Shinya Tsukamoto, dal cyberpunk al mistero dell’anima
In occasione dell’uscita in libreria di “Shinya Tsukamoto – dal cyberpunk al mistero dell’anima”, abbiamo incontrato Paolo Parachini autore, con Andrea Chimento, del testo.
Scrivere un testo su Tsukamoto ha il sapore di una scelta estrema, come estrema è la sua cinematografia, perché tanto ardire? A fine 2006 io e Andrea Chimento ragionavamo sulle nostre, plausibili, tesi di laurea triennale. Io ragionavo sulla possibilità di fare una tesi su un regista contemporaneo giapponese, avrei voluto farla su Tsukamoto. Il problema, però, era la bibliografia: inesistente. Così ci siamo guardati e abbiamo detto: scriviamolo noi, un volume su Tsukamoto. Poi, in ogni caso, una tesi su Tsukamoto non me l’avrebbero fatta fare comunque, per vie di logiche universitarie. In ogni caso, anche per gioco, ad inizio 2007 abbiamo iniziato la scrittura, e a fine 2007 abbiamo inviato il testo ad una piccola ed esordiente casa editrice, con cui abbiamo firmato un contratto. Però, dopo aver sempre posticipato l’uscita del nostro libro, ad inizio 2009 quella casa editrice è fallita. Quindi abbiamo spedito il manoscritto ad altre case editrici, tra cui Falsopiano, una delle maggiori case editrici di volumi legati al cinema, i quali hanno accettato il manoscritto. Nel frattempo abbiamo anche intervistato Tsukamoto. Quindi, per dirlo con un proverbio, non tutti i mali vengono per nuocere. Si può affermare che i limiti del corpo rispetto alla preponderanza del metallo suonano come un moderno harakiri? Per Tsukamoto il corpo è contaminato da ciò che lo circonda. La contaminazione del metallo è una rappresentazione estrema di ciò che potrebbe inglobare l’uomo contemporaneo: frenesia, tecnologia, violenza. Non dimentichiamo mai che il vero filo rosso dell’opera di Tsukamoto è sempre una critica alla società contemporanea, operata su più livelli. In questo senso il limite del corpo è un suicidio se non si riesce a controllare la preponderanza della disumanizzazione sociale. Quindi è un harakiri solo se l’uomo desidera che lo sia. I personaggi di Tsukamoto sono continuamente soggetti a metamorfosi, quasi una ricerca di super poteri o addirittura una ricerca in-volontaria verso nuove condizioni esistenziali in anticipo sulle future mutazioni ambientali? Non cercano superpoteri, o meglio non è quello il loro obiettivo. E non è nemmeno una vera e propria ricerca. Anche se bisognerebbe distinguere tra il protagonista e l’antagonista, il primo infatti subisce la volontà del secondo, che lo spinge a trasformarsi. Quando parliamo di metamorfosi in questo senso è bene specificare che ci riferiamo soprattutto ai primi film del regista, i due Tetsuo, che sono inseribili nel filone cyberpunk, e dove un personaggio viene spronato alla trasformazione dal suo antagonista demiurgo. Poi c’è anche la metamorfosi morale, e quella della malattia, del cancro. In quest’ultimo caso, nel film A Snake of June, premiato tra l’altro a Venezia nel 2002, la protagonista si scopre malata di cancro al seno. Il motivo, la repressione sessuale e lo stress sociale e lavorativo. Si potrebbero così rileggere le mutazioni metalliche come una sorta di cancro, dove le cellule impazziscono, a causa di fattori, oltre che interni, soprattutto esterni. Nella maniacalità sessuale che pervade alcuni personaggi di Tsukamoto, si cela l’impossibilità di riprodursi? Il discorso sulla sessualità è complesso. Nel cinema del regista la perversione sessuale, o semplicemente l’istinto sessuale, sono componenti fondamentali per innescare il cambiamento. La sfera sessuale è per l’uomo una zona di facile e