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IL SEGRETO DI ANSELMO

 

La campanella era suonata ed Anselmo iniziò a riporre nella scrivania i suoi strumenti di lavoro: penne, matite, temperamatite, boccettini vari di china, fogli, righelli e tutti quegli strumenti che un disegnatore tecnico usa. Lo faceva sempre dopo il suono, mai prima come tanti altri suoi colleghi che allo scadere dell’ora erano già sulle scale. Un’altra giornata di lavoro si era conclusa ed Anselmo, dopo aver salutato quelli che non erano ancora usciti, lentamente si avvia verso l’uscita. Lavorava in quella azienda da oltre vent’anni, e per almeno altri vent’ani sarebbe dovuto rimanerci, vi era entrato subito dopo aver concluso il servizio militare, si era sposato ed aveva due figli, un maschio, Luigi di quindici anni e una femmina, Clara di otto anni.

L’autobus che l’avrebbe riportato a casa era appena passato e per il prossimo avrebbe dovuto aspettare almeno un quarto d’ora, entrò così dal tabaccaio, proprio lì davanti alla fermata degli autobus, per fare quattro chiacchiere col Franco, il proprietario e per acquistare un pacchetto di sigarette; gliene erano rimaste solo due che però gli sarebbero bastate per altri due giorni visto che ne fumava una al giorno pranzo. Una volta uscito dalla mensa era solito fare due passi, si sedeva su di una panchina nei pressi della ditta e fumava una sigaretta senza sapere neanche lui perché. Pagò con una banconota da cinque euro e non avendo il tabaccaio il solito euro di resto gli propose di acquistare un biglietto prestampato del superenalotto. Anselmo si schermì e disse che non c’era problema e che glieli avrebbe dati un’altra volta, ma Franco insistette tanto che alla fine Anselmo si convinse e tentò la fortuna forse per la prima volta nella sua vita. Prese con poca convinzione la sua giocata, senza pensarci la mise accuratamente nel portafogli e poco dopo salì sull’autobus.  Il giorno dopo tutto l’ufficio parlava della vincita di novanta milioni di euro al superenalotto, vinta con una giocata di un euro. Anselmo non ci pensava neanche più al suo biglietto svogliatamente acquistato il giorno prima e fu solo per puro caso che gli venne alla mente quando, per estrarre dal portafogli i soliti dieci euro per la solita colletta di qualcuno che si sposava, gli finì tra le mani. Visto che l’aveva acquistato tanto valeva controllare i numeri anche se la possibilità di aver azzeccato la combinazione era una su centinaia di milioni. Con aria di nonchalance gettò lo sguardo su uno dei tanti giornali che riportava la notizia ed annotò la serie vincente: 7-34-35-36-87-78. 

Con calma, dopo il pasto alla mensa, andò a sedersi sulla solita panchina a fumarsi la sua solita sigaretta e confrontò la combinazione vincente con la sua. Controllò i numeri ad uno ad uno, più volte, infinite volte e sempre leggeva la stessa combinazione. Aveva azzeccato la combinazione o meglio, aveva comprato un biglietto con la combinazione esatta. Certo di non essersi sbagliato tornò al suo posto di lavoro e cominciò a sentire i discorsi dei colleghi a proposito del fortunato vincitore di novanta milioni di euro, l’equivalente di centoottanta miliardi delle vecchie lire.  Ho vinto novanta milioni di euro, l’equivalente di centoottanta miliardi delle vecchie lire, continuava a ripetersi. Un flusso interminabile di progetti, fantasie, congetture iniziarono a turbinargli nella mente. Al suono della campanella iniziò a riporre le sue cose come sempre e se ne andò. In famiglia non disse nulla a nessuno, la notizia era troppo grossa per essere consumata con poche parole senza conoscere le risposte che avrebbe generato o forse preferiva non sentire, soprattutto la reazione di Elena, sua moglie, sempre intenta a leggere le riviste di pettegolezzi e sognare le cose che non poteva permettersi. No, non poteva sbandierare così ai quattro venti una notizia come quella, avrebbe senz’altro sconvolto il quieto trantran della loro esistenza. Cenò, guardò la tele e si coricò come aveva sempre fatto. Quella notte non dormì, la passò a pensare a tutti quei soldi che uno strano caso della vita aveva voluto mettere nelle sue mani.

Congetture che prima di allora non aveva mai neppure lontanamente ipotizzato iniziavano a farsi spazio nella sua mente intasata dalla nuova circostanza.

Tutti quei soldi avrebbero inevitabilmente cambiato la sua vita, la loro vita, ma in che modo?

Non poteva sapere come l’avrebbe presa sua moglie e i suoi figli e poi, novanta milioni di euro, centoottanta miliardi di lire gli avrebbero creato non pochi problemi amministrativi. La semplice riscossione era già un problema. Non sapeva di chi fidarsi, eppure di qualcuno avrebbe dovuto fidarsi per incassare. Pensava a cosa farne e intanto non sapeva come incassarli, buffo, vero? E anche la fortunata serie vincente non sapeva dove riporla, quel minuscolo pezzo di carta che poteva cambiare la sua vita, era sempre lì nelle sue tasche in attesa di un luogo più sicuro. Dopo aver pensato ai nascondigli più impensabili decise di riporre il piccolo pezzo di carta a mo’ di segnalibro tra le pagine del libro che stava leggendo appoggiato sul comodino in camera da letto.

Intanto i giorni e le settimane passavano senza che riuscisse a prendere una decisione in merito e ciò che poteva ad un primo momento, apparire come una manna dal cielo, col passare del tempo stava assumendo le sembianze di una cupa minaccia sulla sua esistenza fino ad allora non certo esaltante, ma tranquilla, con una famiglia tutto sommato, unita. Certo, qualche screzio con la moglie e con figli ogni tanto c’era, ma cose comuni ad ogni famiglia. In casa avevano anche parlato della grossa vincita ed ognuno aveva detto la sua, Elena diceva che se avesse vinto lei tutti quei soldi avrebbe mandato i figli in un collegio svizzero e sarebbe andata a fare il giro del mondo. Solo lui, il buon Anselmo, non aveva alcuna idea in proposito.

Al lavoro continuava a comportarsi come sempre anche se qualcuno, in verità, qualcosa di cambiato in lui l’aveva notato, soprattutto che non era più presente come un tempo, pareva che certi pensieri lo sovrastassero, rapendolo in un’altra dimensione, al punto che ogni tanto bisognava richiamarlo dal suo mondo. Nessuno però poteva sospettare la verità.

Ogni sera, quando si coricava, prendeva in mano il libro per leggere qualche pagina e guardava il biglietto, ma con noncuranza proseguiva la lettura per poi riposizionarlo dove era arrivato.

Solo quando spegneva la luce iniziava a pensare, fantasticare, ma soprattutto si faceva un sacco di domande, la maggior parte delle quali rimaneva senza risposta e quelle che l’avevano lo spaventavano, a morte.  Fra le varie ipotesi era spuntata anche quella di distruggere il biglietto, ma non ve ne fu bisogno, il tempo aveva deciso per lui, dopo sei mesi il biglietto non era stato presentato all’incasso e la sua validità era decaduta. Per Anselmo fu quasi una grazia dal cielo, senza dover decidere, tutto era tornato come prima e fu così che riprese a fare sonni tranquilli col suo speciale segnalibro tra le pagine del libro sul comodino.

A cura di Max Bonfanti



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