: sono esse a dover essere criticate, decriptate, e ciò non è possibile da farsi se non assumendo tali contraddizioni all’interno di un determinato pensiero, annullando così le distanze fra il soggetto e l’oggetto, fra il puro pensiero e le contraddizioni sociali, fra la "dialettica" e la società. Oggi, è probabilmente questa la differenza discriminante fra un pensatore "empirista" e/o "postivista" e/o "razionalista", e un "dialettico": non più, come in passato, un diverso atteggiamento nei confronti dei sentimenti e del "mondo interiore" in senso lato, bensì il fatto che, per i primi, il pensiero debba essere una funzione staccata dalla società ed operante in base a delle regole proprie, mentre, per i secondi, il pensiero si esplica, inevitabilmente, all’interno di una determinata società, decifrabile da quello, solo non staccandosene; è questa, forse, l’odierna differenza fra la ratio e il logos

Federico Sollazzo  CriticaMente

Note al testo

1) K. R. Popper, La società aperta e i suoi nemici, Armando, Roma 1996, vol. 1, p. 29; sulla critica di Popper allo storicismo cfr. C. Simkin, Popper’s Views on Natural and Social Science, E.J. Brill, Leiden-New York-Köln 1993, G. Graziano, Karl Popper: la razionalità nella scienza e nella politica, PLUS, Pisa 2004, e G. Cotroneo, Popper e la società aperta, Armando Siciliano, Messina 2006.
2) K. R. Popper, 
Previsione e profezia nelle scienze sociali, in Congetture e confutazioni: Popper e il dibattito epistemologico post-popperiano, Paravia, Torino 1988, p. 580; sullo stesso argomento cfr. K. R. Popper, Come io vedo la filosofia, in «La Cultura», n. 4, 1976.
3) K. R. Popper, 
La società aperta e i suoi nemici, cit., vol. 2, p. 114, parentesi mia. Probabilmente, però, ciò non distoglie chi crede nella teoria della cospirazione dal ritenere che la cospirazione nella quale egli crede sia una delle poche, se non addirittura l’unica, ad essere stata realizzata.
4) Ora, ritengo che sia necessario focalizzare almeno tre aspetti del pensiero politico platonico, che Popper non considera: primo, Platone vive il tramonto dell’epoca d’oro della Grecia periclea, ovvero, la sconfitta di Atene contro Sparta a seguito della guerra del Peloponneso (404 a.C.), il conseguente governo filo-spartano di Atene, quello dei Trenta Tiranni (404-403 a.C.), la condanna a morte di Socrate da parte del mondo politico ateniese (399 a.C.), tutto ciò è interpretato dal filosofo greco non come una mera crisi politica ma come una complessiva crisi dell’uomo, superabile solamente con una rinascita filosofica e, solo in conseguenza di ciò, politica; secondo, i miti sono delle invenzioni filosofiche i cui fini non sono, però, quelli di ingannare gli uomini, bensì quelli di a) rendere più accessibile ed intuitiva la comprensione dei ragionamenti filosofici, e b) riuscire ad alludere ad idee che si trovano al di là dei limiti del logos (ragionamento/linguaggio); terzo, l’instaurazione dello Stato ideale platonico non avviene perché imposta (esplicitamente o coattamente) da un tiranno, da un gruppo di oligarchi o dalla maggioranza, bensì solo se e quando 
tutti i cittadini la desiderano. 
5) K. R. Popper, 
La società aperta e i suoi nemici, cit., vol. 2, p. 52; ed ancora, «il pubblico si attende, a partire da Hegel, e ancor più a partire da Spengler, che un saggio, e in particolare un filosofo o un filosofo della storia, sia in grado di predire il futuro», K. R. Popper, La liberazione di sé mediante il sapere, in Alla ricerca di un mondo migliore, Armando, Roma 1989, pp. 142-143; sulle critiche ad Hegel cfr. anche, K. R. Popper, Contro i paroloni, in Ibidem. Come nelle critiche a Platone, Popper sembra non considerare il complessivo paradigma filosofico dell’autore, infatti per Hegel il pensiero svolge sempre una funzione conciliante: egli non nega l’esistenza del molteplice, ma si sforza di comprenderlo all’interno del tutto.
6) Cfr., K. R. Popper, 
La società aperta e i suoi nemici, cit., vol. 2, pp. 75-92.
7) L’unico merito, benché a suo dire sopravvalutato, che Popper riconosce a Marx, è quello di avere rivelato l’esistenza di una interazione fra le condizioni materiali d’esistenza (in primo luogo quelle economiche) e le idee, cfr. 
