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In viaggio dagli Urali



Un viaggio in treno può diventare occasione di nuovi incontri e fin qui nulla di nuovo. È un'opportunità che si trasforma in qualcosa di meno scontato quando l'incontro diventa particolare come quello accaduto a me durante l'estate. Nonostante la differenza di cultura, di lingua e di mimica ci si può capire: basta aver il desiderio di comunicare. Mi trovo sul treno che mi porta a Genova e i passeggeri sono davvero scarsi così mi siedo su uno dei tanti sedili liberi, mentre dall'altro lato del piccolo corridoio che divide le due colonne di poltrone c'è una donna più o meno della mia età: di fronte a lei siede un uomo con i capelli bianchi che mi sembra un tedesco. La prima parte del viaggio procede in silenzio assoluto finché l'uomo estrae due biglietti ferroviari e li mostra alla donna difronte, ma lei non capendo bene cosa lui voglia si rivolge con lo sguardo verso di me come a chiedermi soccorso. Io convinta della nazionalità del nostro compagno di viaggio penso che in quanto tedesco l'inglese dovrebbe conoscerlo bene e parto in quarta, ma lui mi guarda con occhi dubitativi: e siamo al punto di partenza! Inizio così a parlare in Italiano e vedo che l'uomo qualche parola la mastica, di tanto in tanto estrae un piccolo dizionario per aiutarsi: la cosa divertente è che sono riuscita a dargli le informazioni che cercava aiutandomi anche con i gesti. È lì che ho avuto la prova sul campo delle nostre differenze, lui fa dei gesti strani che non mi dicono nulla e così io per lui, ma nonostante tutti i nostri modi diversi di comunicare ho capito che veniva dalla Russia vicino ai monti Urali e che è un pittore. La signora vicino a me lo ha aiutato a telefonare, un mecenate è in attesa di riceverlo per un periodo da trascorrere in Italia a dipingere. Il nostro compagno di viaggio si chiama Rif Abdullin, ci mostra un documento per informarci che la sua permanenza nel nostro paese è autorizzata dall'Ambasciata: veniamo così a conoscere tanti particolari del suo soggiorno e delle sue aspettative. Mentre si conversa, lui estrae dal borsone un blocco di carta e a turno con veloci tratti di carboncino realizza due ritratti, prima alla donna che gli sta di fronte e poi a me. Mi disegna mentre il finestrino mi fa volare i capelli e con la mano mi sorreggo il mento intenta ad ascoltarlo, mi obbliga a non abbandonare quella postura e poi mi consegna il suo dono: oddio! Sono io, ma almeno venticinque anni fa. Lo ringrazio, mi faccio dare la sua mail e cerco di spiegargli che lo metterò su L'accento di Socrate ma non riesco a farmi comprendere: come si mima in Russia una rivista on-line? Penso di mandargli una mail in russo, senz'altro qualcuno mi darà una mano. Spasibo! Questo è stata l'ultima parola, una delle tre che conosco nella sua lingua.

Maria Giovanna Farina





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