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Intervista a Carlo Mazzucchelli

 

Dirigente d’azienda, filosofo, tecnologo e consulente in scienze della comunicazione, marketing e management delle organizzazioni. Carlo Mazzucchelli è il fondatore del progetto editoriale SoloTablet dedicato alle nuove tecnologie e ai loro effetti sulla vita individuale, sociale e professionale delle persone. Lo abbiamo incontrato in occasione dell’uscita del suo nuovo e-book


Il tuo nuovo e-book, 100 strategie analogiche per resistere al digitale (e allo smartphone), ci fornisce istruzioni pratiche e concrete per disintossicarci dallo smartphone, ma anche dalla pervasività della connessione in generale. Addirittura 100 mosse, è quindi molto difficile?

Considerando la pervasività del dispositivo mobile, il tempo a esso dedicato e il coinvolgimento che ne deriva, i suggerimenti avrebbero potuto essere molti di più. 100 è un numero perfetto per un elenco, un titolo, un esercizio di scrittura, una ricerca Google. Distaccarsi dal proprio dispositivo tecnologico non è difficile ma richiede la capacità di riflettere criticamente su sé stessi e sul proprio rapporto con la tecnologia. Il risultato potrebbe essere una maggiore conoscenza e consapevolezza degli effetti che, da questa relazione tecnologica e digitale, derivano sui comportamenti e gli stili di vita ma anche sul modo di pensare, le emozioni e le relazioni affettive e sociali.

 Ho organizzato il testo nella forma di manuale di consultazione, utilizzabile anche mentre si è in viaggio, in treno o metro. Un breviario laico, non conformista e poco ortodosso, per una lettura giornaliera, leggera e poco impegnativa, con 100 capitoletti contenenti idee, spunti, suggerimenti, provocazioni e inviti a trovare il modo di liberarsi, almeno temporaneamente, dalla dipendenza dal proprio smartphone e dalle urgenze, non sempre motivate, che ne derivano.

Il punto di partenza della riflessione che ha dato origine a questo e-book è la profondità dei cambiamenti che la tecnologia sta producendo nella vita degli immigrati digitali ma soprattutto in quella dei cosiddetti nativi digitali. I cambiamenti non stanno solo nel tempo eccessivo passato a interagire con gli strumenti tecnologici ma nella percezione del tempo stesso, sempre più schiacciato sul presente, dimentico del passato e incapace di visioni diacroniche del futuro. La tecnologia cattura e incatena la nostra attenzione, ci coinvolge emozionalmente, influisce sulla percezione del sè e sulle relazioni con gli altri, ci impedisce la lentezza necessaria a sviluppare pensiero critico e a riflettere sulle cose, ci trasporta in realtà virtuali percepite sempre più come reali. 

Per tornare alla domanda iniziale, non credo che disconnettersi sia particolarmente difficile anche se è necessario fare una scelta e rendere effettiva una decisione. Potrebbe servire ritrovare la voglia di sperimentare cose nuove (la vita prima dello smartphone, la conversazione a tavola senza interruzioni di cinguettii o messaggi WhatsApp, ecc.) o la decisione di ribellarsi alle tante tirannie che la tecnologia oggi impone. Senza smartphone e lontano dalle innumerevoli interpretazioni contenute dentro l'acquario Facebook si potrebbe recuperare il contatto con la realtà dei fatti, dei contatti faccia a faccia e le emozioni che ne derivano, delle esperienze fisiche, della comunicazione in forma di dialogo e conversazione e degli 'algoritmi' mentali delle persone (diversi certamente da quelli freddi, digitali e tecnologici delle piattaforme online).

L’eccessiva digitalizzazione ha una correlazione con il decadimento culturale della nostra epoca? E se sì, in che senso sono correlate?

Non credo che il decadimento culturale della nostra epoca sia imputabile alla tecnologia. Anche se ho proposto 100 idee su come disconnettersi dal digitale e dallo strumento tecnologico il mio non è uno sguardo da tecnofobo, preoccupato dei danni che la tecnologia potrebbe produrre. E' piuttosto uno sguardo tecno-critico, tecno-cinico e tecno-consapevole. L'uomo è tecnologico da sempre, fin da quando trasformò la sua mano e il pollice in strumenti prensili poi usati per la fabbricazione di utensili o fin da quanto esternalizzò l'archiviazione della memoria dentro strumenti tecnici come il linguaggio o la scrittura.

