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Aspetti di libertà e dialettica in J.P.Sartre

breve saggio di Mario Guttagliere*



   Questa breve esposizione vuole caratterizzarsi per un esame che deriva dalla produzione successiva a “L’essere e il nulla”e che delucidi maggiormente il concetto di libertà alla luce dell’influenza che il marxismo ha esercitato sull’opera di Sartre. Nelle “Questioni di metodo” il filosofo parigino afferma: “Non appena esisterà per tutti un margine di libertà reale oltre la produzione della vita, il marxismo avrà fatto il suo tempo: una filosofia della libertà ne prenderà il posto. Ma non abbiamo alcuna maniera, alcuno strumento intellettuale, alcuna esperienza concreta che ci permetta di concepire questa libertà, né questa filosofia”[1]. Questa celebre chiusura del saggio in questione, evidenzia meglio di quanto sia possibile, l’itinerario intellettuale di un autore che cerca di affrancarsi dalle sue origini individualistiche e borghesi presenti particolarmente nell’opera del 1943 e che comunque a diverso titolo ritroviamo nell’opera successiva. In realtà l’intellettuale “sradicato” della metà dello scorso secolo, ha cercato una via d’uscita dal suo solipsismo accogliendo con entusiasmo quei fermenti di rinnovamento presenti nella Francia del secondo dopoguerra [2].  Il nostro contributo, quindi, cercherà di mettere in evidenza, soprattutto nell’ultima fase del pensiero sartriano, come il concetto di libertà scaturisca necessariamente da premesse teoriche presenti nella prima produzione del pensatore e come l’autodeterminazione dei singoli, si collochi solo in un ambito dialettico, presente cioè nel dipanarsi di avvenimenti apparentemente contingenti che invece metodologicamente e nella realtà, rappresentano l’orizzonte invalicabile degli individui. Dobbiamo tener conto, peraltro, che i testi presi in esame e in particolare la seconda parte della “Critica della ragione dialettica”, presentano delle ambiguità di fondo determinate dalla incompletezza delle medesime che non sempre consentono una interpretazione univoca.

    In una prima analisi  la dialettica si propone per Sartre come metodologia della ricerca storica, anzi come “l’unica” forma plausibile per poter comprendere in modo non alienante e perciò globale ciascun fatto.   Se questa è stata l’ambizione di ogni pensiero dialettico, compreso quello marxista, la peculiarità di tale analisi è la correlazione con un dato originario e irriducibile che è il soggetto : “Se la mia vita, approfondendosi diventa la Storia, deve scoprire se stessa in base al suo libero sviluppo come rigorosa necessità del processo storico, per ritrovarsi più profondamente ancora come libertà di questa necessità e infine come necessità della libertà” e in modo ancora più esplicito continua : “L’esperienza rivelerà questo gioco delle parti, in quanto il totalizzatore è sempre nello stesso tempo il totalizzato, fosse pure, come vedremo il Principe in persona” [3].  L’autore afferma qui chiaramente come “tutte” le individualità rientrino in un ambito dialettico, pur essendone, in modo diverso, la scaturigine. Sottolineiamo come l’esistenzialismo marxista, a differenza di quello spiritualistico di Kierkegaard, affermi la centralità del soggetto, ma anche la conoscibilità esclusiva di esso nell’ambito della dialettica storica. Inoltre riscontriamo, in questo caso, quella peculiarità imprescindibile della necessità che in ambito dialettico è la forza (il Principe è appunto colui o coloro che fanno uso del potere per se stesso superando globalmente il pratico-inerte cioè tutti quegli aspetti dell’uomo che si caratterizzano come strutture e elementi che si oppongono ad una determinata opera di finalizzazione).

