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Amore o la favola degli esseri tagliati a metà

(in margine al ‘Simposio’ di Platone)


A una cena fra amici, si decide di darsi il cambio per parlare in lode e alla ricerca di amore: che cosa è mai, è divina o malefica questa spinta irresistibile, per quale ragione e in che modo nasce? Il più versato alla burla dei convitati, sì da aver fatto di tale inclinazione un’apprezzata professione teatrale, tale Aristofane, inventa una storia in merito, a metà fra satirico e drammatico.

Molto tempo fa, egli racconta, c’erano non solo due sessi, ma tre: gli esseri primordiali erano una mescolanza non solo di maschio e maschio o di femmina e femmina, ma anche di uomo e donna, gli androgini questi ultimi, di cui si conserva oggi solo memoria e nome (quel duplice essere e sentire, comprensivo e non conflittuale, che Virginia Woolf, nel suo A room of one’s own del 1928, dirà indispensabile perché avvenga “il matrimonio dei contrari” della vera creazione letteraria). Quelli originari erano dunque, per Aristofane, esseri duplici: un unico tronco rotondo, da cui spuntavano quattro braccia, quattro gambe e doppi organi genitali e, in cima, un solo collo su cui stavan piantati due crani, attaccati per la nuca e con due volti divergenti. Ognuno era dunque un Giano bifronte. Questa particolare anatomia permetteva ai nostri progenitori di vedere tutto attorno a 360° (di veder tutto salvo il volto opposto della propria metà!) e di muoversi veloci, non solo avanti e indietro come granchi sui quattro arti inferiori, ma anche di roteare su se stessi come acrobati, poggiando alternativamente sulle otto gambe e braccia in dotazione.

Allora come oggi la potenza fisica influì in malo modo sulla grandezza di prospettive ed essi tentarono di dar la scalata al cielo, minacciando lo status privilegiato di Zeus e del suo entourage di dèi. Il Signore divino non li fulminò come aveva fatto coi Giganti, per non perdere il vantaggio derivante dalla loro devozione, ma escogitò uno stratagemma per moltiplicarne il numero e indebolirne la protervia. Li sezionò in due dall’alto in basso, come fa chi “con un crine, tagli le uova sode” ed anzi minacciò, se non se ne fossero stati buoni al loro posto, di dividerli ancora, costringendoli a saltellare su una gamba sola. Apollo chirurgo procedette al taglio, rigirando loro volto ed occhi dall’esterno verso l’interno e raccogliendo la pelle al centro del ventre, nell’ombelico, cicatrice-memento dell’intervento subìto e della moderazione d’ora in poi auspicata.

Ciascuno dunque da allora fu solo uomo o solo donna, con due occhi, due gambe, due braccia: ma “dopo che la natura umana fu divisa in due, ogni metà, sentendo dolorosa mancanza della metà ch’era sua <maschile o femminile che in origine fosse>, le andava incontro e, gettandosi le braccia al collo e stringendosi forte l’una all’altra, desiderando di rifondersi insieme, <tutte> morivano di fame e d’inattività, poiché nessuna voleva far nulla senza l’altra”.

Dolorosamente, quindi, sono nati gli esseri umani attuali ed è nato amore. Zeus ebbe pietà dei miseri esseri dimidiati che aveva creato e fece loro rigirare verso l’interno anche gli organi genitali, permettendo in qualche modo di riprodurre, nell’accoppiamento sessuale, l’unità originaria perduta. “Da così lungo tempo, dunque, è connaturato negli esseri umani questo amore uno verso l’altro, che spinge verso l’antica natura nostra e che intende rifar di due un unico ente e ripristinare la natura <originaria>. Ognuno di noi è come una mezza tessera d’uomo, poiché da quell’uno che era è spaccato in due…: sempre ognuno cerca l’altra metà di sé”.

La favola non solo giustifica l’amore omosessuale maschile corrente nella Grecia di V-IV sec. a. C.: il convitato Socrate, intervenendo anch’egli sulle origini di Eros e riportando le autorevoli tesi della sacerdotessa Diotima di Mantinea, dirà che amore è sì certamente invincibile nostalgia, ma non di un’antica metà perduta, bensì del Bello-Bene contemplato e contemplabile al culmine della scala amorosa. E tuttavia la favola aristofanesca rende conto di tratti ineliminabili della nostra inclinazione amorosa: la necessità del riconoscimento (reso possibile da quel rigiramento degli occhi verso l’interno che consente alle due metà di guardarsi finalmente l’un l’altra) e il senso perdurante della mancanza, quella dolorosa mutilazione originaria che tutti, maschi e femmine, continua a spingerci con invincibile forza l’uno verso l’altro, “desiderando di rifonderci insieme”.

Linda Napolitano


Linda Napolitano è amica de L'accento di Socrate www.laccentodisocrate.it/AMICI.html



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