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Quando la madre uccide


I casi di cronaca ci conducono a riflettere su una particolare forma di violenza, quella delle madri contro i loro figli. Sono donne affette da patologie psichiatriche mai diagnosticate e difficili da riscontrare come la cosiddetta sindrome di Medea, la madre che uccide i figli. Medea è una figura mitologia, è nipote della maga Circe dalla quale eredita i poteri. Innamoratasi di Giasone, lo aiuta ad impossessarsi del vello d’oro arrivando persino ad uccidere il proprio fratello, in modo che il padre, intento a raccogliere i resti del figlio fatto a pezzi da Medea stessa, non possa seguire gli Argonauti e lei stessa che in seguito sposerà il suo amato. Tra molte peripezie si giunge al fatto tragico, Giasone si innamora di un altra e per vendetta Medea uccide i loro figli. La mitologia mette in scena anche i lati peggiori dei comportamenti umani, ciò non deve stupirci anzi possiamo dire che la mitologia, da cui la psicoanalisi ha attinto, è, per usare un termine contemporaneo, uno specchio dei disordini mentali degli esseri umani. La sindrome di Medea mette in scena freddamente e con un alto grado di lucidità una madre figlicida, esiste però un'altra sindrome quella di Munchausen per procura dove le madri appaiono in tutto e per tutto amorevoli ma in realtà inducono in modo costante dei sintomi sul figlio per far sì che questo venga considerato malato.

Le motivazioni che spingono a certi comportamenti possono essere la vendetta nei confronti del marito, ma la vera causa profonda è da ricercare nel bisogno di essere al centro dell'attenzione grazie alla malattia del proprio figlio. Queste madri sono affettuose e molto sensibili ai bisogni del bambino, i medici le apprezzano perché riferiscono correttamente la sintomatologia, si preoccupano e soffrono per la sua malattia. In certi casi estremi giungono a far ammalare gravemente il proprio figlio somministrando farmici, persino a fargli bere sangue per far scoprire dal medico una emorragia interna, cerca in tutti i modi di mostrarlo malato finché il bambino non solo va all'ospedale ma addirittura, in casi estremi, perde la vita. Sono madri che trovano la gratificazione nella compassione degli altri, se il figlio sta male loro si sentono importanti esibendo una grande competenza in campo medico, mostrano sofferenza al capezzale del figlio e ciò impedisce una diagnosi precoce della loro patologia psichiatrica.

Uscendo dal rapporto madre bambino, questo genere di relazione si può instaurare tra due persone quando una ha il potere di plagiare l'altra e senza arrivare a casi gravi si convince di essere malata. Mi riferisco alla sindrome di Munchausen per procura che fa la sua comparsa anche tra l'anziano e la sua badante o il cagnolino la sua proprietaria.

I rapporti di sudditanza anche se non aggravati da sindromi psichiatriche sono presenti in numerose relazioni. Ricordo il caso di un giovane cresciuto con una madre ansiosa affetta da ciò che definisco Sindrome dell'eroe: lei sola poteva salvarlo da qualsiasi condizione sfavorevole, da un semplice raffreddore fino alla perdizione nella droga pesante. Eroe perché mostrava al mondo quanto fosse efficiente nel soccorre il suo “amato” figlio che in una simile circostanze divenne incapace di cavarsela da solo e si drogò senza alcun controllo. E lì lei non potendo ammettere la sconfitta, sentendosi tutt'altro che un eroe, giustificò il comportamento di Luca, nome di fantasia, con il fatto che oggi tutti i ragazzi si drogano. E così il ragazzo si perse tra alcol e gioco d'azzardo, finì in prigione e la mamma sempre a consolare e a giustificare il frutto del suo amore. Quando Luca riuscì a farsi aiutare, iniziò il suo cammino di risalita eliminando come primo passo il fumo di sigaretta, ecco la mamma eroe sempre pronta: non dimenticava mai di lasciare in bella mostra un nuovo ed invitante pacchetto di Malboro, proprio le preferite del figlio.

Maria Giovanna Farina (Febbraio 2022 - Tutti i diritti riservati©)


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