Il decadimento che percepiamo oggi è molto legato al mondo occidentale (perché la Cina e i cinesi dovrebbero percepirsi in crisi? E l'India o la Russia?) e alla percezione di essere prossimi a grandi e profondi cambiamenti, in economia (le crisi finanziarie del 2008 e la globalizzazione), in politica (l'emergere del populismo), nei media (fake news e fake content, false e post-verità), nella cultura e nella teoria (la crisi del postmodernismo e il ritorno della modernità con i suoi fatti e il bisogno di verità). In tutto questo la tecnologia è l'elemento paradigmatico che può essere usato per comprendere le molteplici crisi in atto ma anche per individuare possibili vie di fuga o di uscita (la crisi come strumento diagnostico e decisionale per trovare una via di uscita).

Come ha scritto Luciano Floridi nel suo ultimo libro La quarta rivoluzione, "Le tecnologie sono diventate forze ambientali, antropologiche, sociali e interpretative". Come tali stanno cambiando in modo radicale e forse per sempre le nostre vite forgiando le realtà fisiche ma anche quelle intellettuali che abitiamo, stanno modificando il modo con cui comprendiamo noi stessi, ci rapportiamo con gli altri alla ricerca della nostra identità ma anche il modo con cui interpretiamo il mondo.

Se il decadimento è associato al modo quasi animalesco e poco razionale, succube e poco libero, con cui molti interagiscono con il dispositivo tecnologico, le responsabilità della tecnologia sono pari a quelle di chi la usa. La tecnologia può però essere anche lo strumento principe di una grande rivoluzione destinata non soltanto a produrre maggiore automazione e mobilità ma anche a fornire nuovi strumenti adattativi, utili alla nuova fase di evoluzione del genere umano.

Quello che io penso, e spero emerga anche dal mio e-book, è la necessità di una riflessione critica, da parte di tutti, sulla tecnologia e l'uso che ne viene fatto (personale, in famiglia, a scuola, in politica, ecc.) per un suo uso consapevole. La riflessione è oggi favorita dalla diffusione stessa della tecnologia e dalla sua pervasività.  Il mondo è diventato globale e interconnesso, le piattaforme social sono abitate da miliardi di utilizzatori ma le persone stanno cominciando a percepire il bisogno emergente di lentezza, di libertà dal mezzo tecnologico e di ritorno a strumenti analogici. Anche questi nuovi bisogni emergenti stanno dentro la crisi o le tante crisi che viviamo. Sono tanti sintomi della ricerca di nuove possibilità, non necessariamente digitali o nell'ambito esclusivo della tecnologia.

Non credi che l’essere umano sia in grado di “auto-ripararsi” e comprendere anche con i tuoi suggerimenti che forse sia meglio ritornare a una dimensione concreta e disconnessa?

Essere ottimisti nel periodo in cui viviamo è difficile. Forse può essere più facile diventare tecno-ottimisti. La soluzione non sta comunque nel tornare indietro, a dimensioni pre-tecnologiche, disconnesse e semplicemente analogiche.

L'essere umano ha sicuramente dimostrato di sapersi auto-riparare ma anche di sapersi spesso auto-distruggere (oggi in molte aree del mondo a partire dal Medio oriente). La fase attuale è complicata dal ruolo assegnato (lasciato?) alla tecnologia, dalla sua volontà di potenza e dalla sua velocità di fuga. L'auto-riparazione potrebbe portare, come sostengono i transumanisti e i teorici del postumanesimo, a una nuova fase (di auto-riparazione?) caratterizzata dalla singolarità e dalla commistione e/o ibridazione uomo-macchina.

Questo tipo di idee sull'evoluzione prossima ventura della specie umana solleva numerose resistenze, anche da parte di alcuni tra i primi teorici del postumanesimo. Resistenze legate alla velocità con cui la tecnologia si sta affermando in ogni ambito vitale e alla difficoltà nella produzione, con la stessa velocità, di nuovi concetti, teorie e modelli interpretativi, utili a rielaborare l'intera visione antropocentrica del mondo che ha guidato il genere umano nei secoli passati. Riuscire a immaginare e accettare che l'auto-riparazione o evoluzione prossima ventura possa venire da componenti macchinici è complicato e non fa che aumentare la percezione di crisi e la necessità (urgenza?) di riconfigurare visioni del mondo, valori, idee e prospettive.

Come evolverà il passaggio al postumano è ancora oggi imprevedibile così come non è condiviso da tutti che questo passaggio determini un'evoluzione positiva, di auto-riparazione o auto-aggiustamento del genere umano così come lo conosciamo oggi. Quello che è certo è che tutto avverrà in un contesto fortemente determinato dalle tecnologie dell'informazione (la infosfera di Floridi), dalla volontà di potenza della tecnologia e dalla sua capacità di procedere anche senza il nostro aiuto (il technium di Kevin Kelly).

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Maria Giovanna Farina (novembre 2017 - Tutti i diritti riservati©)



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