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Madri (femministe) e figli (maschi):

intervista alle autrici del libro edito da XL

 

 

Si può cambiare la cultura maschilista? Quali esiti ha avuto il femminismo sulla crescita dei figli maschi? Ho chiesto approfondimenti alle due autrici.

Qual è stata la molla per intraprendere questo studio?

La molla principale è stata il figlio di una delle autrici, che si è chiesta quanto delle sue idee fosse riuscita a trasmettere al figlio, che ha oggi 42 anni; quanto questo figlio avesse introiettato i valori del femminismo, nonostante la forte pressione sociale tutta indirizzata verso i valori “mascolinisti” tipici del patriarcato.  Si è chiesta se i figli delle donne che si riconoscono nel femminismo siano, in qualche misura, diversi e migliori di quelli cresciuti in famiglie più tradizionali e conservatrici. Se hanno insomma una marcia in più. Siamo partite quindi da una situazione molto personale per arrivare alla decisione di esplorare come altre donne che si riconoscevano nel femminismo e che avevano figli maschi erano, o non erano, riuscite a trasmettere ai loro figli dei valori di giustizia, parità di diritti tra uomini e donne, rifiuto delle discriminazioni, rispetto e non violenza.

Ci è sembrato inoltre molto interessante non rimanere solamente nell’ambito italiano ma estendere la ricerca anche in Francia, in Svizzera e nel Quebec, così da poter confrontare le esperienze vissute in contesti sociali molto diversi.

Che differenza avete riscontrato nell'esito educativo di questi figli rispetto a famiglie di impronta patriarcale chiusa?

Dato che tutti i figli intervistati avevano delle madri femministe e, spesso, anche dei padri pro-femministi, non abbiamo potuto confrontarli con ragazzi e uomini allevati in famiglie tradizionalmente patriarcali. Comunque, i giovani uomini intervistati nel libro dichiarano tutti che l’impronta femminista data alla loro educazione li ha sicuramente arricchiti. Ci piace riportare qui alcune frasi tratte dalle loro interviste:

Pietro (Italia) dichiara: “Ho un’educazione femminista che mi ha molto giovato nei rapporti con le donne, e non solo, e mi ha fatto sentire forte l’ingiustizia in generale e le discriminazioni dell’uomo sulla donna, in particolare” (Salvo poi non trovarsi d’accordo con sua madre quando, nelle discussioni famigliari, c’è da parte della madre una critica troppo pesante al mondo maschile!).

Felix (Quebec) afferma: “Credo che la mia educazione mi abbia reso più sensibile dei miei amici alle difficoltà che vivono molte donne ed al sessismo in generale. La violenza domestica maschile in particolare mi tocca profondamente e mi lascia sconcertato”.

Martin (Francia) scrive: “Penso che mia madre mi abbia messo sulla buona strada permettendomi di comprendere i rapporti uomo – donna con maggior distanza e questo fin dall’adolescenza. Penso, molto semplicemente, che il femminismo sia indispensabile all’equilibrio della società intera”. 

- Le madri del vostro studio avrebbero fatto crescere figli maschi inclini al rispetto della donna e quindi al riconoscimento della parità tra i sessi, ma quanto conta in questi nuclei famigliari la figura paterna? Voglio dire: può secondo voi una madre femminista educare alla parità se il marito è di stampo maschista?

La figura paterna, quando è presente, conta moltissimo: infatti, quando il padre (che sia convivente o meno, d’altronde) aderisce ai valori del femminismo e sostiene la madre nei suoi messaggi, o per lo meno non li contrasta, questi messaggi ne escono rinforzati. Viceversa, quando i figli vedono che il padre non rispetta davvero la madre, è autoritario, non condivide i compiti domestici .. beh, in questo caso rischiano di introiettare un “maschilismo inconscio”, come dice, dispiacendosi, uno dei figli intervistati. E’ ovviamente importante, inoltre, che i messaggi materni siano rinforzati anche con gli atti, e non solo a parole: molto concretamente, i lavori domestici devono essere condivisi nella coppia e, in maniera appropriata alla loro età, anche con i figli: il figlio maschio deve capire che non è un piccolo re e che sua madre non è al suo servizio. Se quindi all’interno della famiglia c’è un padre che invia messaggi contraddittori (si aspetta di avere dei privilegi, di essere servito e che i compiti domestici siano fatti da altri) è chiaro che una madre, anche se femminista, avrà delle grosse difficoltà a trasmettere al figlio le proprie convinzioni.

