La scelta di “essere poeta”
Stefano Raimondi (Milano, 1964) poeta e critico letterario, laureato in Filosofia (Università degli Studi di Milano). Sue poesie sono apparse nell’Almanacco dello Specchio (Mondadori, 2006). Ha numerose pubblicazioni al suo attivo, ultima in ordine di tempo Interni con finestre (La Vita Felice, 2009). È tra i fondatori della rivista di filosofia “Materiali di estetica”.
Come hai scoperto di essere un poeta? Quando hai scritto la prima poesia? Sembra banale: sui banchi di scuola. Mi ricordo di aver scritto la prima poesia per una ragazza, mi sentivo trasportato e non avevo altro per poterlo dire e quindi…La poesia poi è sempre stato un incontro fondamentale che mi ha insegnato a leggere gli autori. Mi è stato dato il libro di Baudelaire I fiori del male e da lì è partita questa passione, questo mio modo di stare al mondo Cosa ti dà lo scrivere poesie? Cosa può dare il respiro ad una persona? Se non il mio essere qui, il mio essere naturale, il mio farmi andare avanti, il mio essere come sono, il mio avermi scelto: soprattutto. Scrivere poesie è una vera e propria scelta di vita, se sei così scegli quello e di conseguenza scegli tutto il resto in funzione di quello. Non è un hobby al quale dedichi del tempo che ti è rimasto È un modo di essere? Assolutamente sì. Il fatto di aver scelto la poesia mi ha fatto scegliere anche tutto un altro stile di vita, tutte le mie scelte sono state orientate e modificate da quello Condizionando tutto, lo ha fatto non sempre in maniera positiva immaginino? Ah, sì. Ho rinunciato a una semplicità immediata delle cose, a un appannamento delle vita che ti può portare anche consolazione e invece ho scelto quest’altro modo di vivere: un radicamento che molto spesso diventa come dice Kierkegaard un’escrescenza di carne che diventa ostacolo Secondo te c’è in tutti noi la vena poetica? La vena poetica come modalità di percepire ed elaborare le cose c’è in tutti, è un modo anche di pensare. Certo la poesia ha a che fare con il linguaggio, con una modalità espressiva e quindi la scelta deve essere corroborata da questa impostazione e soprattutto credo sia importante lo stato poetico, quella condizione sine qua non che ti fa essere in contatto con l’attenzione, quella che come diceva Malebranche è la preghiera del cuore: una modalità di vedere le cose con un punto di vista altro. È il punto di vista che potrebbe essere quello de L’idiota di Dostoevskij, l’Idiota di Maria Zambrano che vede il sole riflesso nella pozza e lo crede vero, ma in realtà è vero perché quel sole c’è però non è vero Secondo te la scrittura è femmina, nel senso di categoria che appartiene ad ognuno di noi? La poesia per me è androgena, non vedo una componente femminile o maschile vedo entrambe nella stessa misura. Nel mio libro La città dell’orto (2002) ho trasformato Milano nel corpo del padre, quindi la città al maschile. Per me è importante vedere la stessa cosa dai due punti di vista L’ultimo libro che hai pubblicato Interni con finestre con una nota introduttiva di Milo De Angelis ed. La vita felice di cosa parla? È sempre un libro sulla città su Milano, una città vista in situazione, inquadrata continuamente, è una prosa poetica più che versi dove gli interni e gli esterni giocano una rappresentazione di qualcosa Tu fai fare esperienze poetiche ai bambini nelle scuole elementari, come ti muovi in questa esperienza? Ho fatto corsi di poesia, ma nelle scuole elementari ho iniziato da poco ed è stato strepitoso. I bambini nella loro spontaneità sono autentici e veri anche se non sempre, però hanno una capacità di sintesi ed immediatezza che è la caratteristica della poesia, poi arrivano a dare delle definizioni. Ti faccio l’esempio di una bambina di sei anni che mi ha detto: “La poesia sono delle parole strette che fanno armonia e raccontano una storia”. È una definizione splendida senza troppo elucubrazioni mentali Quando si scrive una poesia è la prima cosa che viene, o tu credi nell’elaborazione secondaria e le successive? Spezzo una lancia a favore della progettualità, per me scrivere poesie è una modalità progettuale. Per quel che mi riguarda non mi risolvo mai in una poesia singola ho sempre bisogno di uno spazio narrativo molto più ampio, i miei libri sono sempre dei poemi. Raccolgo questi frammenti dallo stato poetico sempre connesso e poi come un lavoro di montaggio filmico monto il testo, faccio un lavoro alla moviola. Amo dire che non scrivo poesie ma giro poesie.
Maria Giovanna Farina
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