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SOGNO O SON DESTO (2° episodio): Ippocrate incontra Socrate



Era lì, seduto nella sua prigione, ad ascoltare e ad accarezzare i pensieri dell’anima, riuscendo così a non considerare almeno in quel momento le paure del mondo corporeo, maestro di meditazione senza pari, lui che è da considerarsi il vero padre della filosofia. In gioventù aveva difeso con le armi la democrazia ateniese, in vecchiaia aveva rifiutato di obbedire all’ordine di arrestare chi era stato ingiustamente condannato, in punto di morte accettava di bere la cicuta, pur senza colpa, se non quella di aprire le menti ad una critica costruttiva. Ero andato a trovarlo alcuni giorni prima della sua morte, da solo. Non si ricorderà più di me, pensai, avevo seguito alcune sue lezioni quando ero giovane, invece mi riconobbe subito:


  • Tu mi insegni, caro Ippocrate, che dobbiamo credere ai sogni

  • Non v’è alcun dubbio, Socrate, sai come la penso in proposito: di giorno l’anima è troppo impegnata a distribuirsi fra le varie funzioni, ascoltare vedere toccare camminare, mentre di notte riunisce in sé svolgendoli attivamente tutti i servizi del corpo, che in quel momento sta riposando. Grande intenditore è colui che sa riconoscere l’importanza dei sogni

  • Durante il sonno però il corpo non fa alcun movimento e rimane al buio, questo vuol dire che l’anima non è più in comunicazione con il mondo esterno

  • Presumo di sì, se non altro quella parte dell’anima che di giorno lavora con i sensi

  • Quindi tu presupponi che una parte dell’anima, quella legata ai sensi, smetta di comunicare con l’esterno, mentre l’altra parte potrebbe essere ancora attiva non solo durante il sonno, ma anche quando il corpo muore

  • Tu mi stai chiedendo qualcosa a cui non so rispondere, maestro, com’è tuo solito hai portato il ragionamento fino alle sue estreme conseguenze. Non so cosa succeda quando la morte intervenga a prendere i nostri corpi. Non so neppure come tu riesca a mantenere la calma anche qui, perfino in questo momento

  • Mio buon Ippocrate, per l’anima che si nutre seguendo la ragione e contemplando il vero e il divino non c’è pericolo che venga soffiata via dai venti e si dilegui nel nulla, pur dopo essere stata strappata via dal corpo. La morte si prenderà il mio corpo, non la mia anima.

  • Ne sono convinto, la tua anima continuerà a rivivere nelle persone che ti hanno conosciuto e che sono state da te animate ad usare la ragione e la critica, ho parlato con Critone e con Platone qualche tempo fa, ti adorano, già tremano all’idea di non poter più coltivare la tua amicizia. Però dimmi: se le leggi della tua città ti incolpano in maniera ingiusta perché devi assoggettarti ad un’ingiusta decisione. Io sto scappando da questa città, Critone stesso ti aiuterebbe a scappare da qua, perché ci vuoi privare della tua virtù?

  • Lo hai detto tu stesso con le parole che hai usato, se ho coltivato bene le mie amicizie i fiori sbocceranno, il mio esempio a qualcosa sarà servito

  • Perché non hai mai pensato di lasciare qualcosa di scritto a cui riferirsi, qualcosa da prendere come tuo esempio senza timore di smentita?

  • Lo scritto è come il bronzo, dà sempre lo stesso suono, non risponde alle mille e più domande che ciascuno potrebbe farti

  • Ho capito Socrate, scusami di queste ripetute ed inutili domande su cose che avresti o non avresti potuto fare, mi avevi mandato a chiamare per qualcosa relativo ai sogni, se ho capito bene, io poi ti ho interrotto mancandoti di rispetto, ma talora a noi medici capita di doversi calare nei panni dell’altro, dovresti saperlo

  • Travalicare i limiti imposti dalla natura alla vostra arte, questo è il rischio che correte, ma tu sei indenne da questo, quello che hai appena detto ne è riprova. Da mia madre ho imparato a rispettare la natura e fare in modo che il pensiero e la verità vengano alla luce nel modo più naturale possibile senza trucchi da sofisti

  • In questo ti riconosco quando venivo ad ascoltarti da studente qua in Atene, contravvenendo al mio primo maestro di filosofia, Protagora

  • Lo so. Ascolta Ippocrate, ti ho mandato a chiamare perché continuo a fare dei sogni a cui non so bene quale significato attribuire. Ci sono diversi modi in cui si manifesta il sogno, ma c’è sempre un’esortazione di questo tipo “Socrate, componi e pratica l’arte delle Muse”. Io ho sempre pensato che il miglior modo di accogliere questo invito fosse la filosofia, che è l’espressione più alta, ma durante la prigionia mi è venuto qualche dubbio. Forse non ho capito appieno il consiglio che mi è stato dato in sogno, mi son detto. Così ho pensato di scrivere una novella che avrebbe fatto invidia ad Esopo.

Gli Dei nel fare l’uomo avevano cucito insieme il piacere e il dolore, così come nel disegnare la testa non avevano potuto fare a meno dei capelli e nel montare il cuore avevano dovuto accoppiare i polmoni. L’uomo però si lamentava di questa cosa, perché ogniqualvolta provava un piacere inevitabilmente si verificava un dolore, quindi continuava a chiedere agli dei di fare qualcosa. Allora gli dei slegarono uno dall’altro pensando di fare una cosa giusta. L’uomo iniziò a perseguire il piacere in tutti i modi possibili senza più darsi alcun freno, esagerando a tal punto che divenne pazzo. Gli Dei si arrabbiarono così tanto da prendere una severa decisione: da quel momento in poi per l’uomo ogni emozione sarebbe stata degna solo se guidata dalla ragione, mentre la ragione avrebbe dovuto sempre fare i conti con un filo di follia.”

Ero lì ad ascoltare che pendevo dalle sue labbra.

  • E’ la novella più bella che abbia mai sentito, se non per il fatto che non vi compare alcun animale o schiavo parlante com’è tipico delle favole di Esopo

  • L’unico schiavo è il suo autore, finito in catene per aver cercato di persuadere ciascuno a pensare con la propria testa, ma ben presto si apriranno per la mia anima i cancelli della libertà. Anzi, mi devo ricordare di sacrificare un gallo ad Asclepio

  • Al mio avo? Per quale motivo?

  • Devo ringraziarlo per un altro sogno non da meno dell’altro: questo mi ha guarito dal delirio di voler fuggire dal carcere e mi ha permesso di trascorrere ancora qualche giornata con i miei amici. Nel sogno mi veniva incontro una donna bella e nobile, vestita di bianco, con queste parole: “O Socrate, il terzo giorno giungerai a Ftia ricca di zolle”

  • Le riconosco. Sono le parole di Achille riferite al ritorno della sua anima nel luogo natìo.

  • Il messaggio di Asclepio attraverso questo sogno mi sembra chiaro, non trovi?

  • Se quello era il consiglio del mio celebre avo non sarò io ad aggiungere di più. Per un attimo ho pensato che sacrificassi un gallo per allontanare gli influssi maligni dopo la tua morte

  • No, mio caro, di quello si preoccuperanno i più giovani. Vai adesso, dì a Platone di non dimenticarsi di pagare il debito, per me e per lui


Luigi Giannachi - sceneggiatore e medico esperto in terapia del dolore (neurochirurgia ed agopuntura)


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