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Peter Schellenbaum: dialogando con un grande pensatore


Peter Schellenbaum nasce a Winterthur in Svizzera nel 1939. Dopo sette anni di impegno nel campo teologico, terminato come docente a Monaco, segue la formazione in psicologia analitica presso l'Istituto C. G. Jung di Zurigo dove ha esercitato quale docente, insegnante analista e direttore. Vicino a Locarno ha fondato l'Istituto di Psicoenergetica


Nel suo libro Tra uomini, ed. Red che è stato per me oggetto di studi, lei ha fatto una distinzione sostenendo che l’omosessualità non è una malattia ma che alcuni omosessuali sono “malati”. Specificando: alcuni sono fissati e non integrati, l’omosessuale fissato è quello che non riesce a vivere una relazione sentimentale con un partner ma è sempre alla ricerca di un nuovo uomo. Nella speranza cambia numerosi e continui partner senza trovare ciò che sta cercando. Dopo tanti anni dalla pubblicazione di questo libro come vanno le cose ora?



La mia esperienza continua ed è importante ribadire anche sulla base di questo libro che l’omosessualità in sé non è una malattia: questo è importantissimo. Tanti, che avendo letto il mio libro, hanno incominciato a dire “Ah, lei di nuovo torna a fare questa distinzione. Non bisogna fare queste distinzioni”. In realtà anche nel libro parlo dell’eterosessualità fissata, pensiamo a Don Giovanni, a Casanova



Foto scattata durante l'incontro con Peter Schellenbaum

Forse non l’hanno letto bene

Sì, non lo hanno letto bene, ma secondo i loro complessi... Questa distinzione vale sempre, ci sono tanti individui tra gli omosessuali ancora fissati, ma ho l’impressione che ce ne siano meno forse in rapporto ai tempi di questo libro. Oggi per gli omosessuali le cose stanno cambiando un po’ in tutta Europa anche dal punto di vista sociale

Cosa pensa del coming-out, la dichiarazione pubblica delle propria omosessualità? Credo sia da attuare quando ci si sente pronti senza sentirsi obbligati, altrimenti potrebbe essere deleterio. È d’accordo?

Sono completamente d’accordo! Soprattutto in Italia e qui in Canton Ticino ho l’impressione che la pressione sociale sia così forte che per tanti è importante tenere in segreto quello che stanno vivendo dentro di loro, altrimenti rischiano la nevrosi perché vogliono essere se stessi, ma allo stesso tempo dipendono dalla società e ciò crea un conflitto. Penso sia importante comunicare la propria omosessualità prima di tutto alle persone più vicine

Soprattutto ai genitori

Ho un paziente di trent’anni che ha faticato molto, ma poi lo ha comunicato. Il padre è stato molto negativo e lo voleva buttar fuori di casa mentre la mamma è stata più positiva. Poi la comunicazione col padre è divenuta più positiva e a lui ha fatto molto bene

Spesso il padre, come afferma lei nel libro, teme il confronto con il figlio omosessuale, ha paura di entrare in contatto con la propria componente omosessuale. Credo sia il terrore per la diversità a spingere verso questi comportamenti estremi di certi padri

Certi padri hanno paura di essere effeminati

Perché confondono l’effeminatezza con l’omosessualità

Sì, son cose diverse, però c’è sempre questa immagine sociale per cui l’omosessuale è effeminato. Allora i padri che non hanno integrato la loro parte omosessuale hanno questi comportamenti

Occupandosi di omosessualità si viene a contatto anche con l’ambivalenza, la cosiddetta bisessualità. Cosa pensa della bisessualità?

Uno psichiatra di Zurigo che conoscevo da giovane mi disse “Sa, il bisessuale vero e proprio è sempre psicotico”. È esagerato, ma qualche cosetta di vero credo ci sia. Penso che l’inibizione, per scegliere, sia una cosa necessaria: l’inibizione per scegliere ciò che corrisponda alla propria natura. Quando non c’è più l’inibizione, sia di una parte di omosessualità sia di una parte di eterosessualità, allora si appartiene al polimorfo e perverso di cui parlava Freud. Ho conosciuto tanti omosessuali che per una parte della loro vita sono vissuti con una donna ed erano convinti che questa fosse la parte predominante e poi hanno scoperto tramite un amore la loro omosessualità e quindi la parte predominante è diventa un’altra

Quindi secondo lei non è una scelta essere omo o etero, è una questione interiore?

La scelta è inconscia e necessaria alla quale non corrisponde una scelta consapevole

Molti affermano che sia una scelta conscia

Sì, lo so anche la Chiesa lo dice

Un altro suo libro molto interessante per le nostre riflessioni filosofiche è La Ferita dei non amati. ed. Red, un testo che mi ha colpita e aiutata nella formazione professionale. Lei afferma che certe ferite dell’anima dovute al non essere stati amati durante l’infanzia lasciano delle cicatrici che tornano a sanguinare ogni volta io re-incontro il non amore

Se qualcuno, se io, se lei, scegliamo una persona come partner ci sono due aspetti: uno regressivo ed uno progressivo. L’aspetto regressivo tende a ripetere, come dice Freud con la coazione a ripetere, gli stessi modelli. Ma c’è anche l’aspetto progressivo che corrisponde un po’ alla teoria di Jung, cioè il desiderio profondo di salvarsi, di uscire da questa coazione e uscire da quella vecchia ferita

Nel libro afferma che anche se si supera tutto, rimane sempre una ferita e quando si viene a contatto con il non amore, una sofferenza, seppur minima, c’è sempre

Però può diventare una forza per aiutare l’altro e se stessi. Come dice Jung, in un complesso c’è tanta energia quindi può diventare una forza per andare avanti

Però se si comprende questa cosa, altrimenti diventa un limite. Se si elabora il significato della ferita, essa diventa una forza propulsiva, altrimenti se rimane chiusa dentro di sé diventa un limite

Il no in amore, ed. Red, un altro suo libro davvero interessante. Molte donne affermano “Io non so dire di no”. Perciò le chiedo, come si fa a dire di no?

