Strani incontri a Milano
Ogni tanto mi piace bere una bella birra seduto ad un tavolino di qualche bar del centro, non importa quale, l’importante è che sia all’aperto e che ci sia un bel passaggio. L’altro giorno stavo gustando un’Ale comodamente seduto in un bar di via Dante, sullo sfondo il castello sforzesco. Guardavo il viavai, era una bella giornata estiva ma non afosa, un leggero venticello dava la sensazione di essere a Roma anziché a Milano. Guardare la gente che passeggia ostentando goffamente il loro ultimo acquisto firmato o un’impostata quanto patetica mise trasandata è un passatempo che mi è sempre piaciuto, mi aiuta a rilassarmi e a considerare come la vuotezza sia sempre più parte integrante dei nostri costumi. Come stavo dicendo, mi trovavo seduto a godermi una birra quando notai che fra i tavolini si aggirava uno strano tipo, forse un questuante. Non saprei dire a quale categoria di accattoni appartenesse, non era uno straccione e non era neppure più sporco di tanti che si credono puliti. L’unico particolare che poteva inquadrarlo come accattone era l’abbigliamento eccessivamente caldo rispetto al clima. Una giacca pesante ricopriva una camicia a scacchi di flanella malamente infilata in un paio di calzoni di velluto pesante. Ai piedi un paio di scarponi invernali, tutto sommato poteva essere un turista che dopo un’escursione in alta montagna aveva scordato di cambiarsi, ma qui non siamo in montagna per cui il suo abbigliamento era decisamente da considerarsi fuori luogo. Mi chiedevo come potesse non sudare con tutta quella roba addosso, sotto la camicia chissà quali altri indumenti indossava. Aspettavo che si avvicinasse anche al mio tavolo ed avevo già pronti cinque euro da dargli, mi era simpatico, da sotto una folta barba sale e pepe spuntava a tratti un sorriso dolce e accattivante, sincero. Quando si avvicinò al mio tavolo, senza rendermi conto di quello che facevo lo invitai ad accomodarsi. Incredulo mi chiese se aveva capito bene. Certo, gli dissi e lui si accomodò. “Crazie” Disse con un italiano che tradiva origini teutoniche “Cosa posso offrirle?” Gli domandai. “Un the caldo, crazie.” “Solo un the, non desidera qualcosa da mangiare?” “Sì, con due fette di pane tostato, crazie.” “Nient’altro?” “No, crazie.” Gli ordinai quanto aveva chiesto e lo osservai in religioso silenzio, non mi andava di iniziare a fare le solite domande idiote che si fanno ai barboni, “Ma cosa l’ha spinta a fare questa vita? Cosa le è successo? Ha famiglia?” Erano affari suoi, se aveva voglia di parlare lo avrebbe fatto di sua sponte. Attese la consumazione guardandomi anch’egli in silenzio; iniziai a sentirmi in imbarazzo, sembrava che si fossero invertite le parti, mi venne un forte impulso volto a spezzare quel silenzio che era diventato assordante. Non lo feci. Gli portarono il the con le fette di pane tostato, li consumò in silenzio con grande dignità. Chissà cosa pensava, chissà chi era, quanti chissà si ponevano tra noi. Dopo quel lungo silenzio che mi stava uccidendo, finalmente profferì una parola. “Perché?” “Perché cosa?” “Perché mi ha chiesto di sedermi qui con lei.” “Così.” “Così non è una risposta.” “Sì, così, non so, ho pensato che potesse farle piacere.” “Ah, ha pensato che potesse farmi piacere.” “Sì, proprio così.” “E cosa le ha fatto pensare che potesse farmi piacere sedermi qui vicino a lei?” “Non so, ho pensato che fosse stanco.” “Cosa le faceva pensare che fossi stanco, mi trascinavo? Camminavo curvo? Ansimavo?” “No, niente di tutto questo, è stata una sensazione.” “Una sensazione.” “Sì, una sensazione.” “Lei crede alle sensazioni?” “Sì, in genere ci credo.” “Quindi a volte non ci crede.” “Sì, non si può farne una regola.” “Non si può farne una regola. Adesso ha altre sensazioni?” “In che senso?” “Nel senso sensitivo, sente qualcos’altro? Prima ha sentito che potevo essere stanco, ora cos’altro sente?” “Ora non sento altro.” “Ora non sente altro.” Quella conversazione cominciava a innervosirmi, cosa voleva, gli avevo offerto un’occasione di ristoro e lui mi trattava in quel modo, ma chi si crede di essere? “Lo sa che lei è veramente strano?” Sbottai. “No, non lo sapevo, lo terrò in considerazione.” “Bene.” Poco dopo si alzò, mi ringraziò per il the, sorridendo mise la mano nella tasca interna della pesante giacca e trasse un biglietto da visita, il suo, e me lo porse invitandomi a contattarlo se ne avessi sentito il bisogno: Prof. Franz Keller psichiatra.
A cura di Max Bonfanti |
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