CHI SIAMO

ARCHIVIO

REDAZIONE

CONTATTI/COLLABORA



Cinema, vino e filosofia


Massimo Donà è professore ordinario di Filosofia Teoretica all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Leader di un proprio gruppo, Donà è musicista jazz ed ha inciso alcuni CD come trombettista.

Filosofia è per me visione multi-prospettica del reale e delle esperienze, lei si è occupato di tanti argomenti. Nel libro Abitare la soglia, ed. Mimesis fa un’interessante riflessione sul cinema: che cosa rappresenta il cinema dal suo punto di vista filosofico? Che tipo di esperienza è?

È un'esperienza fondamentale, attraverso la quale noi riusciamo a diventare un po' divini. Riusciamo a vivere nelle emozioni di più personaggi, entriamo e soffriamo davvero ma ancora più che a teatro perché al cinema la nostra immobilità corporea ci proietta nella vita dei protagonisti del film, però sappiamo di essere al sicuro. È un po' quello che diceva Aristotele

Ha un effetto catartico

La cosa straordinaria è che non comporta una diminuzione di sentimenti ed emozioni che invece si liberano in un modo più potente rispetto alla vita quotidiana dove abbiamo pudori e ci tratteniamo per le regole sociali

Lì siamo liberi perché non lo stiamo facendo noi, ma qualcun altro per noi

Certo, diventiamo un po' divini. La cosa bella è che nel libro dico che il prototipo, l'archetipo, del cinema non è l'esempio della caverna platonica dove sono tutti legati e vedono le ombre come al cinema, ma Ulisse quando affronta le sirene. Dove lui vuole e può godere dell'effetto estatico del loro canto, ma è legato e quindi non va dove ci sono un mucchio di scheletri, sospende l'atteggiamento pratico che è quello di andare verso l'oggetto per afferrarlo e possederlo. La dimensione divina che il cinema ci fa vivere non è al di là della vita quotidiana, un po' come l'Ulisse di Dante che facendo il salto al di là delle Colonne d'Ercole naufraga: non aveva capito che l'infinito non è al di là, se lo fosse sarebbe un altro finito. L'infinito va trovato nella finitezza, l'errore fondamentale che il cinema ci insegna a non fare è quello di non cercare l'infinito oltre il finito, ma stando sulla soglia della finitezza stessa. Dal punto di vista filosofico è un errore madornale voler superare il limite per trovare l'infinito, il cinema ce lo fa provare

Un altro argomento interessante affrontato da lei è il vino. Come sappiamo compare nella storia dalla notte dei tempi e fa il suo ingresso nei dialoghi di Platone per diventare un compagno di conversazione. Quale suggerimento può darci dal punto di vista filosofico per invitare ad un ritorno all’uso equilibrato? Il vino rappresenta i contrasti più accesi, da bevanda della riflessione a veleno che provoca dipendenza: come si può ri-trovare un rapporto equilibrato?

Il vino è la possibilità e ci educa a sperimentare la ricerca della giusta misura. Il vino ci invita a chiederci chi siamo, la domanda filosofica da porsi per comprendere i nostri confini: per lei il primo bicchiere potrebbe essere troppo per me il decimo. È una ricerca che va fatta con molta attenzione e concentrazione, non ci si deve lasciare andare in modo dissennato, il vino dà la possibilità di provare davvero la ricerca del nostro limite che non è facile. Nulla è più difficile che sapere chi siamo. È una ricerca che ci mettei a rischio, ma il vino, a differenza della droga, ha un effetto davvero graduale, molto lento e per questo ti consente di misurarti

Di capire che e quando stai per raggiungere il limite

Esatto! Ti consente un esercizio di comprensione progressivo anche di fermarsi in tempo, capire che si è arrivati verso il limite. Questo tempo rallentato che ci consente il vino è tra l'altro un tempo che ci libera da tutte le inibizioni, i complessi, le paure. Infatti quando siamo con gli amici si parla più liberamente se si beve un bicchiere di vino

Come si può far capire ai giovani che il vino può educarci?

