Resoconto salotto: sulla felicità
Al salotto filosofico del mese di Aprile abbiamo affrontato un tema che da sempre affascina l’uomo: la ricerca della Felicità. L’uso del maiuscolo non è casuale. C’è una tendenza diffusa ad abusare di tale termine e a stravolgerne il significato, fino a snaturarne l’intima essenza. Ciò accade per leggerezza, forse anche in un tentativo di autoinganno, o per desiderio di vanità. Tutti rincorriamo la Felicità… Chi potrebbe alzare la mano e affermare il contrario? Eppure fatichiamo a trovarla, forse non ci rendiamo nemmeno conto che non la stiamo cercando veramente. Abbiamo le idee confuse e tendiamo ad accontentarci di quel poco che piaceri effimeri e fugaci ci regalano di tanto in tanto. E, nel frattempo, la vita scorre e ci sfugge di mano. A volte ci fermiamo, ci chiediamo se stiamo vivendo secondo la nostra natura, secondo i nostri desideri più intimi, se stiamo realizzando la nostra autenticità. Incapaci di dare una risposta definitiva (o anche semplicemente chiara, univoca), solleviamo le spalle e tiriamo avanti, nella convinzione che masochisti non siamo e che comunque si spera che stiamo remando nella direzione giusta. Epicuro, grande filosofo del passato (III secolo a. C.), si interroga sulla questione e scrive un testo breve, quanto prezioso, che passerà alla Storia: “Lettera a Meneceo”, conosciuta anche come “Lettera sulla felicità”. Le nostre riflessioni del mese hanno preso spunto proprio da tali pagine, ma hanno seguito anche una vocazione propria, trascinati dal racconto delle nostre vicende e dall’irruzione di un evento imprevisto, che ci ha costretti ad un cambio di rotta. La conduttrice dell’incontro, la consueta filosofa Maria Giovanna Farina, ha esordito proponendo una relazione fra Libertà e Felicità e nessuno di noi ha osato contraddirla. Di qualunque tipo di libertà stiamo parlando, è evidente che una condizione di estrema costrizione, se non addirittura di schiavitù (fisica, morale, intellettuale, sociale, economica, ma possiamo trovare molte altre tipologie), non può andare a braccetto con quella sensazione di beatitudine che intendiamo con Felicità. D’altronde, se non curarsi del proprio e dell’altrui benessere è un errore, sarebbe un errore altrettanto grave considerare la Felicità come una missione. La vera Felicità spesso è improvvisa, inaspettata, irrompe nel tempo e ferma l’attimo. A volte siamo sopraffatti da momenti di Felicità (quasi immotivati) nelle situazioni più banali, impensabili. La Felicità non è una costante né ci si può obbligare ad essere felici. Felicità è innanzitutto spontaneità. È bellezza, è gioia allo stato puro. Ma sfugge. Non è tale da lasciarsi afferrare o fermare perché, per sua natura, è uno stato interiore che arriva, attraversa, trapassa. E ci lascia sognanti, desiderosi di ritrovarla ancora. Noi possiamo marciare nella sua direzione, agire secondo coscienza, impegnarci a distinguere il vano dal necessario e concentraci su questo (come lo stesso Epicuro ci raccomanda), ma essa, la Felicità, spesso ci pervade quando meno ce lo aspettiamo. Sempre, però, come risultato di un processo mentale, di un percorso di vita che abbiamo intrapreso. Bisogna perseguire una mentalità multiprogettuale, anche riguardo alle diverse dimensioni temporali. Non farsi imprigionare dal passato o dall’aspettativa del futuro, ma imparare a stare in un presente creativo, dove il futuro è il sogno che io costruisco adesso, passo dopo passo, accettando che ci possono anche essere “momenti nulli”, di “stand by”, di riconciliazione con se stessi. “Bisogna prendere le distanze da chi sabota la nostra felicità” afferma uno dei partecipanti al salotto. “E godere di ciò