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Il giovane favolosoè Elio Germano

 

 

Un grande Elio Germano, un attore che riesce, con la sua interpretazione a far amare Leopardi anche a chi non lo ha amato né ai tempi della scuola, né mai.

Il giovane favoloso”, da qualcuno definito il film dell’anno, se non ha vinto i maggiori premi sperati, ha vinto nel cuore del pubblico. Grande successo, ma anche grandi emozioni, fin dalle prime immagini. Germano è un protagonista intenso, tra i più grandi in Italia, nonostante la sua giovane età, e riesce ad entrare nel personaggio, fino a farci dimenticare di sé, fino a far nascere, nello spettatore, quell’amore e quella compassione, che nemmeno i versi del poeta fanno. Qualcuno, se non tutti, potranno pensare ad un film certamente bello, lo hanno detto la critica, la gente… ma po’ noioso. Non ci si aspetta certamente un film così vivace, brioso, quasi allegro, anzi in certi momenti forse divertente. Anche se la liricità del personaggio e le sue problematiche non si possono scordare nelle due ore e 15’ di pellicola. È un film che impegna lo spettatore, ma non lo annoia; non è un racconto scolastico (anche se farebbe bene agli studenti vederlo), ma è intenso oltre misura. Il film scorre veloce, tra l’ironia del giovane Giacomo e la sua sofferenza, tra il suo voler vivere, ma di più morire, perché infelice, perché storpio. Si esce dalla sala soddisfatti, pensierosi magari, ma contenti di aver assaporato qualcosa in più di quello imparato sui libri. La vita di Giacomo Leopardi, ha detto il regista Martone in una intervista, è stata sviscerata passando dai suoi versi, dalle sue liriche. Egli ci presenta così un giovane benestante, conte, che vive in una gabbia dorata, che gli sta stretta, che lo soffoca, lo limita e gli fa sognare l’Infinito*. In famiglia due fratelli che lo adorano e che lui ama profondamente, un padre che sembra burbero, ma è capace di gesti affettuosi commoventi (gli taglia la carne a tavola) ed una madre sgradevole, anaffettiva, rigida, che forse proprio per questo aiuta a segnare la vita del nostro poeta. Nonostante l’agiatezza e gli affetti, ugualmente il suo spirito ribelle lo porta a rifiuti, scappatelle, fughe, che cambiano la sua vita e lo avvicinano ad esperienze nuove: l’amore non ricambiato per una donna, Fanny, la vita con l’amico Ranieri che starà con lui vivrà fino alla fine, le molte conoscenze e gli stretti rapporti con i più noti intellettuali dell’epoca. Ma la sua fisicità prevale su tutto, il suo corpo non segue la mente, l’anima. Anzi il suo corpo, brutto, ammalato e deriso, è la causa del pessimismo che lo caratterizza. La malattia non gli dà tregua e morrà alla luce dei lapilli del Vesuvio, a Napoli, incapace ormai di camminare, ma anche di scrivere e di leggere, nonostante la giovane età. Elio Germano interpreta questa fisicità con una maestria superba; di scena in scena mostra l’aggravarsi delle condizioni fisiche e nel contempo offre occhi brillanti ed ancora curiosi. Arriva letteralmente a ripiegarsi su se stesso in un modo che sembra assolutamente naturale, camminando, a volte correndo, con la vitalità che il giovane ha, nonostante tutto, dentro di sé. Vitalità che molti apprezzano, perché è fantasiosa, originale, colta, arricchita dal suo eloquio forbito. Ma gli occhi dell’attore sanno anche esprimere quello che è sempre stato il male più grande del poeta, la profonda malinconia, la voglia di morte che dichiara ad ogni passo e non lo lascerà mai. Una contraddizione? Forse, ma in lui vivono entrambe, segno che il giovane di qualche secolo fa poco si distingue da una certa gioventù dei giorni nostri, che è spesso solitaria e ribelle. Ed anche la visione di Leopardi della vita intera ha l’attualità dentro: è impregnata delle difficoltà dei giovani, della famiglia, della natura ‘matrigna’, del bisogno di sognare… Il film è una autobiografia, ma dell’anima; perché ci sono pochi eventi esteriori nella vita del poeta da raccontare, mentre molte sono le sfaccettature dell’anima e le sue emozioni. Musiche appropriate, paesaggio incantevole e l’abile regia, fanno di “Il giovane favoloso” un film davvero molto molto godibile.                                                                 

 

L’infinito

Sempre caro mi fu quest'ermo colle,

E questa siepe, che da tanta parte

De l'ultimo orizzonte il guardo esclude.

Ma sedendo e mirando, interminato

Spazio di là da quella, e sovrumani

Silenzi, e profondissima quiete

Io nel pensier mi fingo, ove per poco

Il cor non si spaura. E come il vento

Odo stormir tra queste piante, io quello

Infinito silenzio a questa voce

Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,

E le morte stagioni, e la presente

E viva, e 'l suon di lei. Così tra questa

Infinità s'annega il pensier mio:

E 'l naufragar m'è dolce in questo mare.



Giuliana Pedroli  socia fondatrice dell'associazione culturale L'accento di Socrate

(Tutti i diritti riservati©)


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