Ibidem, pp. 126-128.
8) Nonostante che il termine di società aperta sia divenuto identificativo dell’opera popperiana, lo stesso Popper afferma che «parlare di società è estremamente fuorviante. Naturalmente si può usare un concetto come la società o l’ordine sociale; ma non dobbiamo dimenticare che si tratta solo di concetti ausiliari. Ciò che esiste veramente sono gli uomini […] Questo è ciò che esiste davvero», K. R. Popper, 
La scienza e la storia sul filo dei ricordi, Jaca Book-Casagrande, Bellinzona 1990, pp. 24-25, tesi che ricorda quella arendtiana sull’esistenza al mondo non dell’uomo ma degli «uomini nella pluralità», H. Arendt, Vita activa, Bompiani, Milano 1991, p. 4. 
9) A proposito del confronto fra prospettive diverse: «L’idea di Popper riguardo la disponibilità a ricevere delle critiche mi sembra anche di grande importanza pratica. Le nostre istituzioni politiche sono tristemente poco attrezzate per eseguire una tale funzione, mentre troppa attività governativa – in particolare le relazioni tra il governo, gli interessi dei gruppi e le attività delle comunità con una responsabilità politica – non è affatto soggetta a un sincero esame pubblico», J. Shearmur, 
Il pensiero politico di Karl Popper, Società Aperta, Milano 1997, p. 199, cfr. anche E. Döring – W. Döring, Philosophie der Demokratie bei Kant und Popper, Akademie Verlag, Berlin 1995. 
10) K. R. Popper, 
Utopia e violenza, in Congetture e confutazioni, cit., p. 605.
11) Su ciò sia consentita la seguente osservazione: per Popper la libera scelta di coscienza è la scelta che la coscienza compie quando è 
libera dalla razionalità, tuttavia per lui non vi sono dubbi sul fatto che all’assenza della razionalità corrisponda la presenza del nulla; ma se fosse in balia del nulla, come potrebbe la coscienza compiere una qualsiasi scelta?
12) L’idea della tolleranza come risultato dello scetticismo sulla bontà di qualsiasi idea è presente già nel 
Saggio sulla tolleranza di John Locke del 1667, in cui l’autore cerca un superamento politico delle controversie religiose; inoltre già nella successiva Epistula de tolerantia Locke afferma che questa (la tolleranza) vada negata agli intolleranti, giudicati un pericolo per l’intera società. 
13) K. R. Popper, 
La società aperta e suoi nemici, cit., vol. 1, p. 156; su ciò cfr. anche K. R. Popper, Società aperta, universo aperto, Borla, Roma 1984.
14) K. R. Popper, 
Epistemologia e industrializzazione, in Il mito della cornice, Il Mulino, Bologna 1995, p. 271, parentesi mia, su questo cfr., K. R. Popper, La società aperta e suoi nemici, cit., vol. 2, pp. 189-190.
15) Rispettivamente in K. R. Popper – H. Marcuse, 
Rivoluzione o riforme?, Armando, Roma 1977, p. 46, K. R. Popper, L’opinione pubblica e i principi liberali, in Congetture e confutazioni, cit., p. 595, e K. R. Popper, Epistemologia e industrializzazione, in Il mito della cornice, cit., p. 270.
16) D. Antiseri, 
Karl Popper, Rubbettino, Soveria Mannelli 1999, p. 207.
17) K. R. Popper, 
La società aperta e i suoi nemici, vol. 2, cit., pp. 177-178. 
18) N. Bobbio, 
Società chiusa e società aperta, in «Il Ponte», 1946, p. 1045; recensione pubblicata da Bobbio poco tempo dopo la prima edizione (quella in lingua inglese) de La società aperta e i suoi nemici; inoltre, l’interesse suscitato in Bobbio dalle teorie politiche popperiane, lo porta ad attribuire a queste ultime una portata tale che «Dalla teoria popperiana della società aperta in poi, l’opposizione chiuso/aperto ha preso il posto dell’opposizione illuministica luce/tenebre», N. Bobbio, Liberalismo vecchio e nuovo, in Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino 1995, p. 119, opera nella quale l’applicazione della democrazia viene propugnata non solo nell’ambito istituzionale ma anche in quello imprenditoriale. 
19) Cfr. K. R. Popper, 
La logica delle scienze sociali, in AA. VV., Dialettica e positivismo in sociologia, Einaudi, Torino 1972. 
20) T. W. Adorno, 
Sulla logica delle scienze sociali, in Ibidem, p. 127, e per un confronto fra la prospettiva popperiana e quella adorniana, cfr., R. Dahrendorf, Note sulla discussione di K. R. Popper e Th. W. Adorno, in Ibidem.


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