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ANCHE  GLI  ANGELI ABBAIANO

 

Non avevo mai visto in un cane tante caratteristiche e qualità appartenenti a razze diverse come in quello che casualmente incontrai un giorno passeggiando in un parco cittadino: orecchie  ritte, corpo affusolato da bassotto ma zampe lunghe e magre da levriero, il pelame poi alternava zone rase ad altre lunghe e fluenti da collie e la coda murina sembrava mozzata a circa una spanna dall’attaccatura, per non parlare del colore che racchiudeva tutta la gamma. Un patchwork.

Ricordo che nel tardo pomeriggio di una calda estate di alcuni anni fa, l’estate più calda del secolo la definirono, per trovare un po’ di refrigerio decisi di andare a rinfrescarmi sotto l’ombra di qualche vecchia quercia. Non c’era molta gente, era quasi l’ora di cena e la maggior parte stava abbandonando il parco. Mi ero da poco sdraiato sull’erba sotto un maestoso ippocastano, la quercia non l’avevo trovata, che un cane dall’aspetto stravagante e un pezzo di corda sfilacciata che gli pendeva dal collare mi si avvicinò guaendo sommessamente. Lo guardai con più attenzione e scorsi una targhetta appesa al collare con inciso un nome, Peppino, e un numero telefonico. Subito pensai che si fosse perso anche se quell’avanzo di corda lasciava propendere per altre ipotesi. Ciò che però mi stupì non fu tanto il suo aspetto quanto il comportamento che insistentemente pareva chiedesse di seguirlo, cosa che feci. Subito iniziò a correre, fermandosi dopo qualche decina di metri per assicurarsi che lo stessi seguendo, per poi ripartire. Si fermò nei pressi di un cespuglio e cominciò ad abbaiare. Seminascosto dal fogliame giaceva rannicchiato il corpo di un uomo anziano privo di conoscenza, mi accertai che fosse vivo e immediatamente allertai il 118 che mandò un’unita mobile di rianimazione. Dopo meno di dieci minuti un’equipe di specialisti era all’opera lì, sul posto, non c’era tempo da perdere. Riuscirono a salvarlo in extremis e ricordo che andai a trovarlo all’ospedale, anche per chiedergli a chi dovessi affidare il cane. Quando capì che ero stato io a chiamare i soccorsi si perse in mille ringraziamenti ma io gli feci notare che il merito andava tutto a Peppino, il suo cane, che nel frattempo stavo tenendo in custodia. Meravigliato mi disse che non aveva alcun cane; più meravigliato di lui e non sapendo che dire non insistetti.

Peppino era con me da due giorni e visto che non era di quel signore decisi di chiamare il numero segnato sulla targhetta. Rispose una signora che assolutamente negava di avere un cane, tanto meno con quel nome che non riteneva adatto ad un cane e Peppino assisteva alla telefonata come se capisse che volevo privarmi della sua compagnia. Non guardarmi così, gli dissi, magari il tuo padrone ti cerca! Mi rispose con uno deciso scrollone come se fosse appena uscito dall’acqua. Cosa ci faceva quel numero sul collare del cane e quel pezzo di corda? Fu proprio quel pezzo di corda sfilacciata come se fosse stata rosicchiata che mi fece decidere di tenerlo. Peppino, e a questo punto non so nemmeno se fosse il suo vero nome, ma ormai avevo cominciato a chiamarlo così, era un cane molto particolare, capiva tutto quello che gli dicevo, capissi io quello che diceva lui!

Avevo iniziato a portarlo con me e ogni volta destava l’ilarità di quanti lo vedevano, non potevo dare loro torto ma non posso neppure negare che la cosa mi desse fastidio. Ricordo che quando andavo in cerca di funghi ne trovava più lui di me, ormai eravamo diventati amici inseparabili. Un giorno, mi trovavo a trascorrere una breve vacanza in montagna nel rustico di un amico, pioveva da alcuni giorni e il torrente che passava circa una decina di metri al di sotto era diventato minaccioso. Ero in casa a preparare la cena quando Peppino mi fece capire di voler uscire, gli aprii la porta ma capii che non voleva uscire da solo, voleva che uscissi anch’io, ma pioveva a dirotto e francamente non avevo voglia di bagnarmi così addentò la camicia che indossavo e tirò forte verso l’uscita. Lo seguii all’esterno sotto lo scrosciare del temporale, fu un attimo e vidi franare la casa giù nel torrente. Peppino abbaiò come se volesse salutarmi, mi guardò intensamente per alcuni lunghi attimi e, voltatosi, lentamente si allontanò incurante della pioggia. Anche se rimase con me solo una breve estate, spesso lo ritrovo con grande gioia e nostalgia nei miei ricordi più intimi, ma quella fu l’ultima volta che lo vidi.

a cura di Max Bonfanti socio fondatore e vice presidente dell'associazione culturale L'accento di Socrate

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