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Teatro ed emozioni


Intervista a Fabrizio Romagnoli, attore, autore, regista teatrale, insegnante. Attraverso il suo lavoro sonda le istanze più profonde del nostro essere. Quella sfera che a volte ci sfugge: alla ri-cerca dell’homo natura libero di esprimere se stesso.




Fabrizio tu dai un certo valore al rapporto vista, scrittura e recitazione. Mettere in relazione produttiva questi tre aspetti è importante per chi fa l’attore, ma anche per ognuno di noi può essere uno spunto interessante. Cosa ne pensi?


Tutto ciò che si vede, che si possa scrivere, si possa vivere o ri-vivere è qualcosa che ci fa andare oggettivamente fino in fondo con le nostre sensazioni, con la nostra anima e con la comprensione sia personale che del prossimo. È uno studio di riflesso su eventi, situazioni, emozioni, sensazioni che si provano sia in prima persona che di riflesso. Spesso e volentieri si può camminare per la strada e si possono vedere delle scene che ci turbano molto di più di scene vissute personalmente

Perché ci sentiamo coinvolti, a volte le storie degli altri parlano di noi

Parlano assolutamente di noi. Considero l’essere umano un contenitore di tutte le emozioni, le sensazioni… poi ognuno di noi ha la possibilità o la capacità di arrivare a provare determinate cose ed altre persone possono essere più leggere o più profonde: però tutti possiamo provare emozioni anche chi è nato con deficit. Poter studiare e vedere e mettere in scena l’animo umano, la mente: il mio teatro è soprattutto emotivo, i dialoghi e le scene non hanno un costrutto bene definito

Non c’è rigidità!

Assolutamente no, è quello che faceva il teatro dell’assurdo che seguiva l’emotività dei personaggi. L’emotività ti porta da una scena all’altra senza un diretto collegamento se non quello emotivo

È più naturale, forse?

Sì, è contemporaneo. Tutti siamo presi dall’emotività, sia da problemi che gioie mentali. Non essere più formali con un percorso costruito è diventata quotidianità, nel bene e nel male ci si arrangia e ci si inventa: sono le emozioni che portano a fare questo passo

Nella tua formazione c’è stato anche il teatro greco. C’è ancora secondo te un punto di incontro tra la nostra cultura contemporanea e la grecità?

Secondo me sì, pensiamo alla catarsi o tutti i legami che nella cultura dell’antica Grecia sono arrivati a noi tramite scrittura: non sono che le stesse cose con nomi cambiati

Quindi per te non è un azzardo ispirarsi a quella cultura?

No, assolutamente. Pensiamo al coinvolgimento emotivo o a tutto quello che succedeva in Medea: perché la televisione non ripropone le stesse cose? È cambiato lo stile, il pensiero, ma l’essenza dell’essere umano è quella anche se sono passati più di 2000 anni

C’è qualcosa che ti ispira maggiormente di quella cultura così lontana?

Di quella cultura mi ispira la libertà mentale, in quella cultura tutto era fattibile. Mi ispira di quella cultura il grande gusto nella gioia del vivere. Anche la differenza tra i ceti sociali perché è di grande ispirazione: nella povertà, nel sopravvivere, si trova ispirazione per grandi emozioni

Nel sottotitolo del tuo libro, che è composto da tre atti unici, leggo: Tre modi differenti di declinare il dramma dell’esistenza. Ci puoi dire quale è per te il dramma dell’esistenza?

In questo momento il più grande dramma dell’esistenza è l’incapacità di comunicare

Nonostante tutti i mezzi che abbiamo a disposizione

Proprio perché abbiamo questi mezzi l’incapacità di comunicare aumenta. Già è difficile capirsi quando ci si guarda negli occhi, figurarsi usando tutti questi mezzi!

