Anghiari,
la culla dell'Autobiografia
Omaggio
a Massimo Troisi
Anghiari
è la città dell’Autobiografia,
“L’Autobiografia è un bene dell’Umanità”
sostiene Duccio Demetrio, “Anche se l’Unesco non l’ha
ancora riconosciuta”. Presso la Libera Università
dell’Autobiografia che
il docente ha fondato si
è svolto l’evento “I Cantieri della Libera”,
terminato domenica 5 settembre 2010.
Arrivando
in questo splendido borgo medioevale durante il fine settimana mi
sono aggirata in cerca di spunti per le nostre riflessioni
filosofiche e, come si sa, muoversi in un ambiente accogliente e
allo stesso tempo pittoresco facilita il lavoro della mente.
Un'esperienza
davvero singolare ha preso vita al teatro di Anghiari con un
omaggio a Massimo Troisi di e con Anna Pavignano. Anna è
stata la sceneggiatrice di tutti i film di Troisi, un attore e un
regista con uno stile particolare nel parlare delle cose della
vita, delle parole che ci scambiamo, dei messaggi che a volte non
sappiamo decodificare per troppa fretta e/o superficialità.
“Da
domani mi alzo tardi” è
il libro che la Pavignano ha scritto nel 2007 per l’ed. E/O
e da cui ha tratto il monologo. Nel libro, Massimo Troisi non è
morto, ma ha solo deciso di sparire per un po'. Dopo tredici anni
torna e gli amici, tra cui Anna, lo convincono a tornare al
lavoro, alla scrittura, al racconto. Massimo giura che cambierà
abitudini e promette "Da domani mi alzo tardi".
All'obiezione che lui tardi si è sempre alzato, risponde:
"No, mi sono sempre alzato tardissimo! All'una e mezza, alle
due! Da domani mi alzo alle undici, giuro!". La Pavignano,
autrice assieme all'attore delle sceneggiature di tutti i suoi
film, riesce così a raccontare un Troisi autentico, ma
soprattutto vivo, quella persona che tutti hanno conosciuto, ancor
di più lei essendo stata la sua compagna.
Anna racconta
mentre sullo sfondo scorrono immagini private e significative
della sua esperienza con Massimo, il tutto è accompagnato
dalle musiche inedite di Alfredo Morabito. La sceneggiatrice
mettendo in scena un'esperienza autobiografica ha realizzato una
vera e propria incursione nella memoria per recuperare e
rielaborare eventi della propria esperienza, creando anche
una duplice terapia della scrittura: quella dello scrivere il
libro e quella della trasmissione al pubblico. A chi è
presente giunge una scrittura che sa farsi linguaggio verbale,
mimico e musicale. Un arricchimento della scrittura alfabetica
perché l'autrice stessa interpreta il proprio testo
impedendo ogni arbitraria “traduzione”, ma allo stesso
tempo la Pavignano lascia la possibilità di proseguire la
personale riflessione sul racconto. La sua non è una
semplice commemorazione di Troisi, ma la testimonianza di
un'esperienza che sa diventare cura per lo spettatore. Esso può
acquisire una tecnica di ri-memorazione e diventare parte della
storia, là dove intercetta anche parti del proprio vissuto.
Dopo questo incontro si è più consapevoli che
l'Autobiografia non è solo scrittura ma anche racconto
orale, in questo caso “la
scrittura si fa teatro”.
Al termine della
rappresentazione le ho posto qualche domanda.
D. Questo
lavoro ha una doppia modalità: scrittura e messa in scena,
ciò ha un valore terapeutico?
R. Per me è
stata un'esperienza davvero importante perché ho pensato
mettendoci insieme la creatività, è come se il
processo creativo allargasse la capacità di memoria e la
capacità di comprensione e di elaborazione. Scrivendo
questo libro ho fatto un'esperienza che non avevo mai fatto è
come se in quel momento mi si fosse allargato lo stato di
coscienza. Scrivevo in uno stato di coscienza molto particolare ed
era come se io percepissi la mia memoria come qualcosa di presente
non come qualcosa di rievocato. Mi bastava guardare per ascoltare
e la mia elaborazione su questo è stata anche che se tutti
quanti avessero la possibilità di elaborare il lutto come
io ho avuto il lusso di farlo, ci sarebbe un rapporto diverso con
la morte perché anche attraverso Massimo ho scoperto un
rapporto diverso con la morte
D. La persona
cara che non c'è più ci ha lasciato qualcosa ma noi
non riusciamo a ri-trovarla. Se riuscissmo a tirarla fuori, anche
se non c'è più fisicamente, possiamo trovare una
ricchezza che ci fa stare bene
R. Sì, fa
bene alla storia individuale ma anche a quella collettiva
D. Che
differenza c'è tra scrittura e messa in scena?
R. Quella della
messa in scena è un lavoro diverso rispetto a quello sulla
scrittura. La messa in scena è un lavoro sulla
comunicazione quindi sulla risposta che il pubblico ti dà,
ma soprattutto sulla mia capacità di raccontare con un
giusto distacco che non è una freddezza. È la
capacità di non rientrare ogni volta in quello stato
d'animo
D. Altrimenti
sarebbe pesante e distruttivo
R. Sì,
infatti quello che accade spesso è la commozione, se poi
vai al sud dove dove c'è un ricordo più vivo di
Massimo, la gente piange ed è un pianto di comunicazione.
Io divento un tramite, non un tramite per rievocare il santo, ma
il tramite di un processo di lavoro sull'emotività e sui
ricordi. In teatro quando parlo non so chi ho davanti per cui
l'attenzione del mio discorso è rivolta alla persona
Massimo Troisi, ma in realtà quello che io vorrei che fosse
questa storia è una storia che va al di là delle
persone che l'hanno vissuta
D. Cosė č nato un
un nuovo strumento per ri-memorare
R. Io lo volevo
tanto fare, per trasformare la mia esperienza in comunicazione
Maria Giovanna Farina
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