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L'Antropologia filosofica: intervista a Irene Kajon



La doppia natura dell'uomo, il perdono, il giusto e l'ingiusto sono alcuni grandi temi di cui abbiamo parlato con Irene Kajon, docente di Antropologia filosofica alla Sapienza di Roma. Tra le altre è membro dell'Associazione italiana per lo Studio del Giudaismo, della European Association for Jewish Studies e della Hermann Cohen Gesellschaft.

Professoressa Kajon, di cosa si occupa l’Antropologia filosofica?

Ho l’abitudine di introdurre il mio corso di Antropologia filosofica alla Sapienza distinguendo due sensi, il primo è il senso stretto e riguarda l’Antropologia filosofica così come si è formata nei primi decenni del ‘900. Gli autori più importanti sono Max Scheler, Helmuth Plessner e Arnold Ghelen,  Plessner e Ghelen sono stati i continuatori di Scheler

È lo stesso Scheler autore di un testo sulla sim-patia?

Certo ed è stato anche autore di La posizione dell’uomo nel cosmo pubblicato nel 1928, l’Antropologia filosofica in senso stretto si richiama a questo testo. Per Scheler questa disciplina era necessaria perché disegnava le strutture fondamentali della natura umana e dell’esistenza e non tanto sui cambiamenti dovuti alla storia. Poi c’era il grande dialogo di Scheler con le scienze della natura e della cultura che per lui dovevano essere prese in considerazione dalla filosofia e così nasce l’Antropologia filosofica. Scheler come allievo di Husserl aveva molto presente la Fenomenologia e il suo interesse era al mondo della vita, delle emozioni: ciò rendeva l’Antropologia filosofica di Scheler particolarmente attenta. C’è però un altro senso della materia molto ampio, si potrebbe iniziare con Socrate e Platone e passare attraverso il Medioevo fino a Pico della Mirandola per giungere ai nostri tempi. Ci sono due autori particolarmente cari che abbiamo trattato ad Antropologia filosofica che sono Martin Buber autore de Il problema dell’uomo e Ernst Cassirer con il suo libro Saggio sull’uomo, questi due autori parlano anche di Antropologia filosofica ma in senso molto ampio: da Platone giungono fino al contemporaneo

Quindi partono dall’uomo non più come natura, ma cultura, anima

Sì, nei corsi parlo in senso stretto della materia ma desidero porre l’accento anche su una visione più ampia

Per ben comprender cosa sia la sua materia di insegnamento

Certo. Trovo sia interessante per gli studenti perché attrae la loro attenzione non solo sul ‘900 ma anche sui secoli passati

La doppia natura dell’uomo fisica e intellettuale, argomento da lei trattato nei corsi: come può l’essere umano conciliare questa doppia natura?

È un problema molto importante quello del rapporto tra il fisico e lo spirituale, ci sono autori che hanno visto la continuità tra l’essere sensibile dell’uomo e i suoi aspetti intellettuali o morali. Farei il nome di Nietzsche dove nella sua Genealogia della morale mostra come le idee morali abbiano le loro radici in elementi istintivi, quindi vi è un filone della filosofia che insiste particolarmente sulla riconduzione dell’elemento razionale nell’uomo alle radici fisiche. Un altro filosofo che si potrebbe ricordare è anche Heidegger, molto trattato e discusso anche all’università. Anche in lui c’è una critica del razionalismo nel senso che la ragione stessa dell’uomo potrebbe essere ricondotta a fratture di tipo sociale. Riguardo invece ad autori che vedono questi due aspetti, intellettuale e fisico, come distinti ma non in modo da condurre ad un dualismo, farei il nome di Platone che ho l’abitudine di leggere ai corsi. Nel suo dialogo Timeo Platone definiva l’uomo come pianta celeste, una pianta che ha le radici in cielo e la sua stessa natura eretta è collegata da Platone a questo elevarsi dell’uomo, al guardare verso l’alto. La linea Platonica nella storia della filosofia passa attraverso lo stoicismo e giunge poi in età ellenistica a Simone d’Alessandria che fonde le fonti ebraiche e platoniche, poi al Cristianesimo. Questa distinzione giunge fino all’età moderna. Non bisogna pensare agli autori di tendenza platonica come autori che vivono il dualismo nella natura umana alla maniera di Cartesio, basta pensare alla tematica dell’Eros di Platone, è l’Eros che si collega alla filosofia: il pensare, il rivolgersi all’idea del Bene non può essere disgiunto da un impulso erotico che nasce negli aspetti affettivi e passionali dell’uomo

Questi due aspetti dell’uomo quindi convivono e non si possono disgiungere?

No, non si possono disgiungere. Rimangono delle tensioni e dei contrasti

Come è logico che sia, tra due nature così diverse che però stanno insieme benissimo

L’uomo è costituito da due nature così diverse ma che trovano momenti di armonia. Vorrei ricordare la tematica del sentimento del sublime che ci mostra anche il nesso tra l’aspetto intellettuale e quello sentimentale, la sensibilità dell’uomo lo conduce verso il mondo intellettuale e morale. Non è solo la razionalità che porta all’intellegibile. Anche Spinoza ha mostrato il nesso esistente tra la vita affettiva e quella dell’intelletto

Un tema molto interessante che lei ha affrontato è il tema del giusto e dell’ingiusto, l’Antropologia filosofica come si pone di fronte a questo argomento?

