VOTI O GIUDIZI? È ricominciata la scuola e tra non molto tornerà l’eterna diatriba: voti o no?
Premesso che i voti belli o brutti li abbiamo presi, e a volte dati, tutti, e non per questo siamo morti, una considerazione comunque mi viene da fare. Devo anche dire che pur essendo andata a scuola a lungo ed avendo un poco anche insegnato, non ho mai approfondito dentro di me questa questione, per cui il mio è solo un pensiero superficiale che vorrei qualcuno mi aiutasse ad approfondire. Da tempo c’è una vera e propria divisione tra chi rifiuta le votazioni e chi le considera strumento indispensabile; c’è chi dice che il voto non è educativo, anzi punitivo, una forma che facilita l’umiliazione; e chi invece lo trova indispensabile nella formazione di un giovane, perché insegna e stimola a migliorarsi. Certamente è un argomento molto importante, che può anche influire sul percorso scolastico dei nostri giovani, sulla loro crescita, ma allora perché non si decide una volta per tutti e invece si ricomincia a discuterne ogni anno? Perché la società cambia, i ragazzi cambiano, mi si dirà. Secondo me invece il concetto potrebbe essere assoluto ed una decisione presa potrebbe valere a lungo. Torniamo alla diatriba: c’è l’insegnante che considera il voto un metro per raggiungere e valutare un preciso livello di preparazione; questo sarà un insegnante che poi dovrà spiegare ai suoi ragazzi le motivazioni del voto stesso e quelli che sono i successivi passi che dovrà compiere per migliorare e superare gli ostacoli nella materia. Costoro dicono che se non hai una tabella di confronto dato dai voti, non ti è possibile fare una verifica sulla preparazione dell’alunno. Molti sono invece i docenti che rifiutano il voto secco e lo considerano una spinta alla competizione(che può anche essere una cosa sana!), ancor peggio, molto spesso frutto di frustrazione che porta alla diminuzione di autostima dell’alunno. Altri hanno riscontrato nelle loro classi un ulteriore atteggiamento errato che li ha portati all’eliminazione dei numeri: per lo studente basta controllare se il voto è sufficiente o meno, per dimenticarsi di andare a controllare, a rivedere lo svolgimento, a meditare sugli errori da non rifare, ecc. Ma in questo caso l’insegnante dov’è? Qui deve intervenire e se ha lavorato bene, deve spiegare che la bocciatura di una verifica o una interrogazione non è la bocciatura della vita, ma di una prova che la prossima volta potrà essere migliore. Io credo che su questo tema, come in ogni cosa della vita, non ci sia solo il bianco o il nero, ma per dirla in un modo che si usa ora, ci siano tante sfumature di grigio, il che sta a significare che tutto dipende da chi gestisce la cosa e si relaziona con i suoi allievi nel modo più personale possibile. Se l’insegnante, che dal latino insignare "in"+ "signare", cioè lasciare un segno, non deve solo passare il sapere, ma far conoscere lasciando impresso un metodo di approccio alla realtà che va ben oltre lo studio, bene, egli dovrà entrare nella mente, nella coscienza dei suoi discepoli anche col sentimento. Ecco perché secondo me un voto bello o brutto non è fine a se stesso; tutto dipenderà da chi dovrà sapere giustificare e spiegare le correzioni e le valutazioni negative o positive. Attualmente in diverse nazioni europee il voto è stato eliminato; in Francia invece è in atto un dibattito forte tra chi sostiene che altri dai voti debbano essere i criteri di valutazione, comunque il decennale dilemma è e rimane incompiuto. È interessante, a questo proposito, il libro di Alessandro Artini, preside, “Nessun brutto voto è per sempre. Lettera sull’autostima di un padre preside alla figlia adolescente”. Da condividere la constatazione dell’autore, perché, cito - la valutazione di una prova non dovrebbe mai coincidere con quella sulla persona –
Giuliana Pedroli socia fondatrice dell'associazione culturale L'accento di Socrate (Tutti i diritti riservati©)
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