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Quarant’anni e non sentirli. Anzi, sì!


Se qualche anno fa mi avessero chiesto qual è l’età migliore, avrei risposto “intorno ai 30”. Se qualcuno mi ponesse oggi la stessa domanda, credo che rilancerei chiedendo “rispetto a cosa?” e, poi, aggiungerei: “Quella in cui ti senti bene con te stesso”. La cosa può sembrare ovvia e banale e, invece, a pensarci bene, non è così. Sfogliando i giornali, spulciando tra le riviste, navigando in rete e, perché no, dando un’occhiata alla Tv, non è possibile non notare come i valori più di frequente sbandierati siano legati alla gioventù, alla forma fisica, alla bellezza. Tant’è che vengono di continuo propinati rimedi miracolosi per appianare rughe, stendere pelli vagamente ringrinzite, sollevare zigomi e palpebre, perdere ventine di chili e sollevare i punti che vanno cedendo alla forza di gravità. Ogni tanto, qualche appassionato di new age rilancia, al contrario, la ricerca del benessere interiore, che crea pace dentro e fascino fuori. Ecco, ogni tanto. Per poi essere di nuovo sommersi da una valanga di stereotipi e false credenze, che sotto sotto influenzano, ammettiamolo. Non è facile uscirne illesi, soprattutto se si è di sesso femminile; eppure… Eppure negli ultimi mesi fremevo. Non mi pareva l’ora. Di cosa? Di arrivare al fatidico obiettivo dei 40! Non i 40 anni di matrimonio (pur volendo, difficilmente potrei puntare ad un’utopia del genere, visto che non mi sono mai “maritata”), ma proprio i 40 anni anagrafici. Non sono mai stata così eccitata all’idea di compiere gli anni, manco dovessi entrare nella maggiore età. “Finalmente divento grande”, mi dicevo sfregandomi le mani e guardandomi contenta allo specchio. Le rughe sono presenti e non sono nemmeno le prime; le occhiaie si approfondiscono sempre di più, tant’è che alcuni giorni devo prendere la lente d’ingrandimento per trovare gli occhi seppelliti là sotto; i muscoli non sono più tonici come una volta (la gara di braccio di ferro che vinsi a 16 anni ad un torneo non potrei più nemmeno immaginarla); i capelli non li ho ancora colorati, ma qualche filo bianco comincia a sbuffare spazientito. Insomma, non è che veda il riflesso di una giovane di 20 anni, questo sia chiaro. Però mi guardo e… udite, udite, mi piaccio. Mi piaccio per la persona che sto diventando, per quello che faccio, per le idee che vado man mano maturando, per la sensazione che mi sto dando uno stile di vita che è mio e solo mio; mi piaccio soprattutto perché ho cominciato a coltivare due dimensioni che potrebbero sembrare opposte, ma in realtà sono contigue: la gentilezza e l’assertività. Detta in altri termini, sto imparando a dire no e ad affermarmi quando lo ritengo giusto, a non farmi mettere i famosi piedi in testa, nella vita privata come sul lavoro. Chi se ne frega se faccio brutta figura o se non sono sempre compiacente. Io sono questa qua e penso quest’altra cosa là. E poi c’è l’affare della gentilezza. Un valore da coltivare con dedizione. È gratificante essere gentili. Fa bene agli altri e a noi stessi. Ci ritorna, ci circonda, crea armonia. Anche quando dobbiamo affermare un nostro diritto o contrastare decisamente qualcuno o qualcosa, la fermezza unita alla gentilezza danno un effetto migliore. Positivo. Ho da poco compiuto 40 anni (si era capito, vero?) e non mi sono mai sentita così me stessa, così radicata in me, nel mio profondo. Piena d’energia e di progetti da realizzare. Mi sento giovane e vecchia, non è bellissimo? È vero, ho qualche acciacco in più rispetto ai 30, la pelle è più opaca e qualche zampa di gallina qua e là. Ma non cambierei l’equilibrio in cui mi sento adesso per la gioventù dei 20 o dei 30. Ma davvero, perché in giro spesso ho sentito parlare della crisi dei 40-50-60 anni? Tutte queste tappe sono significative, simboleggiano un momento di crescita, di salto. Cosa c’è di meglio che sentirsi “individuati”, per usare una terminologia junghiana? Jung, tra l’altro, parlava di individuazione come di quel processo in cui le diverse parti della personalità maturano e si amalgamano, l’ombra e la maschera si avvicinano a sviluppare un Sé autentico. Credo anch’io che questo processo sia uno degli scopi fondamentali della vita (altrimenti perché saremmo venuti al mondo, per rimanere estranei a noi stessi?!), ma ritengo anche che questo non avvenga solo nella famosa età di mezzo, come sosteneva il maestro Jung. La vedo come un percorso a tappe; tappe che scandiscono man mano il nostro personalissimo cammino. Questa sensazione di appartenere finalmente a me stessa l’ho avuta anche in passato, in momenti straordinari della mia vita, ma la sto avvertendo più intensamente adesso e, spero, accadrà ancora in futuro. Sono importanti le scelte che compiamo ogni giorno, le storie che ci buttiamo (apparentemente) alle spalle, gli incontri che ci stimolano, i dialoghi che ci fanno riflettere, i libri che leggiamo, i film che vediamo, i simboli che interiorizziamo. E che, a volte, contribuiamo a creare. Non abbattiamoci per gli anni che passano, sono la nostra più grande risorsa.


Eleonora Castellano, docente e psicologa

(Tutti i diritti riservati©) www.eleonoracastellano.com 

socia fondatrice dell'associazione culturale L'accento di Socrate


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