Intervista al poeta Giampiero Neri
Famoso e riconosciuto tra i più grandi poeti contemporanei, Giampiero Neri mi accoglie insieme alla moglie Annamaria: sono qui per l'intervista ma in realtà mi sento a casa, a dire il vero avverto lo stesso piacere di quando nell'infanzia vivevo in casa dei nonni. Mi offrono anche le caramelle! Quest'atmosfera ovattata è proprio adatta per dialogare con un poeta.
Quando ci siamo conosciuti mi ha parlato del libro di un filosofo… Sì, ti ho parlato dell’Aut-Aut di Kierkegaard, soprattutto l’inizio. Pensa l’ho letto a mia mamma poche ore prima che morisse. Era all’ospedale per un intervento, io la stavo assistendo, eravamo nei primi anni ’80: le ho letto questo bellissimo inizio di Aut-Aut Cosa ti aveva colpito di questo pezzo? Quello che dovevo dirti te lo dico, anzi te lo ripeto, o questo o quello aut-aut e lei mi ha detto “E allora: forza, forza!” Sono le ultime parole che mi ha detto, poi non c’è stato più la possibilità di fare una conversazione. Mi piace anche leggere gli inizi di Platone e a volte i finali dei dialoghi, sono straordinari Ti hanno dato degli spunti? Mi piacciono quando si incontrano e si dicono magari: “Dove vai con questa barba ben fatta?” e l’altro: “Allora ti accompagno”. Questi inizi mi introducono in una dimensione che doveva essere la loro Entri nella loro realtà Proprio così. Essendomi sempre interessato al passato, mi dà emozione Tu che sei un poeta, puoi dirmi se è vero che i poeti sono persone sempre prese a rielaborare il passato Se intendi il proprio passato, sì, in generale credo interessi al poeta. C’è un io che ha il poeta e in genere chi scrive che è esorbitante. Io non so se ce l’ho. Tutti i poeti lirici parlano di sé, io non sono un poeta lirico Che poeta sei? Mi considero un poeta drammatico. Ho seguito una strada più vicina alla prosa, non per libera volontà ma perché ho trovato che mi andava bene un verso di Ezra Pound Il tempo voleva un cinema in parole non certo l’alabastro. Quindi non l’ornamento, ma un cinema in parole, io sono interessato alle immagini alla guerra e alla problematica che si accompagna alla guerra. C’è questa idea che chi vinca, perda In che cosa perde? Perde nelle proporzioni della sua vittoria, vuole non solo aver vinto e questo nessuno lo nega, ma vuole essere anche il più buono, il più meritevole Tutto questo gli fa perdere qualcosa? Naturalmente, certo, diventa un’arte di propaganda Forse come persona perde la verità? Sì, perde la verità. Avrai notato che siamo bombardati ad esempio dall’idea che tutti i tedeschi sono cattivi, in realtà sono anche buoni. Poi c’è un filosofo che mi ha colpito, Jacob Taubes Che cosa ti ha colpito? Lo trovo di un’intelligenza straordinaria e poi perché è l’unico pesatore che abbia detto delle cose particolari, che si sia sforzato di capire il nemico, l’avversario. Lui dice che Karl Smith il costituzionalista tedesco fosse di indole cattiva, ma qual è il fascino che l’ha indotto ad essere il presidente dei giudici nazionalsocialistiti? Quindi capire le ragioni dell’avversario non vuol dire condividerle Assolutamente no! Gli sembrava una tale enormità che a lui interessasse sapere perché quella persona era diventata nazionalsocialista. Ecco, allora a me interessano le cause perse, le ragioni delle non ragioni Gli aspetti meno evidenti delle cose Sì, secondo me sono quelle che contano per capire. Questa sembra una scoperta dell’acqua calda, ma è facile parlar male, è una cosa che hanno in tasca tutti. È la cosa più facile del mondo. Quindi trovo interessante che ci sia qualcuno che non si occupi dei luoghi comuni. Tu mi chiedevi dei filosofi, per esempio Hobbes e la sua idea del Leviatano. Per via della sua idea dell’asprezza della politica e del potere e della sua ferocia, mi ha interessato Hai trovato quindi ispirazioni nelle tematiche dei filosofi e la tua prima poesia quando l’hai scritta? Ho