  In realtà questa totalizzazione possiede i crismi della necessità, ma una necessità di carattere virtuale, cioè quest’ultima è insita nell’ambito del soggetto e della pluralità dei soggetti come l’unico modo per potersi riferire e relazionarsi al processo storico nel senso più ampio del termine, senza che esso appaia nel puro senso oggettivo del termine.  Questo processo conoscitivo vale per il presente e consente all’individuo di poter avere una prassi, un modo di agire, conseguentemente ogni tempo ha la sua storia, cioè uno sguardo retrospettivo che muta in relazione ai soggetti e alle condizioni. Sembra di  trovare in questo aspetto un rischio storicistico nella riflessione del pensatore francese. C’è stato qualcuno che ha definito questa prospettiva come un’illusione[4], la realtà oggettiva, infatti, convalida una prospettiva soggettiva che si proietta sulle cose, ossia la sequenza degli avvenimenti avviene in base ad una comprensione della realtà effettuale che è selezionata e identificata. Non ci sarebbe perciò una Storia, ma un complesso di storie scaturite da totalizzazioni differenti. In realtà a noi pare questa categoria sartriana ascrivibile a un processo che nella sua specificità di carattere oggettivo vuole essere comunque apodittica e non può non esserlo, almeno a livello esigenziale. Non ci potrebbe essere prassi, comportamento, se non nell’ambito di una totalizzazione di carattere dialettico. Ci sembra un vero a priori di tipo epistemologico, al di là di ogni riscontro puntuale con la realtà intesa analiticamente. Ciò non implica una totalità data di significato, verso il quale il filosofo è anzi abbastanza scettico, ma essa viene posta ad un livello esigenziale imprescindibile, cioè come quell’orizzonte di senso globale senza il quale le singole totalizzazioni non hanno significato.[5]

  La priorità ontologica del soggetto nello specifico di questa fase della produzione del filosofo, viene ancora una volta ribadita a testimonianza di una continuità con la prima produzione di Sartre,  che corrisponde a un superamento tanto della visione scientifica della realtà quanto di una visione naturale della dialettica propria della visione di Engels. Nel primo caso, infatti, la scienza “presuppone” che la razionalità possa adeguarsi totalmente a ciò che la realtà le presenta, in un’unità sempre più complessa che è il sistema costruito dalla scienza. Il ricercatore parte da un’ipotesi che può negarsi, in qualche modo, per  divenire legge e quindi anche fatto. Non a caso, mutuandolo da Bachelard, il filosofo accenna ad un “razionalismo” dove l’elemento volontaristico appare evidente[6]. Da qui la critica che viene rivolta al metodo scientifico di affidarsi alla contingenza del presentarsi del reale e, diremmo, della possibilità di rapportarsi ad esso e all’irrazionalità del concetto di ragione nel quale prevale più un presunto oggetto che non la razionalità  in sè medesima.  Coerentemente Sartre afferma che: “Proprio perciò il paragone tra il principio di razionalità scientifica e la dialettica non è assolutamente ammissibile”[7].

   Quanto alla critica del materialismo dialettico di Engels, che talvolta il filosofo parigino  qualifica, non senza ironia, come materialismo trascendentale , la critica è molto più serrata, sia per l’affinità con il proprio materialismo dialettico da cui doveva  diversificarsi in maniera netta, sia perché all’epoca rappresentava la dottrina ufficiale del marxismo sovietico. In realtà l’errore di Engels, che a tutta prima poteva sembrare un vantaggio, era di porre una sorta di “totalizzazione assoluta”, cioè una dialettica che prescindesse dal soggetto, ma che, riscontrata nelle stesse leggi della natura, corroborava e fondava la dialettica delle realtà umane. In questo senso si opererebbe una sorta d’induzione dalle singole leggi del cosmo per giungere ad una sorta di “metafisica naturale”, sintetizzate nelle famose tre leggi “della storia naturale e sociale”. Anche in questo caso il rischio è del fideismo e della gratuità di tale operazione (“perché tre e non dieci?”), ma in modo più interessante Sartre rileva altresì il carattere marginale di un tale procedimento. Esso potrebbe servire solo da un punto di vista euristico, cioè di sistema, nel momento in cui trovi un più ampio riscontro nell’ambito scientifico, mentre voler applicare tali leggi all’essere umano dopo averle surrettiziamente estrapolate e ipostatizzate dall’essere umano stesso rappresenterebbe la condanna dell’uomo a un ruolo da comparsa in un dramma già tutto scritto nell’ambito della storia naturale.

  In realtà la polemica è contro ogni forma di materialismo che pieghi la realtà ad un’”idea” di materia che escluda la centralità non del Soggetto, ma dei singoli individui (in questo senso il pensatore afferma che non esiste l’Uomo ma i singoli uomini, cioè i veri protagonisti della storia). In questo senso dialettica sartriana si vuole presentare in modo ambizioso come l’unione tra necessità e libertà nell’ambito storico, mentre quella trascendentale si determinava solo come necessaria per tutta la natura e quindi per l’essere umano.