Da notare che, tra le donne intervistate, molte avevano un ottimo rapporto di coppia con un uomo pro-femminista: è possibile che le donne femministe abbiano degli strumenti per scegliere “saggiamente” il proprio compagno fra uomini non machisti…

Bisogna aggiungere tuttavia che non basta solo un’educazione materna e, nei casi migliori anche paterna, di un certo tipo per tirar su un figlio che ci piaccia e non ci deluda, che non sia un uomo che usa ed abusa dei privilegi che il patriarcato gli assegna, sessista o addirittura violento. C’è dappertutto l’assordante messaggio mediatico e sociale che spinge i bambini ed i ragazzi ad identificarsi con un modello di maschio dominante fino all’uso della violenza, ed è un messaggio difficile da contrastare. 

- Ritenete che questo studio sia incoraggiate per la conquista di una effettiva parità tra donne e uomini?

Questo libro rappresenta per noi un invito ai giovani uomini che hanno voglia di cambiare.

Attraverso i ricordi delle madri si capisce quanto faticoso sia stato per loro andare “contro corrente”, sempre nella speranza però di rendere i figli non solo degli adulti sereni e realizzati, ma anche più giusti e rispettosi nei confronti delle donne. Sì, pensiamo che sia possibile crescere dei figli che riconoscano e accettino i valori del femminismo, ma solo se c’è coerenza tra il discorso materno e quello di chi li circonda.

- La rivoluzione femminista ha creato un nuovo modo di vedere e realizzare i diritti della donna, ora siete fiduciose per il futuro, direi evolutivo, della situazione in Italia?

La situazione in Italia per quanto riguarda i diritti delle donne e la parità di diritti tra uomini e donne è piuttosto sconfortante. Secondo il Gender gap index, un indicatore della distanza tra le posizioni sociali di uomini e donne nei vari paesi, il Canada si situa al ventunesimo posto, la Francia al cinquantasettesimo e l’Italia all’ottantesimo, quartultima tra tutti i paesi europei, seguita solo da Ungheria, Grecia e Albania. Rispetto alla Francia e al Canada, le donne italiane che hanno un impiego sono meno numerose e si fanno carico, che lavorino fuori casa o meno, di una parte ben maggiore del lavoro domestico. Le italiane, assieme alle portoghesi, sono, tra le donne dell’Oecd (Organisation for Economic Cooperation and Development) in Europa, quelle che fanno più lavoro domestico; specularmente, gli uomini italiani sono, con i portoghesi, quelli che fanno meno lavoro domestico! In sintesi, l’Italia è uno dei paesi dell’Oecd dove lo scarto tra uomini e donne è maggiore. Non a caso, nel nostro libro risulta evidente che in Italia i figli sono più maschilisti che non quelli francesi e canadesi. Questa situazione è il risultato di vari fattori: una cultura “familistica” molto tradizionale, anche perché fortemente influenzata dalla Chiesa cattolica e, più recentemente, vent’anni di influenza berlusconiana, con un linguaggio, dei comportamenti, una cultura che hanno contribuito a svalorizzare l’immagine della donna, legittimata a esistere solo se giovane – meglio se giovanissima- e sessualmente desiderabile.

Tuttavia, restiamo ottimiste. I risultati della nostra ricerca ci dicono che cambiare – a livello personale e sociale- è possibile: è un percorso che abbiamo sperimentato, che implica impegno e fatica ma che, se condiviso, regala anche momenti di grande allegria e profonda soddisfazione.

Maria Giovanna Farina presidente dell'associazione culturale L'accento di Socrate

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