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Mito e scrittura

Che cosa vuol dirmi questo o quel mito?”, si chiedeva Italo Calvino? Quali interpretazioni mi sta suggerendo? Non dobbiamo domandarci, soltanto, quali messaggi una data storia intenda comunicarci, per ricomporli in un mosaico sufficientemente plausibile. Dobbiamo chiederci, poiché la scrittura scaturisce da Eros, è slancio vitale, se nelle diverse storie e figure mitologiche che non abitano più i nostri riti e il nostro presente, che si sono allontanate dal loro compito sacro, possiamo rintracciare ancora qualche indizio verosimile circa i motivi che ci spingono a scrivere e ci vedono in tale occupazione perseverare. Come se fossimo protetti da divinità scomparse, che la scrittura resuscita. Si è detto che il mito è un linguaggio, in grado di dar forme molteplici ad un insieme di narrazioni e racconti tra loro concatenati, il mito è in grado di spiegare una trama. Si è aggiunto che esso descrive il rapporto di ognuno di noi e di noi come folla con il mondo e continua ad agire l’inconscio: viene a trovarci nei sogni, e molto di più di quanto non si voglia ammettere, opera nell’ intrico delle passioni, dei vizi, delle scelleratezze, del riscatto. Di conseguenza, il mito ci ri-colloca nelle storie collettive dell’umanità mostrandoci che le nostre non ne sono che il riflesso. I miti sono perciò “chiavi di lettura” universali, o, per lo meno, ci conducono negli universi cui apparteniamo per evitarci di soccombere anzitempo e per suggerirci il che fare. La loro funzione è quindi metafisica (tracciano leggi eterne) e pratica (risolvono problemi). Sono “strutture del pensiero” che si ricostituiscono in ciascuno di noi, fin dalla nascita, in relazione ad eventi e situazioni che presentano delle analogie straordinarie con esperienze che altri, a miliardi, molto e molto prima di noi, hanno incontrato e affrontato. La religiosità eterna dei miti si compendia, come ogni religione, in queste attitudini. Non siamo chiamati a narrare i miti né a farci raccontare da loro quasi ne fossimo in balia, siamo invece sollecitati a scoprire quel che accade mentre scriviamo: quando li risvegliamo in quanto esperienze legate alla nostra scoperta di esistere, nel qui ed ora, e al sentimento di essere. È qualcosa che supera il momento, l’istante, per ricomporsi concettualmente in un mito che, scrivendo, quindi agendo pensiero-corpo, si incarna depositandosi in quelle parole che possono raccontare di tutto. Ciò significa prendere coscienza del nostro esistere, contribuendo all’entelechia aristotelica che ci conduce verso il nostro destino; significa accorgersi che partecipiamo e assistiamo imparando ad autoanalizzarci con il mito, al miglioramento delle nostre capacità critiche e analitiche. Contro ogni ottundimento, sfidando ogni rimozione del problema di vivere e del fatto che la nostra vita è destinata a finire. La scrittura officia perciò egregiamente a questo compito, ci traghetta verso le oscurità, le ombre, le luci del nostro essere, non incagliandosi in esse: proponendoci di continuare a rappresentarle con l’arte che abbiamo privilegiato. Ogni volta, prima di scrivere. I miti ci educano, così rivissuti, lasciandoli pure senza un nome, a non semplificare mai, ad affrontare i paradossi, a respingere ogni sua interpretazione che volesse ridurre le combinazioni infinite che ci propongono, al fine di inventare la mappa a noi più confacente, di affidarci ad un rassicurante navigatore elettronico. Incapace però di darci l’eccitazione di perdere la strada, di ritrovarla a tentoni, di dirci qualcosa di quel paesaggio. La scrittura è un navigatore insicuro e inaffidabile, questa è la sua mitologia intramontabile.

I miti che da millenni, con le loro storie, raccontano in parte ancora le nostre divengono di conseguenza il tramite di un’insopprimibile esigenza umana. Il bisogno di trovare un senso alla propria vita producendo immagini, rappresentazioni, astrazioni. Ancora una volta, è la ricerca delle origini il motivo conduttore di ogni nostro cercare e dal momento che nessun mito (e quale storia sacra, e non solo, del resto?) si presenta integro, allo stato originale, essendo l’esito di una miriade di trascrizioni, di scambi orali e culturali, non ci resta che scegliere ogni volta nell’illustrare una divinità, un eroe o un’ eroina, una sola versione tra le molteplici a disposizione.

Duccio Demetrio, docente di Filosofia dell'educazione e di Teorie e pratiche della narrazione - Università degli studi di Milano-Bicocca.

Fondatore della Libera Università dell'Autobiografia www.lua.it


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