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Intervista a Giuseppe Perri, docente di Filosofia a Bruxelles e autore del nuovo libro “Le verità della filosofia” ed. Kkien Publishing International




 



La filosofia può essere un mezzo efficace per vivere meglio la nostra esistenza, è d’accordo? Ci spiega cos’è per lei?

 

 Come scrivo nelle prime pagine del libro, la filosofia è l’arte di porsi dei “problemi”, di coltivarli, di cercare di risolverli. Si tratta di problemi che hanno a che fare col senso della nostra esistenza, considerata in tutte le sue manifestazioni. Ho messo tra virgolette la parola problema perché non si tratta di questioni che potremmo anche non porci, che sono sollevate solo da chi non si accontenta del placido e scontato corso delle cose: sono infatti i problemi stessi a bussare alla nostra porta, a generare in noi interesse e preoccupazione, a domandare anzi ad esigere una soluzione da parte nostra, poiché senza queste soluzioni, letteralmente, non potremmo vivere.

Grazie a tali soluzioni, escogitate in mille modi da ciascuno di noi, riusciamo a dare un senso alla nostra presenza nel mondo, a giudicare e catalogare quello che succede attorno a noi, a costruire lo stile caratteristico della nostra esistenza, che poi traspare in tutto ciò che noi facciamo poiché il nostro stile filosofico (personale o di gruppo) ci segue sempre ed è visibile a chiunque: è la nostra aura.



Siamo quindi tutti filosofi e tutti affrontiamo, spesso solo implicitamente o inconsciamente, i principali problemi filosofici, anche quelli più astratti. Ognuno di noi, ad esempio, ha evidentemente una maggiore propensione a quello che in filosofia si chiama monismo, cioè a considerare le cose del mondo come appartenenti ad una categoria prevalente, oppure al pluralismo, cioè a vedere, al contrario, la varietà piuttosto che l’unità delle cose; questa propensione si riflette poi in tutto ciò che facciamo, ci rende più o meno tolleranti, più o meno affidabili, ci fa più rigorosi o più “umani” nel giudicare il prossimo, ecc.

Filosofare significa, prima di tutto, rendersi conto di tutto questo, affinare poi la nostra filosofia spontanea, aderire a un ideale di miglioramento interiore, comprendere meglio ciò che ci accade e ciò che ci circonda, partecipare alla conservazione di ciò che c’è di buono nella vita collettiva o alla promozione di certe direzioni di miglioramento del vivere comune. Bisogna quindi anche imparare a pensare, a pensare meglio, a riflettere secondo logica, a non incappare negli errori spontanei del pensiero. Studiare filosofia o parlarne o leggerne significa incamminarsi lungo questa strada, i cui risultati pratici sono quello che ho già citato: vivere meglio, capire meglio, sperare meglio.

 

Nel suo nuovo libro (mettiamo il link per l’acquisto) quale messaggio ha voluto dare? A che pubblico si rivolge?

Nel mio libro ho voluto prima di tutto mostrare cosa sia la filosofia; il primo capitolo si intitola infatti “Fare filosofia” ed illustra le cose dette sopra per poi entrare nel merito dell’attività dei filosofi, delle loro aspirazioni, del modo con cui affrontano i problemi, li chiarificano, ne elaborano le possibili soluzioni.

Si parla anche delle questioni impreviste che sono affiorate nel corso delle indagini filosofiche, come le fallacie ovvero quelle argomentazioni che sembrano valide ma non lo sono, benché siano molto diffuse (ad esempio scambiare, come avviene nella superstizione, una successione temporale per una relazione causale, post hoc propter hoc: l’aver incrociato sulla mia strada un gatto nero sarebbe la causa della mia caduta).

Uno degli obiettivi principali del libro è perciò far capire che i filosofi non si contrastano eternamente e vanamente, come uno sguardo esteriore sulle loro discussioni potrebbe far ritenere, ma convergono su molti più punti rispetto a quelli che li dividono. Il titolo stesso del libro allude a queste certezze filosofiche (le verità della filosofia), che il bimillenario dibattito filosofico ha prodotto e che sono il sapere condiviso dai filosofi e da tutti coloro che pensano. Sono poi presentate le principali opzioni filosofiche, sulle quali offro alcune ipotesi di soluzioni suggerite dalla mia pratica ormai quarantennale della filosofia.

Via via che ci si inoltra nella lettura, il testo si fa sempre più tecnico, anche se mantiene uno stile espositivo chiaro. Il capitolo finale è una riflessione sullo stato attuale della filosofia e su quale possa essere il suo futuro. Per questo, il libro si rivolge sia a chi vuole conoscere meglio la filosofia e i suoi contenuti, sia agli esperti e ai filosofi, poiché contiene una proposta filosofica ben definita e originale. Si tratta di una filosofia eclettica che vuole essere un punto d’incontro tra idealismo e realismo, che è tendenzialmente pluralista (l’essere è multiforme) e difende anche un’idea classica della filosofia intesa come ricerca dell’essenziale. Cogliere l’essenziale e articolarlo in una sintesi globale, anche al di là di quello che ci può dire la scienza o l’esperienza, è una capacità platonica che l’uomo contemporaneo, spesso disorientato, dovrebbe riscoprire.

Lei vive e lavora fuori dall’Italia, come è vissuta la filosofia a Bruxelles?

Il Belgio francofono (per la parte fiamminga il discorso sarebbe un po’ diverso) è un paese su cui la svolta progressista degli anni ’60 e ’70 ha inciso profondamente; buona parte delle sue classi dirigenti e quasi l’intera intellighenzia condividono un paradigma politico-culturale progressista, umanista e scientifico. La figura sartriana dell’intellettuale e del filosofo engagé è quindi prevalente e filosofare qui significa soprattutto forgiare concetti critici che possano servire alla demitizzazione avanzata della società e dell’esperienza umana. Tutto ciò si riflette positivamente sulla convivenza civile, con buoni livelli di integrazione, garanzia, benessere, difesa dei diritti delle persone. Naturalmente, questo porta talvolta anche ad una certa “scolastica” o a un certo dogmatismo dell’impegno o ad una ricerca di originalità a tutti costi che può svilire il contributo che la storia del pensiero offre al filosofo odierno. Per certi versi, può infatti sembrare che il comune sentire filosofico non vada più indietro di Cartesio e della filosofia degli ultimi quattro secoli, lasciando in ombra le sollecitazioni che la filosofia antica invece dà a certe forme della filosofia italiana o tedesca, basti pensare a Severino o a Heidegger.

L’ambiente della comunità europea ha apportato a questo contesto generale sia un rafforzamento dell’umanesimo giuridico sia la diffusione di un certo positivismo dei tecnici, che già era parte del patrimonio della cultura francofona in genere, ma che fa oggi della capitale belga il luogo privilegiato di una fede tecnocratica nella scienza e nella tecnica. C’è quindi anche qui da fare per la filosofia, che nel mio libro paragono ad un termostato e che quindi è costretta a lavorare sempre controcorrente; di fronte alla mentalità scientista e pragmatica prevalente nella Bruxelles delle istituzioni comunitarie, probabilmente occorrerebbe quello che Bergson chiamava un “supplemento d’anima” e che quindi le istituzioni europee si dotino di personale e di “esperti” capaci di misurare e sviluppare anche quello che io scherzando chiamo il Pis (prodotto interno spirituale) dei paesi membri, oltre che il Pil e gli altri parametri economici.

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 Maria Giovanna Farina Febbraio 2018

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L'accento di Socrate