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Quando le fotografie erano anche “luogo d'incontro”

Stavo sistemando alcune fotografie digitali, tante cartelle salvate nel computer, tante fotografie scattate negli ultimi anni, tanti ricordi racchiusi in questa scatola: si guardano saltuariamente e distrattamente, a volte ci si dimentica  anche ciò che è stato fotografato e i luoghi visitati.  
Le fotografie stampate sono più concrete, ogni tanto si prendevano quegli album, quei portafoto e si sfogliavano, magari con gli amici nei pomeriggi di ritrovo. E le centinaia di diapositive conservate negli appositi contenitori, tutte ben catalogate? Quelle le ho dimenticate completamente. Scomode anche se belle. Bisogna(va) montare il telo, il proiettore e pazientemente inserire i vari contenitori per veder scorrere le immagini.         
Il proiettore andava e gli amici dopo i primi momenti di entusiasmo,  a volte si annoiavano: ma si condividevano esperienze. Oggi non lo si fa più. Non ci si ritrova più con gli amici per vedere le fotografie delle vacanze o altre immagini.  Oggi impera il digitale, ma non mi sono arresa.

Ho riscoperto la macchina fotografica "manuale", quella con il rullino, quella che non vedi subito se la fotografia è riuscita bene o male, se è mossa, se è scura, se è chiara.
Tempo fa ho acquistato un rullino in bianco/nero, dopo aver conosciuto un giovane fotografo che utilizza ancora il rullino e soprattutto il bianco e nero. Ho voluto riprovare il "brivido" dello scatto.... al buio.  
E così ho iniziato a scattare fotografie alla piazza di Vigevano e al Duomo di Milano prima di Natale. Casualmente sono venuta a conoscenza di un corso sul bianco e nero tenuto presso il Circolo fotografico che frequento da ottobre scorso. Mi sono iscritta subito: ci stanno insegnando la tecnica dello scatto, dell'esposizione e anche, qui è il bello, dello sviluppo del rullino e la stampa delle nostre foto. Dopo qualche lezione teorica il fotografo/insegnante del corso ha chiesto se qualcuno aveva già un rullino pronto da sviluppare. Ho timidamente alzato la mano "io". Nella lezione successiva hanno organizzato il "tavolo di lavoro". La camera oscura portatile (che sembra una maglietta a mezze maniche), la tank, (un recipiente cilindrico  a chiusura stagna)  le caraffe di precisione, l'acqua (che deve essere a temperatura di 20°), le polveri chimiche per lo sviluppo, l'arresto, il fissaggio.
Si comincia con l'operazione delicatissima di estrazione dal cilindro della pellicola che deve essere fatta completamente al buio, buio totale perché se solo filtra un granello di luce, addio pellicola e addio foto!           
L'estrazione è avvenuta all'interno della camera oscura, e sempre all'interno c'è la tank nella quale va inserito il rullino dopo che lo si è avvolto delicatamente in una spirale.
Ora il rullino è al sicuro, si toglie la tank ben chiusa e si procede con i liquidi.
Prima quello per lo sviluppo che richiede i suoi tempi (in base al tipo di rullino), poi quello per l'arresto, di seguito il fissaggio, il  risciacquo sotto l'acqua corrente, e infine l'imbibente per proteggere la pellicola dal calcare dell'acqua. Ora si può aprire il tappo della tank ed ecco la mia pellicola con le mie foto.
Si deve appendere il rullino per l'asciugatura. Eccomi con l'entusiasmo di una bambina ad osservare gli scatti, chissà cosa ne è uscito? Lo si saprà domani quando l'insegnante ci farà vedere come si stampano le fotografie.


Il prossimo rullino lo dovrò sviluppare da sola: già sto tremando all'idea, ma è una bella idea.



Gina Di Dato 



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