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Intervista a Caterina Barone


Caterina Barone è docente di Drammaturgia Antica e di Storia della Filologia e della Tradizione Classica all'Università di Padova. Il suo lavoro entra in contatto con la Filosofia ed anche per questa ragione l’ho intervistata.





Professoressa Barone, oltre alla ricerca di carattere filologico, di analisi dei testi, lei si dedica allo studio del teatro greco e latino. Come trasferisce ai suoi studenti il patrimonio culturale e il senso del teatro classico?


Quando faccio il corso di drammaturgia antica per i miei allievi dell’università affronto il teatro antico nella sua globalità, ma con un’attenzione particolare ai tragici greci che sono la radice culturale del mondo occidentale. Studiarli implica fare anche filosofia: pensiamo ai temi tipicamente filosofici come il rapporto uomo-dio, l’etica, la giustizia. All’università ci sono corsi di diverso livello: quando insegno alla Magistrale ho un pubblico che ha già fatto il triennio e normalmente viene dal classico, quindi comprende il testo in originale. Lo stesso corso o meglio la stessa titolatura viene fatta per il triennio per studenti con preparazione culturale differente; il pubblico è molto composito: ho ragazzi che vengono dal classico, dal linguistico e addirittura dall’alberghiero. Ci sono ragazzi che non sanno niente nemmeno di filosofia, ma spesso sono quelli che si impegnano di più.


Come lo trasferisce praticamente agli studenti questo sapere?


Faccio leggere moltissimo i testi in traduzione anche a quei ragazzi che sanno il greco e il latino; agli esperti do naturalmente testi in originale, ma la quantità di materiale che fornisco è tale per cui gran parte delle opere vanno lette in traduzione. Per quel che riguarda il pubblico composito, cerco di fare arrivare il messaggio, e debbo dire che arriva con loro grande stupore, che tutto quello che noi leggiamo è alle radici del nostro pensiero: ogni anno ripropongo una riscrittura moderna di un grande mito, per esempio Antigone o Edipo. I ragazzi si stupiscono dell’attualità del messaggio.


Che rapporto intravede tra l'allora e l'oggi? Quanto la tragedia greca e latina può ancora insegnarci?


Dobbiamo tenere ben presente che è una vicinanza che al contempo è lontananza; noi non siamo loro e loro non sono noi, però all’interno di questa dinamica rimangono i grandi temi: il destino dell’uomo, il rapporto uomo-dio, la giustizia, il rapporto uomo-donna, la guerra, la violenza sulle donne. Prendiamo per esempio il mito di Ifigenia, che di recente ho curato per Marsilio in Variazioni sul mito, a partire da Euripide: lì c’è il tema della guerra, del sacrificio dei giovani e del plagio che si può attuare su una mente giovane.


È molto attuale.


Sì. Tornando alla lettura dei testi, faccio leggere molto perché un conto è leggere le riflessioni su un autore e un conto è leggere il testo. Leggere i riassunti di un’opera serve a poco: non ti rendi conto, non hai la dimensione del fenomeno. Per dare più senso al corso scelgo ogni anno o un argomento o un personaggio specifico: ho fatto Orfeo, Clitennestra, Andromaca…


Lei ha tradotto tante tragedie al femminile, che profilo di donna emerge, che cosa può dire di positivo alla donna di oggi? Tenendo conto dell'emancipazione femminile.


Qui sì che si marca la lontananza! Una delle figure più interessanti è la Medea di Euripide; se si legge bene il testo, si parla di sophia di una donna che sa, che conosce, e Euripide fa intendere che Medea è temuta per le cose che sa. Come se fosse una scienziata che sa manipolare materiali pericolosi; non una maga, ma una donna che mette a frutto le sue conoscenze in maniera rovinosa.


I classici del teatro sopravvivono alle mode e ai tempi che cambiano da secoli e secoli. Cosa rende immortali questi testi? Quelli di oggi avranno un futuro?


Quelli troppo collegati all’attualità no. Vedo molta drammaturgia contemporanea di cui sopravvivrà solo qualcosa; del resto anche del teatro classico è sopravvissuto solo una parte. Anche le cose di oggi a livello alto rimarranno, ma nel classico c’è la fondazione del pensiero occidentale. Pensiamo ad Omero: scrive storie incredibili, gli dei che scendono a fianco degli uomini a combattere, però ha fondato la letteratura occidentale.


Per chi non avesse studiato il greco c'è la possibilità di cogliere nella traduzione lo spirito dell'epoca? Heidegger diceva che nonostante si conosca bene il greco antico non si può cogliere la vera essenza del dialogo, cosa ne pensa?


Sono d’accordo con Heidegger. È normale che le cose le leggiamo in maniera diversa. Come traduttrice percepisco benissimo questa distanza. Ci sono parole, come ad esempio Logos, che non possono avere una traduzione avulsa dal contesto. In un coro dell’Elena di Euripide, là dove si parla della follia degli uomini che combattono invece di usare il Logos, in questo caso l’ho tradotto con “dialogo”. Invece altrove tradurre Logos con “dialogo” sarebbe inadeguato. Lo spirito dell’epoca si coglie quindi con una buona traduzione corredata dal commento, e meglio di tutto con il testo a fronte. Ognuno poi capisce in relazione al proprio livello culturale.


Anni fa un docente mi disse che se non si conosce il greco non si può leggere il Simposio perché si farebbero delle belle “bevute”.


Mi sembra un po’ disfattista! Allora si dovrebbe leggere solo in originale e quello che non si conosce lo si butta via; buttiamo allora via la letteratura giapponese perché non comprendiamo la lingua?


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