GIALLO, ROSSO E NERO
L’appuntamento era per le quattro del pomeriggio in Galleria, al centro dell’Ottagono, proprio dove ogni giorno migliaia di tacchi, in una trottola apotropaica, ruotano sui testicoli del toro fino a castrarli. Un posto inconfondibile, se vuoi essere sicuro di non sbagliare dai gli appuntamenti lì e sei certo che tutti lo troveranno. Una comitiva di turisti giapponesi, sempre sorridenti, attende il proprio turno per assicurarsi la benevolenza della Dea bendata, quando in lontananza vedo avvicinarsi velocemente, con l’aria di chi cerca qualcuno, una figura maschile ben vestita con un garofano rosso all’occhiello, un particolare in più per diminuire le possibilità di errore. Mi stacco dalla comitiva dei giapponesi, metto bene in mostra una copia dell’Herald Tribune, un altro accorgimento per diminuire ulteriormente le probabilità di errore, mi avvicino al portatore di garofano e gettando un occhio prima al giornale e poi al fiore accenno un mezzo sorriso subito ricambiato. “Giorgio Fieschi?” “Sì” “Piacere sono Rodolfo Pesenti, ha fatto un buon viaggio?” “Sì grazie, ma per favore diamoci del tu” “Certo, scusami, ma anche se ci conosciamo ormai da più di un anno, è la prima volta che ci vediamo” Tra banali convenevoli e sguardi di circostanza, il discorso lentamente evolve verso un incedere meno formale. Un anno di corrispondenza via mail ha preceduto questo incontro desiderato da entrambi, ma sempre rimandato per i motivi più strani e imprevedibili. Io sono un compositore di Jingle e lui, Giorgio, è uno scrittore di romanzi. Ci siamo conosciuti casualmente quando, non so come, mi era arrivato l’invito per assistere alla presentazione del suo ultimo libro, “L’ombra dei poveri”. Non potei assistervi, ma fui incuriosito da quel titolo e così gli mandai una mail in cui esprimevo tutto il mio rammarico per non essere intervenuto alla presentazione del libro. Fu così che iniziammo, seppure saltuariamente, a scriverci. Sarebbe stato facile incontrarsi, ci separava non più di un’ora di auto, ma come ho già detto per un motivo o per l’altro o forse per la paura di rimanere delusi da chissà quale imperscrutabile motivo avevamo preferito continuare a scriverci. Oggi, finalmente siamo qui. Io e lui. Fin dagli inizi l’avevo sempre considerato un tipo geniale e sensibile, diverso da tutti quelli conosciuti prima, in un certo senso mi identifico in lui, abbiamo talmente tanti punti in comune che a volte, leggendo le sue parole mi sembra quasi di averle scritte io. Oggi che lo sto vedendo posso anche affermare che il suo aspetto esteriore non è meno intrigante della sua intima essenza. Dagli sguardi intensi con cui mi avvolge e mi penetra devo convenire che siamo entrambi preda degli stessi voraci sentimenti. L’attenzione con cui mi ascolta, senza interrompermi con similitudini personali, non fa che aumentare il mio interesse per quell’uomo conosciuto per uno strano gioco del caso. Nessuno è mai stato tanto disposto ad ascoltarmi, mi sento pervaso da un senso di gratificazione unico, mai provato, mi sembra impossibile che qualcuno sia così interessato alla mia persona. Tutte le informazioni che ci siamo scambiate, palesi e non, si stanno rivelando veritiere, penso che avremo molto da ricevere l’uno dall’altro. Mi sembra di conoscerlo da sempre, la sua estrema cordialità mi incoraggia a confidare in un’amicizia più intima. Quando a tavola, nell’attesa che ci servano il caffè, intenzionalmente, guardandolo negli occhi sfioro con un dito la sua mano, per la prima volta lo sento alieno, algido, il suo sguardo, fino ad un attimo prima, vivace e indagatore si arresta per un eterno secondo. La mente va in subbuglio, mille domande si affacciano e scompaiono. - Cosa ho fatto? - Dove ho sbagliato? Non capisco cosa stia accadendo, tutti i progetti, come travolti da uno tsunami, naufragano nel mare delle congetture mai realizzate. Con un leggero cenno del disappunto di chi vede infrangere le aspettative, si alza senza dire una parola, va alla cassa, paga il conto e rimango solo con l’amara certezza che non l’avrei più rivisto. A cura di Max Bonfanti
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