  L’esempio famoso che l’autore propone[8], ormai nel secondo tomo della “Critica della ragione dialettica”, è quello dell’incontro di pugilato. Questo esempio viene deliberatamente assunto proprio perché apparentemente contingente e “frivolo”, tale che non scomodi almeno apparentemente nessuna concettualizzazione di alcun tipo. In realtà quello che può apparire un semplice momento d’intrattenimento, ha al suo interno dinamiche di carattere sociale tutt’altro che scontate. I due atleti sono inseriti in un contesto di lotta che li vede competere per un unico titolo, quindi sia la dialettica che la scarsità, ricompaiono come orizzonti ineludibili di un evento esteriormente insignificante. Il fatto singolo riassume la carriera dei protagonisti che è comprensibile soltanto all’interno di un contesto sociale (l’organizzazione sportiva, la figura del manager, la storia della disciplina).

  Tutto ciò riporta a quella totalizzazione cui sopra accennavamo, che è lo sfondo per poter comprendere “le cose”, sia in senso sincronico (il singolo evento) ma anche in senso storico, quello che ha “determinato” sequenzialmente l’avvenimento. Sartre nella seconda parte della “Critica”, come sappiamo ha sviluppato l’analisi del primo aspetto nell’ambito della società sovietica, mentre per ciò che riguarda l’analisi della realtà sincronica nelle realtà borghesi  abbiamo soltanto una prima stesura,  mentre  l’aspetto diacronico è inesistente.

 Certamente c’è una sorta di continuità nella concezione che l’autore presenta della libertà tra “L’essere e il nulla” e la “Critica della ragione dialettica”, difficile da cogliere per due ragioni, la prima è di natura teorica ed è legata ad una prospettiva esistenzialistica della prima opera, mentre nell’opera successiva prevale l’impianto dialettico mutuato dall’avvicinamento di Sartre al marxismo. Inoltre l’incompiutezza della “Critica” rende difficoltosa tanto la lettura che l’interpretazione del testo soprattutto nella seconda parte che non fu mai rivista dal filosofo. Tuttavia ad una lettura più attenta è possibile cogliere elementi che rendono giustizia di un pensiero che ha aspetti reconditi se non di organicità, a cui nemmeno l’autore aspirava, almeno di coerenza.

  La libertà, intesa come autodeterminazione, è uno degli elementi cardine de “L’essere e il nulla”, collegato ad un’ ontologia esistenzialistica che vede l’individuo totalmente altro rispetto a ciò che lo circonda. La coscienza nel suo rapporto con il mondo annulla la realtà facendo di essa un oggetto della conoscenza, qualcosa che può non essere, proprio a motivo di una relazione gnoseologica che relativizza l’essere nell’atto conoscitivo. In realtà  in esso l’oggetto perde i suoi connotati di necessità perché astratto in un contesto interiore che lo isola dall’ in-sé circostante e lo depotenzia in un ambito di neutralità esistentiva tipico dell’atto gnoseologico. Il duplice movimento annullatore si caratterizza in  tal senso primariamente in modo oggettivo, come astrazione di ciò che è conosciuto dall’ordine della sequenza causale e ponendo in essere un rapporto di neutralità  di tipo appunto esistentivo dell’oggetto medesimo (conoscendo un ente  la sua esistenza è solo una delle sue determinazioni   ed essa stessa entra nell’ordine dei possibili insieme a tutto ciò che è conoscibile). Secondariamente, l’annullamento si riscontra nel soggetto che conosce in quanto egli si stacca dall’in sé per poter dar luogo ad una possibilità di negazione di ciò che è presente gnoseologicamente [9].

  La libertà del singolo viene così fondata necessariamente nella sua gnoseologia ed ha un riflesso necessario nell’ambito ontologico: il singolo si presenta come “decompressione dell’essere”, come vuoto in un mondo opaco e compatto delle cose. Tale vuoto fonda perciò la possibilità della libertà: il soggetto sfugge, con il precedente atto nullificatore, alla necessità dell’in sé proprio in virtù del nesso esistente tra conoscenza e ordine dei possibili. Sappiamo perciò che per il Sartre di questo periodo, non si può non essere liberi, dando all’uomo il privilegio, ma anche il limite drammatico che tale aspetto gli conferisce. La produzione  successiva, anche letteraria, si pone originalmente in una sorta di continuità con l’opera del ’43, ricordiamo ad esempio “Il muro”, in cui l’autore delinea personaggi alle prese con le proprie scelte e le contraddizioni che ne scaturiscono.