Con tutto ciò l’homo natura viene meno

La comunicazione come confronto è oggi diventata molto difficile perché oggi l’io posso che è in tutti noi non crea più la situazione di ascolto, ma la tua parola è uguale alla mia e a quella di un’altra persona

Hai toccato un punto davvero importante: oggi la cosa più difficile è ascoltare gli altri. Questa è la ragione dell’incomunicabilità: se tu parli non puoi ascoltare in modo profondo. Ascoltare non significa sentire

Oggi la gente non si ascolta ma si sfrutta quindi l’ascolto è relativo solo a ciò che mi interessa capire, è un ascolto limitato a quello che mi fa comodo. Oppure si travisa, si è abituati a coprirsi dietro: “Ah, ma io avevo capito un’altra cosa!”. Non c’è più la paura del non comprendersi quindi è facile non comunicare perché ci fa comodo

Ritengo la scrittura come tracce che lasciamo nel mondo, che rapporto hai con le tracce che lasci inevitabilmente?

Le adoro! In questo mondo così di corsa, dove tutto è superficiale, futile, fragile…onestamente poter lasciare delle tracce sia nel bene che nel male, mi piace. Perché chi troverà quella traccia leggerà e rifletterà sulla cosa

Sei ottimista perché pensi che leggerà e rifletterà

Sì, al mattino mi sveglio col bicchiere mezzo pieno, poi cerco di mantenere questa idea durante la giornata

Poi ti si svuota un po’ il bicchiere…

Comunque lo vedo sempre un quarto pieno! Ciò, sai, è per esperienza della vita e per aver lavorato come un pazzo per raggiungere quello che ho ottenuto anche se il lavoro non è mai stato un sacrificio, è stato sempre importante perché mi ha fatto realizzare rispetto a quello che sentivo di poter fare

Quindi sei contento

Sì, lo sono molto anche se è pesante. Il poter lasciare delle tracce, qualora dovessi lasciarne, credo sia una cosa bella sia nel bene che nel male perché, ripeto, faranno pensare

Hai creato qualcosa che è rimasto

Sì. E poi il fatto che vengano messi in scena i miei spettacoli in Italia mi dà una grande soddisfazione. Però mi dispiace che si dia poco spazio al teatro contemporaneo, dove per contemporaneo si intendono autori morti magari da settant’anni: non sono più contemporanei. Non si può mettere in scena uno spettacolo con un autore morto da settant’anni per non pagare la SIAE, è come andare dal calzolaio e dire: “Queste scarpe sono vecchie di dieci anni, me le risuoli gratis?”

Homo Homini Lupus con la regia di Matteo Rovere è stato premiato con Nastro D’Argento nel 2007, il titolo è una citazione del filosofo Hobbes, cosa ne pensi?

È vera, l’uomo mangia l’uomo. È il ciclo naturale della vita, non lo vogliamo vedere perché pensiamo che l’essere umano non sia un animale. In realtà facciamo parte di una catena alimentare anche noi, anche se noi ci siamo salvaguardati creando una società con le sue strutture, ma una volta eravamo pasto dei dinosauri e dei leoni. Noi siamo stati intelligenti da costruirci tutto quello in cui viviamo? Ma ci stiamo anche distruggendo

L’intelligenza superiore si ripercuote contro di noi

Quando l’intelligenza purtroppo è accecata dal potere

Viene incanalata male

Sì, viene incanalata male. L’uomo che mangia l’uomo, questo è vero. Trovo che all’eccesso di un ragionamento sia giusto, poi c’è il buon senso che ci porta a ragionare. Anche il mio teatro è un po’ così, vado spesso a studiare l’eccesso di un’emozione, di un sentimento. L’eccesso a cui l’essere umano può essere spinto ma senza essere in cattività, quando si è sulla soglia di una scelta ci può essere il riferimento ad un eccesso ed è quello che la cultura, soprattutto la cristiana, ci ha proibito di fare cioè vedere qual’è il limite. In realtà l’essere umano è un animale, non ha limite: homo homini lupus.

Maria Giovanna Farina




Il suo ultimo spettacolo teatrale di successo è Attese I II III

Il suo ultimo libro è Teatro contemporaneo www.fabrizioromagnoli.it








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