che si è e non solo di ciò che si ha” aggiungiamo quasi in coro. A questo proposito, Epicuro distingue tra desideri vani (da escludere) e desideri naturali, sia necessari che non necessari. È molto importante perseguire l’indipendenza dai desideri. Se ci “accontentiamo” di ciò che abbiamo, siamo felici e quando, talvolta, siamo nella situazione di godere dell’abbondanza, beh, allora saremo ancora più felici perché da un lato abbiamo imparato a prestare attenzione alle autentiche esigenze della vita e dall’altro abbiamo imparato a valutare nel giusto valore l’abbondanza e la fortuna. Bisogna essere prudenti, ammonisce il filosofo, e considerare sempre le conseguenze delle nostre azioni. Un bene momentaneo può avere gravi ricadute su scelte future, così come un “male” momentaneo può essere foriero di grandi gioie. Il monito di Epicuro oggi ci appare ancora valido, soprattutto se facciamo riferimento alla nostra società, così affamata di opulenza e apparenza. Queste considerazioni spiegano perché Epicuro è stato considerato a torto un pensatore edonista. Fine e principio della vita è il piacere, ma non nel senso voluttuoso o sconsiderato del termine. Anzi, il piacere viene raggiunto quando l’uomo vive secondo natura e calcola bene il beneficio e/o gli svantaggi scaturenti dalle proprie azioni. Il piacere è assenza di dolore, inteso sia in senso fisico che come turbamento dell’anima. Entrambi gli aspetti sono importanti e vanno curati. La dimensione dell’essere è altrettanto importante di quella dell’avere. Ma cosa fare quando quello che ci circonda ostacola la nostra ricerca della Felicità? Provare a cambiare noi stessi, innanzitutto, e poi, nel nostro microcosmo, provare a cambiare qualche tassello. A volte basta partire dalle piccole cose. Nonostante l’argomento trattato sia piuttosto complesso, l’atmosfera del salotto all’inizio era “leggera” e anche “leggiadra”. Poi, un evento imprevisto ci ha raggelati, per qualche minuto ci siamo imbalsamati, incapaci di trovare parole. È accaduto che una donna si è unita a noi arrivando in ritardo e che, alla domanda a bruciapelo della Farina: “Lei oggi è felice?”, ci ha dato una risposta che ci ha spiazzati. Con fare quasi serafico la giovane donna ha ammesso che no, non è affatto felice, ha appena subito un gravissimo lutto. Gli occhi erano opachi, forse velati da un’ombra di pianto, ma la bocca accennava un tenero sorriso, quasi a volere consolare noi, impietriti dal dispiacere. Pian piano, grazie alla sapiente e delicata conduzione della filosofa, abbiamo cercato di riprenderci e abbiamo riflettuto sul fatto che è vero, la Felicità non si può pretendere: accade, ti travolge e a volte se ne va. Nel modo più crudele, mai senza chiedere il permesso. La felicità è anche assenza di dolore fisico, dice Epicuro, e allora a volte la morte è una liberazione. Tant’è che siamo quasi tutti concordi nel ritenere che ci spaventa di più la malattia, la sofferenza piuttosto che la morte in sé. A questo riguardo, ci viene in soccorso la famosa frase di Epicuro, il quale afferma che per noi uomini la morte è nulla perché quando c’è lei non ci siamo noi e viceversa. Chiaramente, per chi resta il vuoto da colmare è un abisso e accettarlo è una sfida, che, se affrontata con coraggio, può aiutare a crescere, a prendere pienamente coscienza del valore della vita e della necessità di non sprecarla. “Il vero filosofo impara a morire” diceva Socrate. Perché imparare a morire implica che, di contro, impariamo ad apprezzare la vita vera, con tutte le sue conseguenze, con tutte le sue meravigliose contraddizioni. Eleonora Castellano (docente e scrittrice)
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