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Banalità


Presumo che il grande filosofo francese si riferisse alle banalità in generale, ma in realtà cos’è tanto ovvio da non dover essere preso in considerazione? Consideriamo per esempio la celebre frase “un quarto d’ora prima di morire era ancora in vita” tratta da una canzone popolare, composta in onore del maresciallo di Francia Jacques La Palisse dopo che morì nella battaglia di Pavia nel 1525, dalla quale è poi derivato l’aggettivo “lapalissiano” per definire una ovvietà. Ebbene, io credo che poche cose abbiano un contenuto più intenso di quello che è possibile trovare in quella frase: in quel quarto d’ora, ma potrebbe anche ridursi ad un attimo, c’è il concentrato di un esistenza, ciò che divide la vita dalla non vita. Ho ancora impresse nella mente gli ultimi attimi di quel giovane atleta, alle Olimpiadi della neve di Vancouver  2010, che scendendo con lo slittino dopo una breve corsa si è andato a schiantare contro un pilone. L’abbiamo visto partire dal via pieno di vita e dopo pochi attimi…! Non ci trovo niente di ovvio a dire che un attimo prima di morire era vivo. Sì, ad un primo esame può sembrarlo, ma quei pochi attimi che lo separavano dalla fine sono stati i suoi e insisto sui “suoi”, ultimi attimi. Nessuno, tranne lui stesso, in quanto ognuno è suo, può conoscere cosa contengono i propri più intimi vissuti brevi o lunghi che siano. Certamente era lungi da lui l’idea che quella sarebbe stata la sua ultima discesa, ma questo non influisce su quello che voglio dire; il punto è che il confine, la linea di demarcazione tra la vita e la morte della vita credo che sia uno spazio temporale più ampio di quanto predichi l’accezione comune, che non sia una semplice linea di confine, ma fra l’essere e il non essere vi sia una sorta di terra di nessuno avulsa dal tempo e da ogni costruzione e costrizione umana dove la mente è finalmente se stessa. Libera. Riferendosi alla morte, un amico molto colto e profondo conoscitore dell’animo umano, conosciuto purtroppo solo per lettera ed ora non più tra noi, scriveva:“ Essa è un evento unico nella vita di ognuno e come tale va vissuto fino all’ultimo istante di vita senza che nulla e nessuno possa distoglierci, questo è forse il vero motivo per cui voglio morire senza nessuno vicino, voglio gustarmi i MIEI ultimi attimi senza perdermene neppure uno, come può vedere alla fine si tratta di puro egoismo, non voglio condividere con altri un’esperienza che deve essere solo MIA. Forse Le potrà sembrare un ragionamento bislacco, di uno fuori di testa, ma la penso davvero così.” Vorrei sottolineare come un uomo di grande cultura abbia voluto ribadire per ben tre volte, contravvenendo alle regole grammaticali, che gli ultimi spazi vitali dovevano essere suoi e solo suoi scrivendo “voglio gustarmi i MIEI ultimi attimi senza perdermene neppure uno” . Riteneva la morte, o come la chiamava lui sorella Morte, straordinariamente qualcosa da vivere, da gustare, centellinare, quasi fosse un prezioso ed invecchiato vino. La Morte come unico, irripetibile evento da vivere.

Il barattolo dello zucchero prima di essere vuoto era pieno? Non è detto, potrebbe non esserlo mai stato e in ogni caso prima di rimanere vuoto ha sempre contenuto una quantità di zucchero variabile di volta in volta e anche se fosse stato pieno, prima di essere vuoto avrebbe contenuto un valore indefinito di quantità di zucchero pur non essendo mai pieno. Dire che un recipiente prima di essere vuoto era pieno non è un’ovvietà ma un errore. Il condannato a morte sulla sedia elettrica o in attesa dell’iniezione letale sa che entro breve qualcuno porrà fine alla sua vita, solo chi si trova nelle sue condizioni può sapere quanto sia lungo o breve lo spazio temporale che lo separa dalla fine e la miriade di sensazioni e pensieri che si affollano nella mente: ora è vivo e fra qualche minuto non lo sarà più. È un’ovvietà dire che alcuni minuti prima di morire era vivo? È un’ovvietà dire che il suicida che intende spararsi un colpo in testa prima di premere il grilletto era vivo? Credo proprio di no, anche perché la morte istantanea non è mai tale, e a tale proposito ricordo due strofe di un anonimo circa un ghigliottinamento: “e quel tronco senza testa / occhi guardan dalla cesta”, ma per poter meglio capire certe situazioni bisognerebbe viverle o forse sarebbe meglio dire morirle.


Max Bonfanti (2010)



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L'accento di Socrate