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Questa novella vuole essere un piccolo omaggio per tutti quegli Italiani che

per affermare un loro diritto sono dovuti espatriare.

Mi scuso se alcune frasi in dialetto non sono scritte come dovrebbero.

 

NUMERI

 

Aveva già percorso più di seicento chilometri, era partito a mezzanotte da Zurigo, aveva oltrepassato il Gottardo, la dogana di Ponte Chiasso, viaggiava sull’autostrada del sole e alle prime luci dell’alba si trovava ad una cinquantina di chilometri da Firenze. Ancora qualche chilometro e si sarebbe fermato all’autogrill per fare il pieno, darsi una rinfrescata e bere finalmente un buon caffè, non il solito beverone che gli Svizzeri chiamano caffè. Erano due anni che non tornava a San Cataldo, un paesino a seicentoventicinque metri della provincia nissena, lo aspettavano, oltre allo stuolo di parenti, sua moglie Graziella e i suoi due bambini, Ninfa di otto anni e Tonino di sei. Aveva previsto di fare tre soste, una ogni circa seicento chilometri, aveva percorso circa un terzo di strada in poco più di sei ore, se manteneva quella media, calcolando un paio d’ore per le soste e un’altra ora o due per l’imbarco a Villa S.Giovanni, poteva arrivare a casa prima di mezzanotte. Una tirata di milleottocento chilometri non sono uno scherzo, ma Totuccio era giovane e aveva tanta voglia di riabbracciare i suoi cari. Il cartello stradale indicava l’area di servizio a duemila metri, sorpassa l’ultimo tir e si mette nella corsia più a destra, 160, 150, 140, 130, 80, aziona l’indicatore di direzione a destra e scala le marce fino a fermarsi sotto un pergolato di glicini. Scese dall’auto, si stiracchiò le braccia e fece un lungo sbadiglio, l’aria del mattino era fresca e piacevole. Alcuni camionisti uscivano dal grill per andare verso i loro bestioni, chissà dove andavano? Chissà da dove venivano? Ognuno aveva una storia, ognuno era una storia. Totuccio sollecitato da una vescica impellente si affrettò prima alla toilette, poi si sciacquò il viso e al bar si fece servire un caffè doppio con una brioche. Per essere le sei del mattino c’era molta gente, molti che andavano in vacanza, altri tornavano dall’estero per passare il ferragosto a casa, altri erano in giro per lavoro. La sosta non durò più di mezz’ora, la tabella di marcia era abbondantemente rispettata, risalì in auto, una Mercedes 200D che il suo datore di lavoro, un emigrato come lui che aveva fatto fortuna nel campo della ristorazione, gli aveva prestato in occasione del lungo viaggio, lui ne aveva un’altra più nuova e più potente, ma per Totuccio che aveva una vecchia Opel Kadett, quella era il massimo. Fece il pieno, ripartì e intanto con la mente era già arrivato, immaginava il momento in cui avrebbe tirato fuori dalla valigia le caramelle e le tavolette di cioccolato per i bambini, il profumo per lei e il tabacco da pipa per il nonno e le sigarette per i cognati. Pensava ai compaesani davanti alla macchina, vedeva che gliela ammiravano, toccavano, immaginava gli sguardi compiaciuti e i commenti: “Al nort è n’avutra cosa, minchia, ddà ci sunno i piccioli. Mii che bella machina! Talia ccà, talia ddà, no cum’accà ca non ciavimu nienti.” Sentiva nelle orecchie il suo dialetto come se fosse già arrivato, quante domande gli avrebbero fatto: ”Quannu te l’accattasti? Quantu a pagasti, ah? T’a passi bene, ah? E bravo Totuccio!” Avrebbe detto che la macchina era sua, in fondo non era una bugia, aveva già messo da parte i soldi per comprarsela, solo che così l’aveva provata prima. Ancora un po’ di pazienza e di chilometri e finalmente sarebbe arrivato a San Cataldo.

Aveva da poco lasciato alle sue spalle l’ampio golfo di Napoli che ecco comparire alla sua destra un altro panorama magnifico, quello del golfo di Salerno. Per un tratto rallentò e guardò oltre il guardrail prima che l’autostrada s’inerpicasse verso l’interno e le montagne. Per un po’ il mare non l’avrebbe più visto.

A Battipaglia fece la seconda sosta, il paesaggio era completamente cambiato, i glicini e le vigne avevano lasciato il posto ai pini marittimi e ai fichi d’india, tanti fichi d’india, alcuni erano già maturi, ne colse uno e lo mangiò, era buono. Al suo paese crescevano dappertutto. In Svizzera non li conoscono neppure, pensò. Il profumo di casa aleggiava, già si respirava un’altra aria. Una visita all’autogrill, una focaccia con la frittata mangiata fuori all’ombra di un pino, un caffè doppio nel bicchierino di plastica, il pieno di gasolio e via.

Arrivò a Villa S.Giovanni alle sei del pomeriggio, aveva fatto una bella tirata, era in anticipo sulla tabella di marcia, sudato fradicio, non gli piaceva viaggiare con l’aria condizionata, gli avevano detto che era pericoloso e si poteva prendere la polmonite, così preferiva viaggiare con la poca aria che entrava dal deflettore. Alla sua salute ci teneva, non poteva certo permettersi di ammalarsi, quella è cosa da signori.

Forse sarebbe arrivato a casa anche prima del previsto, ma non aveva fatto i conti con lo sciopero dei marittimi di ventiquattro ore iniziato alle otto di mattina. Totuccio da buon fatalista del sud non volle arrabbiarsi, telefonò a casa che sarebbe arrivato il giorno dopo e se ne andò a dormire in un alberghetto, qualche ora in più o in meno ormai non avrebbe cambiato nulla, anzi il giorno dopo sarebbe arrivato fresco e riposato e cu s’è vvisto s’è vvisto.

A cura di Max Bonfanti


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