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DUE CASE

 



Due case. Due grandi case ampie.

Una è situata nella campagna toscana, dove scrittori e cantanti inglesi sembrano aver trovato la loro seconda dimora. L’altra è proprio di fronte alle onde del mare, in una località decantata come la perla di quel mare.

Dal punto di vista architettonico la due case sono equiparabili, non hanno alcun vantaggio una rispetto all’altra, in due bellissime zone turistiche, ambedue spaziose e vivibili.

No, tranquilli, non sto mettendo su un’agenzia per annunci di compravendita “case per le vacanze”, sto per accingermi ad un’allegoria del corpo umano.

Per chi non l’avesse mai notato gli uomini costruiscono ed abitano  case a somiglianza di sé, con i loro pregi e i loro difetti. Se la corazza in cui alberga il nostro corpo potesse erigere una fortezza in cui proteggere i punti deboli ed esibire le virtù quella sarebbe la nostra casa. L’uomo ricostituisce intorno a sé costruzioni simili alla struttura connettivale che assicura e stabilisce le aree funzionali che lo compongono.

C’è l’area di trasformazione del cibo (cucina), l’area di inter-relazione fra le persone (sala), l’area di eliminazione delle scorie (bagno) l’area per ricaricare le batterie o predisporre la riproduzione (camera da letto), l’area addetta alla mobilità (garage) e l’area predisposta per accumulare gli oggetti dismessi. Quest’ultima nelle case del 2000 non basterebbe mai, sorta di accumulo di feticci della memoria statica.

Se ancora non vi ho convinti di questa analogia fra struttura edificante e struttura edificata provate a guardare casa vostra con gli occhi di un estraneo e chiedervi cosa gli manchi. La risposta potrebbe non essere piacevole, perché potrebbe rivelarvi quel qualcosa che manca al vostro carattere.

La casa vive grazie a voi, non può vivere senza di voi, senza la vostra presenza rimarrebbe una costruzione inanimata senza senso.

Ma tornando alle due case descritte all’inizio c’è qualcosa di fondamentale che ne rende una vivibile e l’altra no. Non è sicuramente qualcosa nelle pareti e neanche nelle strutture portanti, apparentemente non è qualcosa di visibile che ci fa odiare o amare una casa. Con riferimento all’analogia enunciata prima allora vorrei proporvi questa domanda: cos’è che ci fa convivere in armonia con il nostro corpo con passo convinto e deciso verso l’avvenire?   

Personalmente mi sto facendo da un po’ questa domanda: cos’è che rende potenzialmente vivibile una costruzione inanimata?

Certo – potreste dirmi voi – se poi si viene a scoprire che in una delle due case ci si può lavare, ci si può riposare e ci si può guardare in faccia anche quando fuori è calato il tramonto, mentre nell’altra bisogna coprirsi di tutto punto per il freddo e bisogna ridurre al minimo qualsiasi esigenza per mancanza di acqua e luce la risposta diventa banale e scontata.

Possibile che siano così importanti per vivere dentro una casa alcuni ingredienti senza i quali non possiamo neanche considerarla una vera e propria abitazione. Eppure alcuni di questi ingredienti sono impalpabili: luce e caldo. Altri risultano fondamentali, ma ce ne accorgiamo soltanto quando mancano: acqua.

Cosa dire della miriade di apparecchi elettrodomestici che riempiono le nostre case, tanto da non riuscire a farne a meno?

La risposta sembra semplice e banale, ma non è facile dirla in poche parole.

Viviamo nel troppo eppure ci manca quel poco che non riusciamo a definire. Forse dovremmo iniziare ad occuparci di più del nostro corpo e della nostra parte impalpabile (c’è chi la chiama anima, chi la chiama intelligenza, chi psiche o spirito, chi preferisce denominarla sfera emotiva), nutrendo entrambi prima di cominciare ad avvertire la mancanza di “quel poco che non riusciamo a definire”.

Luigi Giannachi, sceneggiatore e medico esperto in terapia del dolore (neurochirurgia ed agopuntura)

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