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Penso quindi sono, di conseguenza esisto: la nuova dimensione dell'io. Intervista a Fabrizio Lomonaco


Fabrizio Lomonaco docente di Storia della Filosofia Moderna e Storia della Storiografia Filosofica nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II” di cui è stato direttore di dipartimento. È ed stato nel comitato scientifico di riviste filosofiche e progetti di ricerca. È Socio nazionale dell’Accademia di Scienze Morali e Politiche della Società Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti in Napoli (classe di Scienze morali). Come esperto delle tematiche cartesiane lo abbiamo intervistato per comprendere meglio il pensiero di Cartesio nell'auspicio di renderlo utile all'uomo contemporaneo.


Rene Descartes, meglio conosciuto come Renato Cartesio, dà un nuovo corso alla filosofia occidentale con il dubbio metodico e la conseguente messa in discussione delle verità acquisite dagli insegnamenti scolastici. Professor Lomonaco, alla luce della sua competenza cosa possono dare a noi uomini e donne del 2011 le Meditazioni cartesiane?


Possono sicuramente richiamarci ad una dimensione costitutiva dell’io, cioè alla dimensione della soggettività come soggettività pensante e rappresentante della capacità che il soggetto possiede di pensarsi, nella certezza che attraversando il dubbio possa arrivare ad una certezza. È la certezza del cogitare che è anche capacità di rappresentare le cose. In Cartesio il cogito è un processo che sospende delle verità tradizionali ma non le nega, le sospende perché occorre arrivare ad una certezza di rapporto con il mondo esterno. Il problema di Cartesio è anche un problema che ritorna e si pone con la domanda: che rapporto c’è tra questo soggetto e il mondo esterno? È il tema centrale nelle Meditazioni che sanno essere anche metafisiche perché i due luoghi tematici sono l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima. Con Cartesio subiscono una profonda alterazione


Secondo lei in che cosa consiste il cambiamento, come ne esce Dio? A parte la definizione cartesiana di Dio come garante della ragione?

Il punto vero è che questi due grandi temi sono noti dai tempi dei Greci che ben conoscono i temi metafisici, pensiamo ad Aristotele e a Platone e poi l’aristotelismo e il platonismo della filosofia medioevale. Con Cartesio, il cambio di prospettiva rispetto all’aristotelismo medioevale è chiaramente netto perché si tratta di riorganizzare e di disciplinare i livelli di rappresentazione e organizzazione degli enti (in filosofia ente è tutto ciò che è o può essere n.d.r.), non tanto in base alle qualità che gli enti hanno in natura, ma rispetto ad una dimensione che è prevalentemente quantitativa. Si tratta di capire che con Cartesio, e non solo con Cartesio, si passa da un mondo delle qualità ad un mondo delle quantità, la novità è che stiamo parlando di un filosofo che fondamentalmente è un matematico

Ancora oggi la matematica può essere considerata alla base della filosofia?

Sì, credo che ci sia un livello fortemente teorico che apparenta le due scienze: non si può fare filosofia senza matematica e alle origini del moderno c’è la centralità dell’ente conoscibile per rapporti e per relazioni. La novità del tutto moderna è che dell’ente non possiamo conoscere le qualità, ma la relazione. È un fatto modernissimo questo essere messi in relazione, l’ente è ciò che entra in relazione. Per Cartesio la relazione matematica è la relazione fondante. In un passo molto noto lui dice “Posso dubitare se quello che vedo e conosco adesso sia effettivamente vero, se quello che vedo è simile a quello che conosco mentre dormo, ma è certo che nello stato di veglia e nello stato di sonno 2 più 3 fa 5”. Questa è la stabilità del dato matematico che non è semplicemente un dato, ma l’esito di una relazione che è quantitativa. Quindi c’è un nuovo metodo che ci introduce nella conoscenza degli oggetti esterni

Possiamo dire allora che la filosofia ha un approccio scientifico?

La filosofia deve confrontarsi con approcci scientifici per non essere qualcosa di indistinto o per non abbracciare tutto e niente

Ma secondo lei ci riesce?

Ci riesce, basti pensare alle grandi innovazioni novecentesche. Penso ad Einstein ed è impensabile che non ci sia stato un contributo della filosofia alla meccanica dei quanti, a questa svolta epocale. Pensando alla teoria della relatività di Einstein, la filosofia è all’altezza del proprio tempo quando sa interpretare queste alterazioni sintomatiche del sapere, dei saperi: quando la filosofia riesce ad essere nei saperi, nelle diverse organizzazioni della conoscenza. Se permanesse il significato di filosofia come la disciplina egemone o il sapere assoluto che porta a compimento tutti gli altri saperi, beh il contributo sarebbe minimo al risvolto epocale

Il dubbio metodico che relazione ha, se ce l’ha, con la sospensione del giudizio (epoché) degli scettici?

Sì, c’è una relazione. Cartesio ha un confronto costante con lo scetticismo. Assume, anche se la sua intenzione è superare, lo scetticismo

Lo prende come punto di partenza?

Sì, perché l’opzione scettica è un’opzione molto forte. La posizione scettica sarà utilizzata in seguito in posizioni anticartesiane: un autore come Vico si avvarrà delle correnti scettiche per dire che possono avere in qualche modo forza nell’affermare che il cogito può giungere non tanto ad una scienza, ma ad una coscienza dell’io

Il famoso dualismo cartesiano, la divisione fra anima e corpo, secondo alcuni sarebbe la causa delle difficoltà di considerare l’essere umano un tutto organico. Lei cosa pensa di questa obiezione fatta a Cartesio?