   Il punto che segna la transizione e che collega “L’essere e il nulla” e la “Critica”, sono i “Quaderni per una morale” e “Verità e esistenza”, opere non concluse e riprese  più volte dall’autore, senza che riescano ad approdare ad una definitività di pensiero. La prima di esse addirittura ripudiata dallo stesso Sartre in quanto collegata ad un concetto, quello di morale, ritenuto da lui ormai desueto e comunque fuorviante. In essa il concetto di libertà spicca in modo evidente e fondamentale per poter seguire gli ulteriori sviluppi che il pensatore perseguirà successivamente.

 La “Critica” si pone tuttavia in una prospettiva diversa, ma essa non contraddice esplicitamente ciò che l’autore aveva delineato ne “L’essere e il nulla”, semmai ne costituisce un originale sviluppo. Ciò che pone in relazione la libertà così come la intende nel primo periodo con quello della fase successiva secondo noi, è la categoria di contingenza, intesa come radicale possibilità che un essere non sia e che ne rivela in qualche modo il suo aspetto accidentale.

  Sartre nel secondo tomo della “Critica” pone l’individuo all’interno di una totalizzazione nella quale trova posto necessariamente il processo di storicizzazione. Il soggetto non è essenziale nei confronti della realtà e quindi anche rispetto ai processi di totalizzazione che compie. Ciò risalta in modo plastico, che si può quindi portare come esempio, nella totalizzazione che compie l’individuo sovrano (da Sartre esplicitamente analizzata) e nei confronti del quale il singolo può risultare necessariamente superfluo. La libertà del soggetto può non coincidere con quella del Potere. Quest’ultimo, in relazione alla penuria che caratterizza la totalizzazione inglobante, è necessariamente destinato a lasciare ai margini gruppi o persone. Ciò si verifica in quanto le totalizzazioni spesso avvengono dall’”esterno”, cioè confliggono o possono confliggere con quella che è la totalizzazione del soggetto, come nell’ esempio citato del pugile. La libertà di ciascuno quindi non coincide con quella dei gruppi, pur facendone riferimento come quadro d’insieme. Essa si colloca in correlazione con quella “prassi deviata” che rappresenta forse uno degli aspetti più originali di questa opera sartriana. L’uomo si pone come obbiettivo quello della sua liberazione e affrancamento, ma non lo può fare se non nel contesto della lotta e all’interno di un processo dialettico di totalizzazioni che continuamente gli sfugge e che può avere esiti imprevedibili. La libertà, pur necessaria come meta dell’agire dei singoli, perciò, è sottomessa completamente alla dinamica della contingenza e la riconducono, inevitabilmente, allo scacco derivante dall’inessenzialità del singolo rispetto ad un tutto che gli è sostanzialmente estraneo.[10] L’uomo continua ad essere una passione inutile.



*Mario Guttagliere, già docente di filosofia, insegna storia e letteratura in un istituto superiore romano. Si è laureato in filosofia morale con il massimo dei voti all’Università Cattolica di Milano.

 


[1]J.P.Sartre, Questioni di metodo, in Critica della ragione dialettica, trad. it. Milano 1990  p.34.

[2] S. Moravia,  Introduzione a Sartre, Roma-Bari 1973,  p. 126.

[3] J.P.Sartre, Critica della ragione dialettica, op. cit., p.191

[4] G.M. Tortolone, Invito al pensiero di Sartre, Milano 1993, p.195.

[5] Ibidem, p.207.

[6] J.P. Sartre, Critica della ragione dialettica, op.cit., p.147.

[7] Ibidem, p.147.

[8] J.P.Sartre, Critica della ragione dialettica, t.II, trad. it. Milano 2006, p.41.

[9] J.P. Sartre, L’essere e il nulla, trad.it. Milano 1984, p.60.

[10] J.P.Sartre, L’intelligibilità della storia-Critica della Ragione Dialettica-TomoII, trad. it. Milano 2006, p.565 e segg.


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