UN METODO, il significato della parola
Cosa vi interessa di più? O meglio cosa ritenete indispensabile per la conoscenza, sia essa individuale o collettiva? Il passato o il futuro? Non c’è dubbio che a livello individuale la consapevolezza del vivere istante per istante sia il miglior modo di adattarsi all’ambiente circostante ed alle proprie capacità: l’hic et nunc sembrerebbe negare la necessità di una ragionevole risposta a questa domanda. Del resto per quanto riguarda il futuro esso semplicemente non è dato di essere conosciuto, mentre per quanto riguarda il passato è un rischio evocarlo, carico com’è di emozioni negative e positive, affastellate fra loro senza un ordine. Quando però non ci consideriamo soli nel nostro egoistico recinto, ma ci allarghiamo ad una conoscenza estesa a tutti gli altri, che non siamo noi ma che sono con le nostre stesse potenzialità di comprensione, si rende necessario avere un viatico comune su cui basare le affermazioni, su cui poterle criticarle, su cui fondare la conoscenza futura senza dimenticare quanto già conosciuto nel passato. Non c’è futuro senza passato. E’ nel cercare un confronto con gli altri, nel tentativo di fare qualcosa per gli altri o di far evolvere la società in cui viviamo che si rende necessario una serie di regole e di princìpi, un insieme di procedure al fine di raggiungere uno scopo, id est l’esemplificazione di un metodo. In questo senso anche gli articoli delle Carte Costituzionali sono dei metodi per assicurare la giustizia e l’uguaglianza fra le persone che convivono in una nazione. Un metodo non si pone il problema dell’origine degli individui che dovranno applicare i suoi regolamenti, non si chiede da dove provengano gli elementi che costituiranno il suo corpo di applicazione, esso guarda piuttosto al futuro in maniera prospettica, nella possibilità di realizzazione dei suoi obiettivi. Per chi ha una fede il metodo è il metro di Dio, la misura con cui Dio giudicherà il suo operato. Per chi crede nella scienza il metodo è un modello di applicazione che consente di riprodurre un fenomeno fisico attraverso l’esperimento, ponendo grandezze fisiche in relazione fra loro e verificando la precisione della legge fisica con la previsione di nuovi fenomeni. Mi sono spesso chiesto l’origine della parola “metodo”, una parola chiaramente di origine greca, letteralmente traducibile come oltre (meta) la via (odos): la via è la strada da percorrere proprio grazie al metodo prescelto, non possiamo certo aspettarci un’autostrada, ma se le premesse sono giuste in base a quello che vogliamo aspettarci un risultato comunque è assicurato, “oltre la via”. E’ la prima parte di questa parola ad attirare di più la mia attenzione, perché è una parola che implica un salto ulteriore di qualità piuttosto che la mera esecuzione di alcune procedure, come se non bastasse eseguire pedissequamente la successione di eventi che il metodo prescrive per raggiungere un risultato più che esaltante, serve quel quid in più, non sempre facile da descrivere. Il suffisso “meta” non è rimasto soltanto in questa parola, ma viene utilizzato in alcune parole composte di utilizzo più recente che permettono di avvicinarci meglio al significato da dare qualora lo dovessimo incontrare per caso in alcune terminologie. Fu Gregory Bateson ad introdurre il termine di meta-comunicazione, intendendo con questo “l’insieme di tutti gli indici e proposizioni scambiati in relazione alla (a) codifica e alla (b) relazione tra i comunicatori”, insistendo sull’aspetto pragmatico della comunicazione: non a caso le frasi tipiche dei personaggi al cinema puntualizzano la relazione fra i personaggi senza specificare, sta allo spettatore capire lo specifico sottotesto. Per non parlare della meta-fora, la regina delle figure retoriche, una similitudine fra due elementi messi a confronto, che finiscono per diventare uno lo specchio dell’altro. Dalla psicologia cognitiva applicata all’educazione deriva la meta-cognizione, intesa come le variabili in grado di condizionare le modalità con le quali un individuo apprende, una sorta di completamento di quello che il termine metodo significava alle sue origini da un certo punto di vista. Con questo termine si intendono sia la consapevolezza personale del proprio bagaglio mentale (comprendendo i processi cognitivi, ma anche le impressioni, le intuizioni, le nozioni, i sentimenti) sia l’attività di controllo possibile sui vari processi al fine di avere un rendimento maggiore nell’apprendimento (autoregolazione cognitiva). Come medico non potevo non considerare la meta-analisi, una serie di metodi statistico-matematici svolta sul raggruppamento di singoli studi clinici, che permetta di trarre conclusioni più significative del singolo studio, considerando però attentamente l’eterogeneità dei campioni scelti nei singoli studi. Il termine “meta-“ viene inserito nei modelli di indagine concettuale che potenzialmente consentono di andare al di là delle tecniche utilizzate, al di là dei campioni considerati, al di là dei semplici messaggi codificati, quando c’è una qualche associazione di idee che dia più informazioni del codice pre-formato, una qualche interazione fra elementi apparentemente lontani del comune catalogare. In questo senso possiamo riferirci alla descrizione che Freud dà della meta-psicologia, termine da lui coniato per similitudine dall’origine etimologica della metafisica: “quando si riesce a descrivere un processo psichico nelle sue relazioni dinamiche, topiche ed economiche”, comprendendo in questo termine tutto quello che va al di là della coscienza. Personalmente mi piacerebbe inserire nel significato recondito di metodo due implicazioni che nella storia della filosofia a mia conoscenza non sono state prese in considerazione, ma che secondo me sono implicite nella possibilità di raggiungere uno scopo, risultato altrimenti molto difficile da ottenere:
Luigi Giannachi socio fondatore dell'associazione culturale L'accento di Socrate
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