Resoconto del salotto filosofico di marzo: La Cura Al salotto filosofico del mese di Marzo ci siamo soffermati su un argomento ampio e complesso, variamente trattato dalla Filosofia, dalla Psicologia, dalla Psicoanalisi, dalla Medicina. La Cura. Innanzitutto la cura di sé, della propria anima. Ma anche del proprio corpo, se ci sganciamo da una visione dualista e separatista e accettiamo il concetto di Unità. Nel tentativo di focalizzare la nostra attenzione su alcune questioni, la filosofa Maria Giovanna Farina, che, come di consueto coordina e modera la discussione, ha proposto la lettura di un testo di Hermann Hesse, “La Cura”. Si tratta di un libretto assai godibile, dove l’autore del “Siddharta” ironizza con sagacia sulla propria persona e ci conduce in un percorso mentale, che, per le sue caratteristiche, può riguardare ciascuno di noi. Leggendo le belle pagine di quest’opera, infatti, non ci si può esimere dal sorridere di tanto in tanto, dall’annuire con la testa, pensando che tutto sommato la parte nevrotica dell’autore non ci è poi tanto estranea. Hesse, tra l’altro, si mostra consapevole delle proprie fragilità e del proprio atteggiamento nevrotico di fronte al mondo. Forse, solo all’inizio prova ad opporre resistenza a questa presa di coscienza, proiettando sugli altri e vedendo in loro quegli acciacchi, quelle pedanterie, quella sciattezza che rifiuta in sé. Ma poi, pian piano, la permanenza a Baden (località termale) lo porta a riflettere su di sé e a comprendere che lui non è certo migliore degli altri. Il titolo allude ad una duplice accezione del concetto di “cura”: la cura dei malanni fisici (in quella che oggi chiameremmo una Spa), ma soprattutto la cura dell’anima. E i due significati non sono da intendersi in antitesi: l’uno rinvia all’altro in una circolarità che non è scissione, bensì unione. Leggere delle piccole grandi manie di Hesse, arricciare il naso di fronte ad alcuni pensieri apparentemente folli (ma poi sorprendersi che in realtà anche noi di sovente partoriamo ragionamenti simili), riconoscerci nelle ossessioni di un nevrotico ci mostra come e quanto la Filosofia e la Psicologia possano venirci in aiuto. In fondo, Hesse, consapevole delle proprie mancanze, delle proprie debolezze, ci dimostra che sia possibile fronteggiarle grazie all’uso degli strumenti forniti dall’Analisi (di cui è stato paziente) e dalla Filosofia. La cura di sé filosofica, tuttavia, non è appannaggio esclusivo degli specialisti in Filosofia: non è necessario conoscere tutta la Filosofia per intraprendere un percorso di interrogazione di sé. La lettura critica e ragionata di alcuni saggi filosofici, la riflessione comune e guidata da un esperto, l’acquisizione di un metodo mentale che aiuti a non lasciarsi vivere e trascinarsi su binari prestabiliti (e spesso arrugginiti), la capacità di mettersi in discussione e di vagliare diversi punti di vista, sono infatti alcuni dei cardini della consulenza filosofica, a cui la Farina ci richiama costantemente. Partendo tuttavia dalla propria finitudine, dai propri limiti, come Hesse stesso ci dice: quando due esseri umani si scambiano dei pensieri, è necessario essere consapevoli della fragilità degli strumenti, dell’ambiguità di ogni parola, dell’impossibilità di esprimersi in maniera esatta. È dunque fondamentale avere un atteggiamento di sollecitudine verso l’altro e di umiltà nei propri confronti. Esemplare è il capitolo in cui Hesse ci parla dell’olandese: un vicino di camera decisamente rumoroso, che non smette mai di cianciare con la moglie se non per poche ore notturne e che turba la tranquillità dell’autore. Inizialmente la disperazione prende il sopravvento, ma poi la riflessione lo porta a superare l’impasse in maniera magistrale. Hesse, in altre parole, decide che non può continuare a vedere l’olandese come il suo nemico. Intraprende un percorso mentale per cui l’olandese viene pian piano riportato indietro negli anni, fino alla sua infanzia, quando era ancora un tenero bimbo con i suoi problemi. Ecco, vedendo l’altro nella sua interezza di uomo, nelle sue fragilità, non è possibile non provare un atteggiamento di compassione e di accettazione. In questo modo l’autore cessa di provare fastidio ed irritazione per ogni movimento dell’olandese, che non gli appare più così estraneo, così alieno e insopportabile. “Amare qualcosa, per un poeta, significa accoglierla nella propria fantasia, riscaldarvela e coccolarvela, giocarci insieme, compenetrarla nella propria anima, vivificarla col proprio alito” scrive Hesse in un bellissimo passaggio. Uno dei partecipanti al salotto ha detto che in questo modo si può anche amare il proprio nemico, lo si può accettare, forse anche perdonare. Un altro partecipante sottolinea che forse la chiave di lettura sta nel pensare: “Ti domino, non ti subisco più e allora ti posso anche amare”. La filosofa Farina interviene dicendo che la via mostrata da Hesse in fondo è molto vicina a quel metodo di “espansione catartica” di cui lei si avvale nella consulenza filosofica, ma anche come aiuto nella vita quotidiana: quando vive un problema che, al momento, sembra insormontabile, con la mente lo amplifica, lo espande e poi, tornando metaforicamente indietro, alla situazione iniziale che ha motivato la preoccupazione, si accorge che il problema si sgonfia, è meno grave di quello che aveva pensato all’inizio. In conclusione dell’incontro, ci siamo soffermati infine su quanto cara sia a Hesse l’idea sacra dell’unità, l’idea che l’intero cosmo sia una divina unità e che tutto il male deriva dal fatto che non ci sentiamo più parti inscindibili del Tutto. Ma per sentirci tali, è necessario un intenso e attivo esercizio dello spirito, che ci faccia sentire un tutt’uno con l’intero cosmo, in cui ami il prossimo tuo perché sei tu stesso. Eleonora Castellano (docente e scrittrice)
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