È un tema importante e trattato dalla storia della filosofia

Mi piacerebbe sapere come è stato trattato in riferimento a ciò che può essere utile per l’uomo

Vorrei parlare di Kant. La nozione di giusto e ingiusto che si riferisce ai nostri giudizi morali, noi diciamo che una certa condotta è ingiusta oppure giusta. Farei una distinzione tra diritto e morale: un’azione può essere giusta sul piano della morale per certi aspetti e sul piano del diritto per certi atri aspetti

Può fare un esempio?

Sul piano del diritto, è giusta un’azione che si conforma ad una legge senza che si prenda in esame le ragioni per le quali la legge viene rispettata. Facciamo l’esempio della restituzione di un deposito: per il diritto è giusta l’azione di restituzione del deposito, ma sul piano morale bisogna prendere in esame anche le ragioni per le quali si è restituito il deposito. Non basta dire il deposito è stato restituito, ha valore morale se l’azione è stata fatta in modo disinteressato. Si può restituire il deposito anche per ragioni egoistiche, magari perché si ha paura di essere scoperti. Ha valore morale se si restituisce il deposito anche quando non si ha paura di essere scoperti. Quindi ha valore se non c’è una costrizione da parte di una qualsiasi autorità esterna, non c’è né Dio né un’autorità politica: è la ragione stessa dell’uomo che ci aiuta. Aggiungerei che c’è un’indipendenza dell’etica da una autorità esterna, dallo storico, dai costumi, ma c’è anche una dimensione metafisica dell’etica. Dove la ragione è intesa in senso forte, in quanto indipendente dagli eventi storici, la dimensione metafisica dell’etica potrebbe fornire la base per un incontro tra credenti e laici. In genere abbiamo l’abitudine di contrapporre le etiche religiose e quelle laiche, come se quelle laiche non avessero un loro rigore una loro forza, in realtà non è così

Creano sempre un’istanza forte che regola

Certamente

Di fronte alle ingiustizie subite, come affronta l’Antropologia filosofica il tema del perdono?

Il senso del perdono è ciò che dobbiamo prendere in considerazione. Parliamo di perdono a volte senza renderci conto di quanto sia paradossale l’idea del perdono, perdonare vuol dire né più né meno annullare il tempo, annullare dei fatti che ci sono accaduti. Se io perdono qualcuno è come se gli dicessi: “L’azione che tu hai commesso nei miei confronti io la considero non avvenuta. Ti perdono, non penso che questa azione che tu hai commesso darà luogo a delle conseguenze, come se tu non l’avessi mai fatta”. Questo è il perdono

È come un condono? Annulli il fatto commesso

Sì. Perdono ha una dimensione di richiamo a ciò che è oltre il tempo proprio perché c’è un annullamento del fatto accaduto. Alcuni autori parlano di perdono in riferimento ad una tradizione di trascendenza, per esempio Jasper ha pubblicato dopo la seconda guerra mondiale un libro La dimensione della colpa dove dice che c’è una dimensione dell’umano che implica una solidarietà tra gli uomini, in fondo siamo tutti noi colpevoli di vivere nel tempo, ognuno di noi garantisce la sua sopravvivenza a spese di un altro, il fatto di respirare...

Sottraiamo qualcosa agli altri continuamente

Abbiamo tutti bisogno di perdono, provochiamo delle ingiustizie nei confronti di altri anche se magari vivono lontano da noi

È vero, basti pensare al tema dell’acqua che noi sprechiamo

Abbiamo tutti la necessità di essere perdonati e ciò ci richiama ad una dimensione di trascendente, le religioni hanno parlato del perdono che Dio concede agli umani

Venendo ad una dimensione contingente, noi umani come la mettiamo col perdono?

Riguardo le relazioni umane, il perdono dovrebbe essere pensato in seno alla giustizia. È difficile pensare ad un perdono assoluto e incondizionato, perdonare e giudicare devono essere pensati insieme. Una leggenda ebraica che parla della creazione del mondo da parte di Dio dice che Dio prima di creare questo mondo creò altri mondi, ne creò uno contraddistinto da una misura di rigore assoluto di giustizia ma questo mondo si disintegrò, ne creò un altro caratterizzato da una misura di amore e di perdono assoluto ma anche questo si disintegrò. L’umano non potrebbe seguire questo amore e perdono assoluto, non potrebbe farlo anche perché dobbiamo aver presente una dimensione di carità ma anche una dimensione di ricordo delle vittime. Con la pena noi rendiamo giustizia alle vittime. Quindi giustizia e perdono dovrebbero avere nel mondo umano un certo legame

Ma la leggenda ebraica come è finita?

La leggenda finisce che avendo rinunciato Dio a questa perfezione assoluta ha creato il nostro mondo imperfetto che continua a sussistere. Grazie a due aspetti: di carità e di un atteggiamento di amore ma nello stesso tempo però anche di questa dimensione di giustizia che non può essere negata.

Maria Giovanna Farina


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