incominciato tardi a poetare prima mi interessavo, questo non lo dico di solito, alla musica Davvero? Sì, volevo diventare un concertista di chitarra classica. Mi svegliavo e prima di andare in Banca suonavo, ma ci vuol ben altro! Bisogna iniziare da piccoli con uno strumento Sì, questo per aver una certa manualità. Anche se Django Reinhardt (1910-1953), un chitarrista jazz di nazionalità francese suonava nonostante avesse perso due dita in un incidente…Poi ho capito tardi che avrei fatto un buco nell’acqua anche se andavo a lezione da un certo Abloniz che ha pubblicato da Ricordi. Lui aveva interesse per la letteratura e mi parlava de L’Ulisse di Joyce dicendomi che aveva scoperto che quel libro iniziava a pagina 59. Queste cose accadevano cinquanta anni fa ed io me lo ricordo. Sono andato a vedere ed è possibile che sia così. Ho iniziato a trent’anni con alcune poesie, poi non andavano bene anche se ne ho tenuta qualcuna. È stato Majorino a sostenermi, l’ho conosciuto casualmente, gli ho fatto vedere le poesie e lui mi ha detto di scrivere una storia. È stato un ottimo consiglio. Il mio primo lavoro l’ho dedicato a lui Di che lavoro si tratta? L’aspetto occidentale del vestito, (1976, ed. Guanda) una storia: la mia. L’ultimo libro Paesaggi inospiti, (2009, ed. Mondadori) che sarebbe poi il mio paese, termina con una specie di sogno incubo. Lo descrivo perché mi interessava quell’immagine lì, che è stata la mia vita che non è quello che immaginavo da ragazzo Cosa immaginavi? Immaginavo di essere fortunato, di essere felice…si è verificato nell’infanzia. Poi ho capito questo Quindi tu da bambino ti immaginavi una vita diversa Mio padre è stato ucciso durante la guerra civile…tutto quello che mi è accaduto mi ha dato l’idea che la vita non era come me l’ero immaginata. (Mi fa vedere una foto di quando era piccolo insieme alla sua mamma) Eri davvero un bambino adorato, la tua memoria è legata a questa immagine di te Eh, sì. Questa vita che ti eri prefigurato che poi non è avvenuta non sarà stata la molla per la poesia? Certamente. Io ho scritto perché mi sono successe queste cose altrimenti avrei fatto una vita più spensierata. Queste esperienze che hanno attraversato la mia vita mi hanno segnato e quindi sono figlio del mio tempo. Tutto ciò è stato l’essenza di quello che ho scritto La scrittura ti ha aiutato, fa bene a chi scrive e a chi legge Certamente, fa pensare. Ho imparato anche leggendo Omero Ora non scrivi più poesie? Ho già dichiarato che dopo Paesaggi inospiti non avrei più scritto poesie Un altro argomento che mi avevi accennato era il tuo interesse per il male Nella religione cristiana c’è il problema del male che è centrale. Come si fa a pensare alla divinità e nello stesso tempo ad una sorta di divinità maligna? Il principe della malignità. Penso al male partendo da Gesù quando parla ad un tale che gli aveva detto: “Maestro tu che sei buono” e lui risponde: “Perché mi dici buono, solo Dio è buono”. Partendo dall’idea che il male è nella natura dell’uomo sono arrivato a pensare e poi dire che il male sia anche necessario. Lo vedo rappresentato in una forma araldica come l’aquila bicipite, il bene e il male come opposto. Ho pensato che noi abbiamo teorizzato scientificamente in Fisica: ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Questo è il male e quindi dal male non può che nascere il bene Quello che dici ci riporta ai Greci che parlavano di opposti con Eros e Thanatos, non si può vivere senza l’opposto altrimenti manca l’equilibrio: crollerebbe tutto Eh, sì. Nessuno lo dice ma il bene nasce dal male, quindi non dovremmo parlarne poi tanto male Qual’ è l’ultimo libro che stai scrivendo? Il professor Fumagalli e altre figure Chi è questo professore? È stato il mio mentore, è stato un grande professore alle Medie e poi siamo diventati amici Maria Giovanna Farina
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