LA SCATOLA INDIANA
Il professor Franz, seduto davanti alla sua scrivania, fissava la scatola di legno intarsiato che un suo paziente gli aveva portato da un viaggio in India. Era una scatola di legno scuro, teck, finemente lavorata a mano probabilmente da qualcuno che dopo averci lavorato chissà per quanti giorni, a malapena avrà ricavato sì e no qualche rupia. Era appoggiata sulla scrivania da alcuni anni, Forini, il tipo che gliela aveva regalata, gli aveva chiesto di non aprirla fintanto che fosse in analisi e Franz non ebbe problemi ad acconsentire a quella strana richiesta; ma una scatola è fatta per essere aperta, richiusa, per contenere qualcosa, no per essere tenuta sempre chiusa senza per altro sapere cosa contenga, sì, perché qualcosa era contenuta in quella scatola benché Franz non avesse la più pallida idea di cosa potesse contenere. Molte altre volte l’aveva adocchiata, chissà quante altre si era domandato cosa contenesse e per quale recondito motivo Forini gli avesse chiesto di non aprirla, chissà, forse per avere anche lui un luogo off limits per Franz che gli aveva scandagliato la vita fino a rivoltarla come un calzino, già probabilmente il motivo era quello. All’inizio l’aveva presa e appoggiata sulla scrivania senza darle troppa importanza, ma col passare del tempo cominciava ad essere preda di una curiosità che andava facendosi sempre più prepotente. Quante volte l’aveva presa in mano e agitata vicino all’orecchio per cercare di carpirne il segreto, proprio come si fa con le uova di Pasqua, ma nessun rumore particolare poteva aiutarlo, solo aprendola l’avrebbe scoperto e non sarebbe neppure stato molto difficile, ma non voleva venire meno alla promessa fatta e soffocava così ogni desiderio. Ogni volta che Forini aveva la sua seduta, e ne aveva tre alla settimana, gettava uno sguardo compiaciuto su quella scatola, a volte diceva qualche parola a riguardo ma per lo più si assicurava che non fosse stato violato il sigillo, un sigillo di ceralacca con impresso il suo stemma di famiglia, tre spade incrociate sormontate da una testa di cinghiale. Forini frequentava lo studio del professor Franz da circa sette anni e il dono della scatola glielo fece dopo tre anni, il quarto, altre volte aveva compiuto viaggi all’estero, anche in India senza però fare doni, a dire il vero neppure una cartolina e in sette anni quello era stato l’unico presente che gli aveva fatto. L’analisi era quasi giunta al termine e Forini era molto soddisfatto dei risultati ottenuti, per l’addio definitivo era ormai questione di poco. E quel poco non si fece attendere. Quando si lasciarono Forini gli disse di chiamarlo quando, libero dalla promessa, avrebbe finalmente aperto la scatola e Franz annuì col capo. Il professor Franz, seduto davanti alla sua scrivania, fissava la scatola di legno intarsiato che Forini gli aveva portato da un viaggio in India. Era una scatola di legno scuro, teck, finemente lavorata a mano probabilmente da qualcuno che dopo averci lavorato chissà per quanti giorni, a malapena avrà ricavato sì e no qualche rupia. Era appoggiata sulla scrivania, ancora sigillata, da più di vent’anni.
a cura di Max Bonfanti |
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