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Le donne islamiche, colpevoli solo di essere belle


La prima volta che abbiamo letto di una vicenda simile, abbiamo pensato fosse un caso isolato, speciale. Non poteva essere che in una società sempre più globalizzata e moderna ci fossero ancora delle vergogne simili. E faccio riferimento alla vicenda di Hina, la giovane la ragazza pakistana uccisa nel 2006 dal padre perché voleva vivere all'occidentale. Aveva 22 anni, Hina Salem, abitava nel bresciano, e si era innamorata di un ragazzo della zona. Voleva vestire all'occidentale, voleva farsi la sua vita, ma la famiglia non era d'accordo, così il padre, lo zio, il cognato, hanno pensato bene di eliminarla tagliandole la gola e di seppellirla nel giardino di casa. Tutti d’accordo, tutta la parte maschile della famiglia, in nome di una intransigenza religiosa. Hina era colpevole, doveva sottostare alle regole dell’Islam o doveva morire. Ed infatti, questa ragazza fiera e decisa, non accettando di abbassare il capo di fronte a tali regole, viene uccisa. Oltre venti coltellate ovunque sul corpo e poi una rozza sepoltura nell’orto di casa. Tutto sommato un atteggiamento ingenuo, potremmo dire, ma a pensarci bene, loro, i maschi, non avevano il problema di nascondere il delitto, loro dovevano nascondere la vergogna. Nel processo penale è stata resa giustizia alla giovane, ma da quel lontano 2006, fatti analoghi si sono ripetuti, altre giovani hanno perso la vita in Italia ed all’estero. Nel mondo le spose bambine costrette ad accettare matrimoni combinati sono milioni, chi tra loro si ribella paga con la vita. Mi vien facile pensare, ma dove stanno le mamme e le altre donne in questi momenti? Loro verranno certamente da situazioni analoghe, non sono in grado di aiutare le proprie figlie? Bisogna dire che sì, loro spesso si ribellano ai mariti, stanno dalla parte delle ragazze e se molte situazioni si concludono positivamente lo si deve a loro, o comunque al ruolo che le donne islamiche aggregate in gruppi organizzati, stanno sempre più assumendo. E così è stato anche nella vicenda di Jamila, che fortunatamente, ha avuto un epilogo differente. Anche Jamila, pakistana diciannovenne, è stata ritenuta colpevole perché troppo bella; colpevole per gli sguardi dei compagni fuori dalla scuola; colpevole per voler continuare a studiare, mentre i fratelli l’avrebbero voluta chiusa in casa, in attesa del matrimonio combinato quando ancora era una bimba. Colpevole per non volerlo accettare questo accordo che avrebbe portato denaro alla famiglia, ma sofferenza a lei. Ma ha dovuto accettare l’allontanamento dalla scuola, per la paura di fare la fine di Hina, lei, nonostante la maggiore età. Un insegnante preoccupato e attento ha segnalato il caso ad un giornale, e qualcosa si è mosso: la sua storia ha coinvolto il console del suo paese ed insieme a lui e ad altre persone illuminate è tornata a scuola, dove a braccia aperte l’hanno accolta i suoi compagni. Lei non è una ribelle, vuole solo studiare, farsi una posizione, magari tornare nel suo paese, forse sposare un pakistano, ma un uomo che avrà conosciuto ed amato perché da lei stessa scelto. Ora la famiglia, anzi, in assenza del padre i fratelli maschi, sembrano aver accettato; ci domandiamo se le promesse di rispettare la giovane saranno mantenute, ci domandiamo se i suoi sogni di libertà e futuro si realizzeranno. Certo è che la sua storia, ora sotto i riflettori, non permetterà comportamenti oltre le regole e la speranza è che lei stessa si possa spendere per aiutare le giovani vittime come lei di altre famiglie integraliste. Il suo caso ha iniziato ad essere di esempio per le tante giovani donne islamiche che, magari picchiate, comunque vessate e maltrattate in famiglia, osano sperare in una vita migliore. Anche perché gruppi e associazioni si sono attivati e vigileranno perché storie simili non si debbano più verificare. Questo vuol dire anche che per ognuno di noi si fa sentire forte un sentimento di speranza perché tutti insieme si possa combattere ogni integralismo a favore di una società migliore, la nostra.

Giuliana Pedroli


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