Credo che lei si riferisca anche alla fisiologia. Pensiamo a testi di grande successo come L’errore di Cartesio di Damasio. Il dualismo, secondo la loro visione, non ha giovato a ricostituire una unità del soggetto

Secondo lei non l’hanno male interpretato il dualismo?

Credo sia sempre pericoloso attribuire a un classico del pensiero alcune problematicità, in fondo Cartesio aveva visto da una prospettiva sua, che non è la nostra, e bisogna capire il punto di arrivo della riflessione: era inevitabile per Cartesio riconoscere l’ineludibile dualismo ed aveva tentato la soluzione fisiologica che era la ghiandola pineale (oggi nota come epifisi, ghiandola endocrina posta al centro del cervello ritenuta da Cartesio il punto di incontro tra anima e corpo. n.d.r.). Se lo si contestualizza si comprende perché era giunto a quell’approccio, il suo vero problema era di far coincidere l’estensione con la materia, il tentativo era di rompere con il mondo delle qualità e arrivare a questa identità. Questo tipo di identità doveva avere un carattere di principio, lui è un filosofo che cerca i principi, nuovi principi, che naturalmente ha bisogno della metafisica rinnovata. In un orizzonte diverso come quello attuale si è sgretolata questa esigenza dei principi e per questo vengono additate le sofferenze teoriche. Allora non erano vissute come sofferenze

No, perché lui ha fatto ciò che noi oggi riteniamo importante: verificare. Penso siano pretestuose le critiche mosse oggi a Cartesio

Sì, perché non sono poi storicamente molto fondate

Possiamo considerare il Discorso sul metodo un’autobiografia utile alla nostra evoluzione individuale?

Innanzitutto penso sia anche una prosa molto affascinante perché è una ricostruzione che anche un giovane può seguire, una ricostruzione di un percorso filosofico non è un divertissement, ma un testo di grande impegno che però adotta una prosa molto accessibile. Il problema della conoscenza come processo emerge in una forma nuova che è la forma dell’autobiografia, coinvolge il soggetto quasi a testimoniare che a questo moderno soggetto non si può dare conoscenza e approfondimento nella formula classica del trattato. Bisogna tener conto di una dimensione fortemente legata all’esperienza, certo è una forma di esperienza filosofica e quindi non banale

Per una persona che è interessata alla ricerca di sé è utile?

Sicuramente ad una persona che si pone il problema di quello che siamo nel mondo, qual è la relazione col mondo esterno e se tale realtà è stabilita una volta per tutte. Una persona educata alla riflessione filosofica può trovare nel Discorso sul metodo un orientamento ancor oggi significativo. I miei allievi universitari trovano agile e interessante questa dissertazione che impegna l’io del filosofo che ragiona sull’io

Secondo lei la filosofia può “curare”?

Noi come dipartimento siamo impegnati in corsi di counseling, queste esperienze che stanno maturando riportano la filosofia alla sua missione fondamentale che è quella di amare la sapienza e amare chi la sapienza la pratica. È un’apertura di grande fascino alle ragioni dell’io, bisogna curare il proprio rapporto con le cose e mai disperare la propria posizione nel mondo, quindi la filosofia deve essere anche un amore che sappia capire le ragioni di una pratica che può essere una pratica inter-individuale, pratica sociale, pratica politica. Da questo punto di vista, la filosofia è cura delle culture laddove le culture sono le forme espressive che gli uomini, i singoli e le nazioni, si danno in una dimensione oggi fortemente globalizzata. È caduto lo stato territoriale come punto di riferimento della cultura, oggi più che mai questa missione, questa cura, che è cura anche della civiltà, la filosofia se la deve imporre giorno per giorno coltivando tutti i saperi come può fare e come sa fare. Credo che questa dimensione del filosofare anche come cura impegni una logica che è più che mai anche logica della complessità, abitiamo un mondo la cui logica non è più la logica del particolare e se vuole essere logica del particolare deve saper essere logica della complessità. Ho partecipato recentemente ad un seminario sul diritto degli animali, tale diritto c’è perché ci deve essere un nuovo diritto che l’uomo riconosce alle cose e agli altri enti. Questa dimensione della pluralità deve arrivare anche alla dimensione di disciplina razionale, è pluralità di culture quindi è pluralità di azioni quindi è una logica della complessità, perciò bisogna riadattare le norme che regolano le nostre azioni per vivere in un mondo sempre meno affidato a formule di tolleranza e più affidato a formule di reciproco rispetto

Credo che la filosofia sia adatta a questo perché ha la capacità di andare oltre e può avere un orizzonte ampio e non ristretto alla singola disciplina di appartenenza

La filosofia può misurare quei deboli indizi, come direbbe Kant, che ci consentono di pensare ad un progresso verso il meglio. Perché vivere con questa idea sovrastante della catastrofe? Siamo uomini della crisi, ma in senso di trasformazione. La filosofia deve avere un orizzonte più esteso, deve essere cura ma anche di questi indizi che ci consentono di sperare

Deve essere solo cura o anche un prendersi cura?

È un prendersi cura e quindi una tensione, un divenire. La filosofia impegna la dimensione nostra dinamica e non più un io statico, ma un io che sta con altri soggetti per la costruzione del nuovo. La filosofia può e deve entrare in questa costruzione del nuovo.

Maria Giovanna Farina

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