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IL MASCHILE E IL FEMMINILE NELL’ARTE DEL PENSARE


Mi sono sempre chiesto quale sia il termine più adatto per determinare le varie modalità di pensiero prese nel loro insieme: mente o cervello, coscienza o inconscio, anima o animus, sogno o reverie (i termini francesi reve o reverie sono più congeniali nel descrivere una dialettica maschile/femminile). Secondo l’approccio scientifico è la mente a raccogliere tutte le istanze ideative ed emotive, mentre il cervello sarebbe il suo substrato anatomico, ma la complessità femminile insita nel termine “mente” risulta ridotta se materializzata solo nell’organo maschile corrispondente. In realtà è dimostrabile che la testa da sola non funziona: se il cervello viene isolato dal resto del corpo si interrompe non solo l’estensione craniale del sistema cardiocircolatorio, ma anche il network biologico costituito da linfochine, ormoni e neurotrasmettitori, in cui l’intestino è così importante da venir chiamato “secondo cervello” da Gershon. In alcune filosofie la coscienza (intesa non in termini etici, ma come condizione di vigilanza) è stata ritenuta la funzione principale del sistema nervoso, in quanto condizione essenziale per entrare in rapporto con la realtà esterna, mentre sarete sorpresi di scoprire che per Aristotele e Platone, così anche per Plotino, essa era considerata un ipofenomeno, cioè un gradino sotto il pensiero superiore più vicino a Dio (storia della memoria e della metafisica, H. Bergson). Nel secolo scorso poi la coscienza ha finito per perdere nettamente il trono a favore della sua intrigante controparte maschile, l’inconscio, analizzato fin nei minimi e remoti meandri dalla psicanalisi. È noto a tutti come possa essere modificato lo stato di coscienza pur continuando a funzionare le capacità mentali: alcuni esempi di questa possibilità sono il sogno e l’induzione ipnotica. Ma se in entrambi questi esempi si ha come l’impressione che gli eventi si succedano senza un ordine ben preciso e senza il controllo di sé stessi (anche se non è proprio così), vi sono momenti in cui la coscienza appare come sganciata dalle necessità della ragione e può invece librarsi come una nuvola attraverso il creato: è l’atto dell’immaginare con intenzionalità poetica. Come diceva G. Bachelard “l’immagine poetica illumina la coscienza con una luce talmente potente da rendere vana la ricerca degli antecedenti inconsci”. Nell’atto di empatia con l’immagine poetica la nostra anima diviene l’archetipo stesso della vita, capace di metterci in comunicazione con l’universo e renderci partecipi dell’atto creativo dell’autore, in una dimensione senza spazio, né tempo. Qui è l’essenza femminile della vita a riemergere clamorosamente, sdoganandosi dalle irruenze e dagli impulsi finalizzati ad un obiettivo, caratteristici dell’animus, secondo una visione cara a C.G. Jung. Nella dialettica maschile/femminile non dobbiamo ricercare un vincitore, non avrebbe senso, quanto piuttosto constatare ed accettare la diversità degli aspetti che si aprono davanti ai nostri occhi ogniqualvolta consideriamo la complessità della psicofisiologia. Non a caso ho utilizzato l’espressione “davanti ai nostri occhi” perché nella società in cui viviamo siamo sommersi dalla mirabolante quantità delle percezioni visive. Non passa istante della nostra giornata senza che le immagini prevalgano e talora prevarichino il nostro pensiero. Sarebbe forse ora di riguadagnare il proprio sentire, utilizzando tutti i sensi a nostra disposizione, ma in particolare sarebbe utile ricominciare a gestire ciascuno di noi la propria coscienza immaginante, senza permettere alla pubblicità e alla televisione di omogenizzare in maniera industriale il pensiero collettivo. Potremmo allora riscoprire la reverie di Bachelard, che non è una derivazione del sogno (reve), bensì un’attiva immaginazione capace di porci in un attimo al centro del mondo, una sorta di slancio dell’idealizzazione che permette di elaborare meglio il mondo in cui viviamo. La reverie riporta il cogito cartesiano al centro del proprio Io. Per una sorta di teatro dell’assurdo è la reverie a farci tornare indietro nell’essenza della natura femminile aiutandoci a superare i sogni notturni, dove viviamo in soggettiva le situazioni stralunate e coinvolgenti al tempo stesso, forse per il motivo che il regista non si è consultato con il protagonista prima di addormentarci.


Luigi Giannachi socio fondatore dell'associazione culturale L'accento di Socrate


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