L’ambiente e i cambiamenti climatici: il “peso” della legge
Il clima del nostro pianeta sta sicuramente cambiando, autunni con temperature quasi estive seguiti da violenti fenomeni atmosferici con conseguenti inondazioni e frane ne sono la dimostrazione più evidente sotto gli occhi di tutti. Di questo processo naturale, di cui non si riesce a prevedere con esattezza il decorso, ci si sta occupando a livello globale in modo più serio da una ventina di anni con l’intento di capire quanto l’influenza dell’uomo contribuisca a tale cambiamento e in che modo l’uomo possa mutare il proprio comportamento al fine di rallentare tale processo. Il cambiamento climatico a cui si sta assistendo è sostanzialmente un riscaldamento della temperatura del pianeta, dell’atmosfera e dei mari, con conseguente sconvolgimento degli equilibri dapprima esistenti come ad esempio la durata delle stagioni, l’intensità e la frequenza delle precipitazioni. Il tutto si traduce in un condizionamento per la vita vegetale, quindi anche per l’agricoltura, e animale, con il rischio di siccità e desertificazione, di eventi climatici violenti e inaspettati e di estinzione di specie animali. Studiosi di tutto il mondo concordano nell’identificare le cause principali con la deforestazione del pianeta per opera dell’uomo e con l’inquinamento causato dall’emissione di gas inquinanti, detti anche gas serra, provenienti da industrie, centrali termoelettriche, riscaldamenti di edifici, mezzi di trasporto a motore a scoppio etc. L’obiettivo che si pongono i governatori degli Stati maggiormente industrializzati è quindi quello di ridurre l’emissione di tali gas. La difficoltà maggiore in questa azione di riduzione dei gas serra è quella di agire in concerto, infatti sarebbe inutile lo sforzo di alcuni Stati se poi altri inquinassero liberamente senza limiti: il pianeta è uno solo e i gas girano nell’atmosfera senza badare ai confini delle varie Nazioni. L’agire all’unisono comporta tuttavia necessariamente un accordo, ossia la stipula di un trattato internazionale. Ogni Stato, infatti, è sovrano sul proprio territorio e non è possibile imporre un obbligo ad uno Stato che non accetta tale obbligo, a meno di utilizzo di iniziative ostili, sicuramente non auspicabili anche se l’ambiente è un bene di primaria importanza. Un accordo condiviso, tuttavia, è pressoché impossibile da trovare poiché molti Stati, soprattutto quelli in via di sviluppo ma non solo, ritengono che limitare l’utilizzo di combustibili fossili, per così ridurre l’emissione dei gas serra, sia un freno al loro progresso economico. Una volta trovato un accordo è poi compito dei singoli governi attuare una politica interna per rispettare tale accordo, ad esempio introducendo limiti di emissione alle industrie, incentivando la produzione di energia elettrica tramite l’utilizzo di fonti alternative al petrolio, obbligando l’installazione di speciali filtri all’impianto di scarico dei nuovi autoveicoli e attuando interventi di riforestazione sul territorio. Ad oggi l’accordo principale in tema di riduzione degli effetti negativi dei cambiamenti climatici è la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici firmata a New York nel 1992 e attuata dal Protocollo di Kyoto del 1997. Il primo obiettivo del Protocollo di Kyoto è ridurre nel periodo 2008-2012 l’emissione dei principali gas responsabili dell’effetto serra di un 5% rispetto ai valori del 1990. Tale valore non è identico per tutti gli Stati poiché i più industrializzati e maggiormente responsabili dell’inquinamento globale hanno obiettivi più alti, i meno industrializzati hanno obiettivi ridotti. In alcuni casi l’impegno è semplicemente quello di non aumentare le emissioni, in altri di non aumentarle oltre un certo limite, in altri casi, infine, come per i Paesi in via di sviluppo, per ora non sono stati fissati vincoli di alcun genere. Si noti che fra i Paesi senza vincoli figurano anche Cina e India che per il numero di abitanti e per la loro veloce industrializzazione costituiscono certamente una forte minaccia per salute del pianeta. L’impegno dell’Italia è una riduzione del 6,5% delle emissioni rispetto ai valori del 1990 e tale obiettivo è decisamente ambizioso, anche perché al momento della stipula del Protocollo di Kyoto le emissioni erano già notevolmente aumentate rispetto al 1990; ad oggi siamo ben lontani dal rispettare tale impegno. Oltre a questo quadro a macchia di leopardo, con sostanziali differenze di sforzo fra Stato e Stato, il raggiungimento degli obiettivi prefissati dal Protocollo di Kyoto si allontana molto anche in considerazione della difficoltà per molti Paesi, come l’Italia, di mantenere gli impegni presi nonostante lo sforzo e lo spirito collaborativo, e della mancata ratifica del Protocollo da parte di altri Stati che ritengono troppo oneroso raggiungere tali obiettivi. La Russia, responsabile del 17% dell’inquinamento globale, e l’ Australia hanno tardato di molto a ratificare tale accordo e gli Stati Uniti d’America, responsabili per il 36% dell’inquinamento globale, ad oggi non hanno ancora ratificato il Protocollo e quindi non stanno attuando alcuna misura per la riduzione dei gas serra. Per il futuro non rimane quindi che sperare in un maggiore impegno degli U.S.A. che, ad oggi, sembrano non prendere in considerazione il problema, e nell’introduzione di obblighi anche per Cina e India che ormai contribuiscono in modo sostanziale all’inquinamento del pianeta. Infine, non dimentichiamoci che il rispetto dell’ambiente deve esser sicuramente gestito a livello nazionale e internazionale, ma è anche una questione culturale. Ognuno di noi può dare il proprio contributo limitando i comportamenti più dannosi per l’ambiente come ad esempio l’uso voluttuario dei mezzi di trasporto privati e degli elettrodomestici a maggior consumo energetico. Soprattutto possiamo partecipare mantenendo la temperatura al di sotto di 20° negli ambienti riscaldati, preferendo l’acquisto di prodotti non inscatolati o imballati, riutilizzando più volte i sacchetti per la spesa o meglio ancora usando sporte riutilizzabili come facevano i nostri vecchi, evitando l’uso di articoli usa e getta, non superando i limiti di velocità. Come è facile constatare in ultima analisi è il consumismo esasperato e scriteriato la causa principale dell’inquinamento del Globo. Alessandro Bonfanti
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