libero accesso agli istinti, ma anche una zona di sfogo delle frustrazioni. È come se nel momento dell’atto sessuale, si rivelasse il vero io dell’uomo. Ed è qui che Tsukamoto inizia le proprie indagini, dove si rivela il vero (o presunto) io dell’uomo. L’estremizzazione della fisicità, quanto spazio lascia alla spiritualità? Spazio assoluto. E questo Tsukamoto lo dimostra con Vital, film del 2004, dove un ragazzo che ha perso la memoria, vivisezionando al corso di medicina il corpo della sua ex ragazza, entra in contatto con l’anima della stessa. Il corpo come trono dell’anima in senso letterale, dove per trovarla bisogna incidere la pelle, sollevare i nervi e rompere le ossa. La metamorfosi è il tema dominante della cinematografia di Tsukamoto, il regista ha mai fatto riferimento a Kafka? A Kafka assolutamente no, è un modello forse abusato, e sarebbe forse irrilevante, e forse banale, all’interno del discorso di Tsukamoto. Se proprio vogliamo parlare di modelli, e di metamorfosi, allora più che a Kafka bisogna pensare al regista statunitense David Cronenberg. Proprio Cronenberg è uno dei modelli di riferimento espliciti di Tsukamoto. E sempre parlando di metamorfosi, e volendo cercare un altro riferimento, bisogna allora parlare di cyberpunk, quel genere artistico che ha voluto parlarci, nella seconda metà del Novecento, del rapporto tra uomo e tecnologia, e alla possibilità di inquietanti punti di contatto tra essi. In che misura le metamorfosi di Tsukamoto alludono ad una ricerca estetica? La ricerca estetica è proprio dentro le metamorfosi. Per Tsukamoto, con pochi yen e nel 1989, l’unico modo per far mutare i suoi personaggi è stato quello di utilizzare la pixillation, l’animazione a passo uno con attori in carne ed ossa. Lo ha fatto applicando maschere e particolari metallici (con della colla) ai volti degli attori, modificando poi questi inserti fotogramma per fotogramma, in modo che mettendoli in sequenza portassero ad un’animazione. E questo particolare, aggiunto al montaggio frenetico, e alla musica industrial martellante, quasi segni distintivi, oltre che del regista, anche del concetto di mutazione e frenesia, ha reso i primi film di Tsukamoto film fortemente connotati dal punto di vista estetico. Erano estremi anche per via di questa novità estetica. È corretto affermare che Tsukamoto pare dire che il rapporto uomo donna è possibile solo attraversando una dimensione lontana dalla realtà? Non esattamente. La coppia, nel cinema di Tsukamoto, è sempre disturbata dall’arrivo di un terzo uomo. Ed è questo terzo uomo che li guida, come un demiurgo, verso un processo di cambiamento. E se questo demiurgo, per cambiarli, li accompagna in dimensioni estranee, direi che non sono mai lontane dalla realtà, anzi, ne sono invece una piena esasperazione. In che misura il linguaggio del corpo nega quello verbale? Si è detto che David Cronenberg è il profeta della carne, mentre Tsukamoto, a suo modo, ne è il poeta. Il corpo parla, in molti modi. Non c’è una vera e propria negazione del linguaggio verbale, piuttosto il corpo come nuovo verbo, per metterla su un piano cronenberghiano. Mauro Bianchini
Mauro Bianchini collabora con Lombardia Oggi, inserto settimanale di spettacolo e cultura del quotidiano La Prealpina di Varese e scrive di arte anche per il settimanale on-line www.artevarese.com Fa parte della commissione artistica di Villa Soranzo a Varallo Pombia (NO) dove nel calendario espositivo vengono proposte mostre di artisti locali e internazionali.
Condividi i tuoi commenti con noi GRUPPO DI DISCUSSIONE SU FACEBOOK: CLICCA L'ACCENTO DI SOCRATE |
|
L'accento di Socrate |