Perché a differenza di altre sostanze il vino va degustato seguendo anche dei corsi con persone che lo conoscono. Questo rende il vino diverso da qualsiasi cosa che si beve per avere un'ebbrezza

Quindi il vino non è la strada per l'evasione ma per la riflessione e la comprensione

La sua caratteristica di poterlo degustare lentamente si lega anche alla possibilità di imparare a conoscere le infinite possibilità del gusto, tutta l'Estetica occidentale ha rimosso come uno degli ultimi sensi il gusto: in occidente il senso per eccellenza è sempre stato la vista.

Il gusto invece è importante, ti mette a contatto col mondo da quando nasci 

Il vino consente di entrare in rapporto con la natura, bisogna capire che l'astratta distinzione che noi facciamo tra natura e artificio non esiste, in realtà noi possiamo capire la natura che in realtà è lavorata dall'uomo: il vino è un artificio, è lavorato dall'uomo. È un prodotto in cui noi assaporiamo le delizie della natura, ma una natura che riesce ad essere se stessa pur essendo elaborata con le tecnologie. Quindi fa mettere in questione facili contrapposizioni che noi utilizziamo tra natura e artificio, da sempre l'uomo vive in rapporto ad una natura artificiale e ad un artificio che è naturale.


Lei è un musicista e ha portato il vino anche in un cd jazz, lo studio della filosofia attraverso la musica è interessante

C'è la famosa storiella di Socrate in cui racconta che in sogno il suo Daimon gli ha detto di fare musica (musiché). Poi Socrate non ha fatto il musicista ma il filosofo, del resto per certi filosofi la filosofia è la più alta delle musiche!

Ma come possiamo applicarlo alla vita quotidiana? Per chi musicista non è?

Inviterei tutti a studiare un po' di musica, la musica non è altro che una tecnica di connessioni: i toni, le altezze, le misure. Tutti dovrebbero studiarla, la musica è un esercizio filosofico. Mi chiedono che emozioni provo quando suono rispetto a quando scrivo un libro, in realtà le cose sono molto vicine. La musica ha le regole, il musicista sa che queste regole sono fondamentali ma poi quando fai una assolo di jazz, questo tuo sapere in realtà produce qualcosa di riuscito quando si mostra inessenziale. Il risultato mostra, per dirla alla Marcel Duchamp, che non è un musicista ma un artista, un coefficiente artistico incalcolabile senza il quale il prodotto è una semplice applicazione delle regole ma non è artistica. Quando scrivo un libro so benissimo che se la mia speculazione mi soddisfa è perché è accaduto qualcosa che mi ha portato in una direzione e non in un'altra che non è solo spiegabile con la coerenza logica, con le mie conoscenze...

Ma è giusto così, un filosofo deve elaborar pensiero personale e non ripetere ciò che hanno già detto altri

Se la verità la concepiamo come il luogo della coerenza logica, della correttezza diventa una cosa semplicemente corretta, ma non vera nel senso di autentica. Bisogna anche la tua verità ti consenta di errare, errando trovi delle soluzioni: alle volte mi ascolto e non mi sembra possibile, quando suono le dita vanno ma non so dove stanno andando. Non c'è controllo logico, anche nella musica ciò funziona quando ti consente di far risuonare l'armonia intuiamo nel mondo, ma un'armonia fatta sempre di consonanti e dissonanze. Anche nella musica questo funziona nella misura in cui ti consente di far risuonare l'armonia che noi vediamo nel mondo, ma un'armonia che è fatta anche di dissonanze, guai se l'armonia fosse fatta solo di consonanze.

Maria Giovanna Farina


Condividi i tuoi commenti con noi

GRUPPO DI DISCUSSIONE SU FACEBOOK: CLICCA L'ACCENTO DI SOCRATE



Torna indietro

L'accento di Socrate