Ci sono due modi. Uno è quello difensivo: io dico no contro qualcuno quindi la mia energia vitale è fissata sull’altro. La mia energia è fuori: non è più in me, perdo energia con questo modo difensivo di dire no. Lavorando anche con i gruppi, mi son reso conto che all’inizio il no è sempre difensivo contro di te, tu hai torto, è un gioco di potere. Invece l’altro modo è sentirsi se stessi, questo è un modo naturale, il rendersi conto consapevole del proprio essere. Anche del proprio corpo, delle proprie emozioni, consapevoli di quel che sono io: allora il no diventa una cosa quasi secondaria, diventa normale se uno si sente bene, se è in contatto con se stesso diventa più facile dire no. Bisogna imparare a dire no, anche in modo difensivo però, se uno sta bene con se stesso allora non ha più tanto bisogno di combattere per arrivare, ma la forza viene dall’interiore. Anche lei conoscerà gente che medita, quelle persone sono più libere di dire no perché non sono più tanto dipendenti dagli altri

Molte persone lamentano l’incapacità di difendersi dalle prevaricazioni, secondo lei che rapporto c’è tra dire no e il non farsi prevaricare?

Per non farsi prevaricare…diventa più difficile perché devo riflettere se posso accentare o no la prevaricazione. Si ha bisogno di tempo, lo dico sempre alle persone: pazienza, non rispondete subito. La libertà della pausa, anche per l’altro è qualcosa che lo rende insicuro e attraverso la pausa sento me stesso, decido anche di dire no in modo aggressivo: ci vuole anche un’aggressività sana

Foto scattata durante l'incontro con Peter Schellenbaum

Quando è sana l’aggressività è una difesa

Sì, certo

Il sogno è anche un racconto autobiografico, non tutti i sogni hanno un profondo contenuto simbolico e inconscio. Credo sia importante anche il primo livello del sogno come racconto di sé. Cosa ne pensa?

Io non passo subito al livello simbolico, rimango concreto, realista, faccio raccontare il sogno più volte senza subito interpretare. Il sogno racconta la nostra vita, è vero. Quando da questo punto di vista non c’è più nulla da dire allora possiamo parlare del simbolico, faccio molta attenzione anche ai gesti, al modo di muoversi, metto in scena il sogno. Ogni tanto in un gruppo drammatizzo, però è molto raro che all’inizio dia dei commenti, faccio vivere il sogno e il valore simbolico entra da solo

Credo che con questo procedimento una persona riesca a raggiungere l’inconscio anche un po’ autonomamente

Proprio di questo si tratta, lo raggiunge da solo

Molti si chiedono perché ci deve essere qualcuno che interpreti i sogni

Infatti, così procedendo il paziente è il regista ed io sono l’aiuto regista. Per me il paziente è il regista. È un lavoro artistico, infatti lavoro con molti artisti

Questo suo modo di muoversi si incontra con la filosofia e soprattutto con l’arte maieutica di Socrate che con il suo dire “Hai già tutto dentro di te” voleva intendere “Recupera ciò che hai dentro e fallo uscire”. Cosa ne pensa?

La filosofia di Socrate fa uscire tramite domande, domande, domande

La psicoanalisi è nata con Freud, ma secondo lei non si è ispirato un po' a Socrate?

Sì, senz’altro. Lo dice esplicitamente anche Jung. Le domande di Socrate sono quelle che non danno teorie all’altro. Certo le domande possono manipolare un po’ e qui si giunge all’etica

Cos’è per lei l’etica professionale?

Il rispetto dell’altro. Esistono tante correnti terapeutiche che possono manipolare. Ci sono tecniche per manipolare l’altro, io lavoro molto con i gesti. Consapevolmente imitando i gesti dell’altro si può imporre se stessi, il proprio pensiero per scopi personali. Questo è abuso

Come le è nata l’idea di fondare l’Istituto di Psicoenergetica?

È nata anche perché ho sentito che in me stesso c’era energia bloccata. Nel 1985 sono stato molto malato e non mi sono accorto del sopraggiungere della malattia, come mai non mi sono accorto? Sono andato avanti senza ascoltare i segnali molto chiari del mio corpo, allora dopo essermi ripreso ho prestato attenzione ai miei segnali e a quelli degli altri. Ad esempio gesti di aggressione e autoaffermazione prima mi davano piuttosto fastidio, oppure i piedi che quando sei seduto si muovevano come se volessero camminare: mi davano fastidio. A poco a poco ho lavorato su questo

Il corpo parla

E bisogna sentirlo

La perdita del contatto col corpo è dovuta alla civilizzazione, al vivere di oggi molto legato alla tecnologia?

Ho l’impressione che in questi ultimi anni anche a causa di internet in tutti i ragazzi il contatto col corpo sia peggiorato

Maria Giovanna Farina



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